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Accertamento della paternita' naturale - Mezzi di prova

Accertamento della paternita' naturale - Mezzi di prova - art. 269 c.c.

Accertamento della paternità naturale - Mezzi di prova - art. 269 c.c. (Corte di cassazione, Sentenza n. 2640 del 21 febbraio 2003)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 16 novembre 1995 il Tribunale di Perugia ammise S. F., nata il 13 novembre 1966 da una relazione tra la propria madre naturale, M.A. F., e - secondo l'assunto della ricorrente - B. B. - a proporre nel proprio interesse azione giudiziale   per la dichiarazione di paternità nei confronti del B.

La F. convenne, quindi, davanti allo stesso Tribunale il B., con atto del 12 novembre 1996, chiedendo che il convenuto fosse dichiarato suo padre naturale.

A sostegno della domanda addusse: - che la madre aveva avuto una relazione sentimentale col B., protrattasi dal 1962 per circa dieci anni, comprendente il periodo del concepimento;

    che il B. aveva inviato danaro a M.A. F. allo scopo di contribuire al suo mantenimento;
    che nel 1974 il B. l'aveva presentata alla propria madre come figlia, e che questa l'aveva trattata con affetto;
    che nel 1982, quando l'attrice aveva ormai 16 anni, il B., che da tempo si era trasferito da Genova, dove era iniziata la relazione, a Gubbio, l'aveva incontrata e, nell'occasione, aveva riconosciuto di essere suo padre.

Il convenuto, costituitosi, negò la paternità, e dichiarò che la relazione con la madre dell'attrice era cessata alcuni mesi prima del concepimento. Negò, altresì, di avere riconosciuto di essere il padre della F..

Con sentenza 15 gennaio 1999 il Tribunale, istruita la causa documentalmente ed espletata consulenza tecnica, dichiarò il B. padre naturale della F..

Su appello di questi, la Corte territoriale, con sentenza 28 marzo 2000, confermò la decisione di primo grado, osservando che la fondatezza di alcuni dei motivi dell'appello (in ordine, in particolare, alla disposta c.t.u. disposta nel giudizio di primo grado) non escludeva la fondatezza della pronuncia impugnata alla stregua dell'ampia documentazione probatoria, costituita dalla voluminosa corrispondenza intercorsa tra le parti, dalla quale risultava (v. lettere scritte dal B. e M.A. F.) che la relazione era continuata nella sua pienezza anche dopo la nascita di S., rimanendo così smentite le dichiarazioni del B. relative all'interruzione della relazione stessa prima del concepimento, e cioè nell'estate del 1965.

La Corte aggiunse che la paternità, già ipotizzabile sulla base di tali elementi, diveniva certezza alla stregua dell'ulteriore produzione epistolare da parte dell'appellata da cui traspariva l'interesse del B. per la bambina, e, specificatamente, della lettera del 14 gennaio 1968 da cui risultava la promessa del B. alla F. dell'invio di "qualcosa al mese" "per la S.".

Avverso questa sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione in base a due motivi. La F. ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 269, 2697 e 2729 c.c.. Il ricorrente sostiene che la Corte d'appello - affermando che la relazione sessuale tra il B. e la F. si era protratta oltre il tempo del concepimento - avrebbe assunto ad elemento di convincimento una circostanza di fatto di cui è vietato l'utilizzo per espressa disposizione di legge, e avrebbe basato il proprio convincimento su elementi indiziari - l'interesse del B. per la bambina e la promessa alla madre di inviarle danaro per contribuire al mantenimento della figlia - privi di requisiti di gravità, precisione e concordanza; pervenendo così all'accoglimento della domanda, malgrado il mancato assolvimento dell'onere della prova gravante sull'attrice. In definitiva, secondo il ricorrente, non sarebbe stata fornita alcuna prova sulla relazione intercorsa tra il B. e la F. anche dopo il concepimento della figlia. Lamenta, inoltre, che non sia stata ammessa la prova dedotta dal convenuto, diretta a dimostrare che dopo l'inizio della relazione con G. V. egli non aveva più avuto rapporti intimi con la F.; e a dimostrare, altresì, le ragioni dell'affetto manifestato verso la piccola S. e l'intenzione del B. di adottare un bambino. Infine, deduce che non sia stata provata l'esistenza dei requisiti della fama e del tractatus; che non siano state prese in considerazione le argomentazioni svolte dal B. in ordine alle condizioni psichiche della F., e che non sia stata disposta l'audizione delle cassette prodotte dal convenuto in primo grado, contenenti la registrazione di conversioni telefoniche intercorse tra il B. e la F. M.A.: elementi che, se valutati, avrebbero potuto escludere in sede di appezzamento dell'intero materiale probatorio, la sussistenza della inequivocità, gravità e convergenza degli indizi, posti dalla Corte a fondamento della pronuncia di accoglimento.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia vizi motivazionali, lamentando che la Corte di merito non abbia dato conto delle ragioni che l'avevano portata ad attribuire solo ad alcuni elementi e non ad altri valenza idonea a fondare il proprio convincimento e a negare ingresso alle richieste istruttorie richieste dal B..

Le censure (da esaminarsi congiuntamente perchè connesse) non hanno fondamento.

La Corte d'appello ha basato la propria decisione su tre elementi: la relazione sessuale tra il B. e la F. protrattasi ben oltre il tempo del concepimento; l'interesse manifestato dal B. per la bambina, anche con la richiesta di essere informato mensilmente sulla salute della piccola; la promessa di inviare denato alla F. per contribuire al mantenimento della figlia; tutti inequivocabilmente risultanti, secondo l'argomentato apprezzamento della sentenza impugnata, dal tenore delle lettere scritte dal B. alla F..

In tale contesto si rivelano privi di consistenza i rilevi del ricorrente.

Infatti, mentre nella formulazione originaria dell'art. 269 c.c. (antecedente alle modifiche introdotte con la legge di riforma (art. 113 l. 19 maggio 1975, n. 151) la ricerca della paternità naturale era consentita nel solo ambito di alcune presunzioni legali espressamente previste, il testo vigente prevede l'utilizzabilità di ogni mezzo di prova, salva l'insufficienza a tale fine, della sola dichiarazione della madre o della solo esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento.

Ma l'art. 269 c.c., invocato dal ricorrente, non esclude che le dichiarazioni della madre e l'esistenza di rapporti  tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento, nel concorso di altri elementi, anche presuntivi, possano essere utilizzati dal giudice del merito a sostegno del proprio convincimento (Cass. 9 giugno 1995, n. 6550 e Cass. 19 settembre 1997 n. 9307). Questi, infatti, è dotato di ampio potere discrezionale e può legittimamente basare il proprio apprezzamento in ordine all'esistenza del rapporto di filiazione anche su risultanze probatorie indirette ed indiziarie (ex plurimis, Cass. 20 marzo 1998, n. 2944; 29 maggio 1998, n. 5333; 15 gennaio 1999, n. 386; 17 novembre 2000, n. 14910). Ne è tenuto a confutare singolarmente tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che, valutate le risultanze e i rilievi nel loro complesso, indichi gli elementi su cui intende fondare la pronuncia, restando così disattese le argomentazioni (non menzionate specificamente) logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. 25 maggio 1995, n. 5478 e Cass. 10 giugno 1997, n. 5169).

Con specifico riferimento alla censura attinente al mancato ingresso delle istanze istruttorie presentate in primo grado, essa risulta inammissibile, posto che il ricorrente si è limitato ad un generico rinvio ad atti pregressi del giudizio; rinvio incompatibile con il carattere necessariamente esaustivo del ricorso per cassazione (ex plurimis, Cass. 25 maggio 1995, n. 5748 e Cass. 25 marzo 1999, n. 2838).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 2.100,00 di cui euro 2.000,00 per onorari.