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Sentenza - Sottoscrizione - Mancata

Procedimento civile - Sentenza - Sottoscrizione - Mancata - cpc  articoli 132 e 161 - nullita'

Procedimento civile - Sentenza - Sottoscrizione - Mancata - cpc  articoli 132 e 161 - nullita'

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 20 febbraio-29 ottobre 2002 n. 15249


Svolgimento del processo

Sulla base di una notula professionale liquidata dal Collegio dei Geometri di Ravenna, il geometra Turchi Andrea otteneva, in data 27 marzo 1990, un
decreto ingiuntivo nei confronti di Fanesi Pasqualina Beatrice, Pirri Greta, Pirri Francesco, Romani Sara e Romani Giuseppe, quali eredi di Romani Antonio, per il pagamento di lire 24.425.008, oltre agli interessi legali dal 26 novembre 1986 al saldo, per competenze professionali dovutegli per l'attività svolta in favore del defunto nel periodo 1983-1984.
Gli ingiunti proponevano opposizione, deducendo che Romani Antonio aveva istituito con testamento sue uniche eredi Pirra Greta e Pirri Monia, ed eccependo, comunque, l'intervenuta prescrizione del credito, essendo decorso il termine triennale di cui all'art. 2956 c.c.
Veniva chiamata in causa Pirri Monia, la quale rimaneva contumace.
Il Turchi chiedeva quindi la condanna delle sole
due Pirri al pagamento, in ragione della quota ereditaria, del credito vantato.
Con sentenza del 3 maggio 1996 il Tribunale di Ravenna accoglieva l'opposizione e rigettava, perché prescritta, anche la domanda avanzata dal Turchi nei confronti delle sole eredi.
Con la sentenza oggi impugnata, emessa il 1° luglio 1999, la Corte d'appello di Bologna, in accoglimento del gravame del Turchi, ha condannato le due eredi a pagare all'appellante, in proporzione delle rispettive quote ereditarie, la somma ingiunta, oltre agli interessi.
Ricorrono per la cassazione di questa sentenza le Pirri, formulando tre censure, cui resiste con controricorso il Turchi.
Le ricorrenti hanno depositato una memoria.

Motivi della decisione

Col primo mezzo, denunciando la violazione degli artt. 2943, 2945, 1°, 2° e 3° comma e 2956 C.c. nonché omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 n. 3 e 5 C.p.c.), le ricorrenti lamentano che la Corte d'appello abbia riconosciuto effetto interruttivo permanente della prescrizione all'intervento spiegato il 23 dicembre 1986 dal Turchi nel processo esecutivo instaurato contro il debitore Romani Antonio, sebbene questo non sia pervenuto alla sua naturale conclusione satisfattiva, ma sia stato dichiarato estinto, il 2 giugno 1992, per rinuncia del creditore procedente e dell'intervenuto; esito anomalo quest'ultimo che avrebbe dovuto comportare, alla stregua della stessa giurisprudenza citata nella sentenza impugnata, un'efficacia interruttiva soltanto istantanea.
E pertanto la prescrizione triennale era venuta a scadere il 23 dicembre 1989, ben prima delle date di notifica delle rispettive domande a Pirri Greta (12 aprile 1990) e a Pirri Monia (25 marzo 1991).
Col secondo motivo, denunciando la violazione degli artt. 12, 115 e 191 e segg. C.p.c. e 2697 e segg. C.p.c. (art. 360 n. 3 e 5 C.p.c.), le ricorrenti sostengono che la condanna è stata emessa senza che la controparte, pretesa creditrice, abbia dato la benché minima prova dei fatti posti a base della sua domanda.
Dopo che il Tribunale ha revocato in toto l'opposto decreto ingiuntivo, in funzione del quale nessun'altra prova era richiesta, oltre alla parcella approvata, la Corte, invece di rilevare questa totale carenza probatoria della pretesa del Turchi, sia sull'an che sul quantum, ha accolto la domanda per capitale e interessi, sebbene la stessa parte attrice, consapevole dell'onore probatorio a suo carico, avesse chiesto, anche in appello, senza ottenere risposta, una consulenza tecnica sulla congruità della parcella professionale.
Col terzo mezzo infine, basato sulla violazione degli artt. 112, 91, 92, 339 e segg. C.p.c. e sul vizio di omessa motivazione su punti decisivi (art. 360 nn. 3 e 5 C.p.c.), le Pirri denunciano l'omessa pronuncia sull'appello incidentale, col quale avevano chiesto, in riforma della sentenza del Tribunale, la condanna del Turchi alle spese, competenze e onorari di primo grado, ingiustamente invece compensati tra le parti.
È preliminare il rilievo, d'ufficio, della nullità della sentenza.
Questa, deliberata il 7 maggio 1999 e pubblicata il 1° luglio 1999, reca, in calce, la seguente postilla: «Ai sensi del secondo comma dell'art. 132 C.p.c., la presente sentenza viene sottoscritta dal relatore e dal Consigliere più anziano dott. Liberio Lo Iacono, per impedimento del Presidente del collegio, dott. Angelo Matarazzo, collocato a riposo dal 24 maggio 1999».
Dispone l'art. 132 2° comma C.p.c., nel testo modificato dall'art. 6 della legge 3 agosto 1977 n. 532, che la sentenza emessa dal giudice collegiale, se il presidente non può sottoscriverla «per morte o altro impedimento», dev'essere sottoscritta «dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento».
Orbene, se da un lato il momento della pronuncia della sentenza, nel quale il magistrato dev'essere legittimamente proposto all'ufficio per poter adottare un provvedimento giuridicamente esistente, va identificato con quello della deliberazione (da ultimo, Cass. 8 ottobre 2001 n. 1234); dall'altro la potestas iudicandi non si esaurisce nel deliberare la decisione, ma si estrinseca altresì nel porre in essere tutti gli atti successivi dell'“iter” formativo della medesima e del documento nel quale essa è destinata ad incorporarsi, e quindi, fondamentalmente, nella sottoscrizione, la quale rappresenta un requisito essenziale e inderogabile ai fini della giuridica esistenza della pronuncia stessa, la cui mancanza determina, pertanto, una nullità assoluta e insanabile, rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio.
Al dovere di assumersi, con la sottoscrizione, la definitiva paternità della decisione da lui deliberata, il giudice non può sottrarsi, se non «per morte o per altro impedimento».
Data la natura eccezionale della norma che lo prevede, tale impedimento deve tuttavia interpretarsi in senso restrittivo, e cioè come una materiale impossibilità, anche se temporanea, che alla sottoscrizione ponga un ostacolo insuperabile; ossia come un impedimento di carattere assoluto, che tolga al giudice la possibilità di adempiere al suo diritto dovere, quale quello determinato da uno stato fisico o psichico o da una situazione irreparabile, ovvero da una prolungata assenza dal territorio dello Stato, mentre rimangono giuridicamente irrilevanti gli impedimenti determinati da una momentanea assenza o da occasionali e transeunti difficoltà.
In applicazione di questi principi, non sono stati considerati impedimento alla sottoscrizione l'assenza del magistrato per ferie (Cass. 19 novembre 1968 n. 3762) o per trasferimento ad altro ufficio giudiziario dopo la deliberazione (Cass. 29 marzo 1996 n. 2911 e 7 gennaio 1966 n. 131).
Analogo trattamento va fatto al collocamento a riposo, giacché, sebbene il giudice collocato a riposo cessi di appartenere non già, come il giudice semplicemente trasferito, a quel singolo ufficio presso il quale il processo è radicato, ma, definitivamente, allo stesso ordine giudiziario, i doveri dello status permangono inalterati, per una naturale ultrattività, in relazione alle decisioni da lui collegialmente deliberate prima di quel momento.
Non soltanto quindi, come ritenuto in precedenti occasioni (Cass. 18 agosto 1999 n. 8710 e 10 aprile 1991 n. 3775), la sottoscrizione della sentenza da parte di un magistrato collocato a riposo successivamente alla deliberazione non costituisce motivo di nullità ai sensi dell'art. 161 C.p.c., ma è causa di nullità il contrario, dal momento che, secondo un principio del resto già affermato in termini da questa Corte (Cass. 18 aprile 1988 n. 3044), la sentenza deve essere sottoscritta dai componenti che hanno fatto parte del collegio giudicante, anche se successivamente, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, cessati dalle funzioni all'atto della sottoscrizione, la quale deve sempre riflettere la necessaria identità delle persone dei firmatari con coloro che hanno partecipato alla deliberazione.
In conseguenza della rilevata nullità, la sentenza va cassata e la causa va rimessa, anche per le spese del presente giudizio, ad un'altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara la nullità della sentenza impugnata, cassa detta sentenza e rinvia ad altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna.

 

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it