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Danni patrimoniale e morali - Superamento del principio della presunzione di pari concorsodi colpa

del principio della presunzione di pari concorsodi colpa - liquidazione di danni da fatto illecito - Il danno non patrimoniale di cui all’articolo 2059 Cc (con i limiti in

Responsabilita' civile automobilistica - Danni patrimoniale e morali - Superamento del principio della presunzione di pari concorso di colpa - liquidazione di danni da fatto illecito - Il danno non patrimoniale di cui all’articolo 2059 Cc (con i limiti in esso previsti, salvo per il danno non patrimoniale da lesione di valori della persona umana costituzionalmente garantiti) è risarcibile sempre che sia provata la colpa del conducente dell’auto. (Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 15-27 ottobre 2004, n. 20814)

Svolgimento del processo

L’Unipol Spa, con citazione notificata il 21 luglio 1988 conveniva davanti al tribunale di Verona, Gianluca Paglia, Rosanna Cavazzoni, Margherita Nardi, Enrico De Rossi, Mario Barone, nella qualità di tutore di Gianluca Sestito e Luigi Vantini, chiedendo che fosse accertato il diritto di essa attrice a contenere nel limiti del massimale di lire 500 milioni l’obbligazione per il risarcimento del danno, conseguito al sinistro provocato dal Paglia il 5 novembre 1988, in occasione del quale tutti i convenuti, ad eccezione della Nardi, avevano riportato lesioni personali.

I convenuti presentavano domanda riconvenzionale: il Paglia di accertamento della concorrente responsabilità dei conducenti degli altri veicoli, con conseguente condanna al risarcimento dei danni in misura proporzionale al concorso di colpa e gli altri convenuti, ad eccezione del Vantini per il ristoro dei rispettivi danni.

In corso di causa intervenne il ministero della Difesa, avanzando la domanda di partecipare al riparto del massimale per le erogazioni effettuate al Sestito ed al De Rossi per il periodo di invalidità ordinaria e per aver costituito a favore degli stessi pensione ordinaria privilegiata.

Il Tribunale accolse la domanda principale e quelle riconvenzionali proposte dal Sestito (trasportato sull’auto condotta dal De Rossi), Cavazzoni (trasportata sull’auto condotta dal Paglia) e dal De Rossi e condannò il Paglia (in solido con l’Unipol nei limiti del massimale) al pagamento in favore del Sestito di lire 829.494.000, in favore della Cavazzoni di lire 185.361.000 ed in favore del De Rossi di lire 134.944.000. Riteneva il tribunale, sulla base del rapporto di Pg, che la responsabilità esclusiva del sinistro fosse del Paglia, perché si era immesso da una strada provinciale su una strada statale, su cui viaggiava l’auto condotta dal De Rossi, violando l’obbligo, regolarmente segnalato, di arresto e precedenza all’incrocio.

Riteneva il Tribunale che il De Rossi aveva riportato un danno biologico nella misura del 10%, oltre a danno estetico e morale; la Cavazzoni un danno biologico del 30%, mentre il Sestito era stato ridotto in condizioni di totale invalidità.

Avverso questa sentenza proponevano appello il ministero della Difesa ed il Paglia ed appelli incidentali il Sestito, il De Rossi e la Nardi. La Corte di appello di Venezia, con sentenza depositata il 30 settembre 1999, per la parte che ancora interessa ed in parziale riforma dell’impugnata sentenza, per il resto confermata, condannava Gianluca Paglia al pagamento della somma di euro 267.614.829 in favore del ministero della Difesa, della somma di euro 151.307.000 in favore di Enrico De Rossi, della somma di lire 779.577.870 in favore di Gianluca Sestito della somma di euro 7.157.000 in favore di Margherita Nardi; confermava la liquidazione del danno in favore della Cavezzoni e provvedeva alla ripartizione del massimale tra i vari danneggiati.

Riteneva la Corte di merito che la responsabilità dell’incidente fosse da ascriversi al Paglia per l’individuato profilo di colpa, e cioè per non essersi arrestato all’incrocio e per non aver concesso la precedenza all’auto del De Rossi, giusto il segnale stradale in questo senso; che tuttavia il De Rossi non aveva superato la presunzione di colpa di cui all’articolo 2054, comma 2, Cc, né aveva dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare l’incidente, per cui ascriveva il 70% della responsabilità al Paglia ed il residuo 30% al De Rossi. Secondo la Corte territoriale non poteva accogliersi la richiesta di consulenza tecnica sulla dinamica del sinistro, ricostruito sulla base del rapporto dei Carabinieri, poiché la consulenza non poteva avere ad oggetto attività che costituivano il contenuto dell’onere probatorio delle parti; non potevano ammettersi i testi indicati, poiché essi erano gli stessi verbalizzanti. Riteneva, quindi, la Corte di merito di liquidare il danno morale in favore dei danneggiati in una frazione del danno biologico e, quindi, liquidava in favore del Sistito la somma di lire 400 milioni per danno morale, la somma di lire 65 milioni in favore del De Rossi e confermava la somma liquidata a tale titolo dal primo giudice in favore della Cavezzoni. Il giudice di appello riteneva, quindi, di liquidare in favore del De Rossi anche il danno per le quattro protesi dentarie, necessarie nel corso della propria vita, nella misura di lire 60 milioni determinata sulla base della comune esperienza e dell’equità e condannava il Paglia al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore di tutti i danneggiati. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Paglia Gianluca, affidandolo a sette motivi.

Non hanno svolto attività difensiva gli intimati.

Motivi della decisione

- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 2054 Cc (articolo 360 n. 3, Cpc) nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 n. 5 Cpc).

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata ha immotivatamente superato il principio della presunzione di pari concorso di colpa, poiché avendo ritenuto che il De Rossi non aveva fornito la prova per superare tale presunzione e, quindi, avendo ritenuto lo stesso corresponsabile del sinistro, doveva ritenersi paritario il concorso di colpa a norma dell’articolo 2054, comma 2, Cc.

Lamenta poi il vizio motivazionale della sentenza per aver ritenuto preponderante l’apporto causale di esso ricorrente.

- Ritiene questa Corte che il motivo è infondato e che lo stesso vada rigettato.

Infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte, nel caso di scontro tra veicoli, l’accertamento in concreto di responsabilità di uno dei conducenti non comporta il superamento della presunzione di colpa concorrente sancito dall’articolo 2054 Cc essendo a tal fine necessario accertare in pari tempo che l’altro conducente si sia pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l’incidente. Conseguentemente, l’infrazione, anche grave, come l’inosservanza del diritto di precedenza, commessa da uno dei conducenti non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell’altro conducente al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell’evento dannoso (Cassazione 5671/00; 10156/94).

- Nella fattispecie la Corte di merito ha accertato in concreto (infatti parla di “individuato profilo di colpa”) la colpa del ricorrente nella misura del 70%, per non aver lo stesso dato la precedenza all’auto antagonista,pur avendone l’obbligo per l’apposito segnale posto sulla strada che egli percorreva, mentre solo il residuo 30% è stato posto a carico del De Rossi, a titolo di presunzione di colpa.

Ne consegue che, essendo stata accertata in concreto la colpa del ricorrente nella predetta misura, il concorso di colpa presunta opera solo a carico dell’altro conducente (De Rossi) nella residua percentuale, mentre la presunzione di concorso di colpa nella stessa percentuale (50%), opera solo allorché per entrambi i conducenti non si è riuscito ad accertare in concreto la loro colpa.

- Quanto all’assunto vizio motivazionale, rileva preliminarmente questa Corte che l’accertamento dell’entità delle colpe concorrenti costituisce una valutazione rimessa al giudice di merito ed è incensurabile in questa sede di Cassazione, se non per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione.

Nella fattispecie la sentenza impugnata ha ritenuto preponderante l’efficienza causale dell’infrazione commessa dal Paglia (mancata concessione della precedenza e, quindi, dell’obbligo di arresto per il sopraggiungere dell’auto del De Rossi), avendo essa innestata la sequenza causale conclusasi con il sinistro.

Ritiene questa Corte che detta motivazione sia immune da censure nei limiti del sindacato di legittimità sul vizio di motivazione.

- Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 n. 3 Cpc), in relazione agli articoli 115 e 116 Cpc

Secondo il ricorrente la Corte di appello ha fondato la sua decisione esclusivamente sul rapporto dei Carabinieri, non compiendo alcun atto istruttorio per l’accertamento delle responsabilità, mentre detti rilievi dei verbalizzanti furono compiuti quando già l’incidente si era verificato, per cui non è possibile stabilire in maniera univoca quali fossero le modalità dell’incidente e la stessa direzione di marcia dei veicoli, nonché il punto d’urto.

- Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (articolo 360 n. 5 Cpc), per avere acriticamente recepito il verbale dei Carabinieri.

Assume il ricorrente che in ogni caso dalla planimetria dei Carabinieri emergeva che nel punto di incrocio delle due strade vi era un segnale di precedenza in favore degli utenti della S.S. 249 e da parte degli utenti della strada provinciale, e non un segnale di “Stop”, come erratamente ritenuto dal giudice di appello.

- Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 61, 115, 116 Cpc (ai sensi dell’articolo 360 n. 3 Cpc).

Assume il ricorrente che erratamente la Corte di merito non ha ammesso la consulenza sulla dinamica del sinistro, sul rilievo che la Ctu non era un mezzo di prova, ma solo uno strumento di valutazione dei dati già acquisiti nel processo, mentre nella fattispecie essa era necessaria.

- Ritiene questa Corte che i suddetti motivi vanno esaminati congiuntamente, essendo strettamente connessi.

Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati e per l’effetto vanno rigettati.

Osserva preliminarmente questa Corte che l’accertamento della dinamica di un sinistro stradale, attenendo ad un accertamento fattuale, rientra nei compiti del giudice di merito e non è censurabile in cassazione, se non per vizio motivazionale.

Il giudice di merito nell’accertamento di tale dinamica ben può riportarsi anche agli accertamenti effettuati dagli organi di polizia, riportati nel relativo verbale.

Questo, mentre fa piena prova, fino a querela di falso, per i fatti che il Pu dichiara di aver personalmente compiuto o personalmente constatato, per tutte le altre circostanze costituisce materiale indiziario, che può esser superato da prova contraria.

Nella fattispecie, quindi, non è censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui fonda la ricostruzione dell’incidente sulla base del verbale dei Carabinieri, ritenendo che dai rilievi fatti dai verbalizzanti emergeva che l’auto del Paglia proveniva dalla strada provinciale, senza dare la precedenza ed arrestarsi all’incrocio con la strada statale, su cui sopraggiungeva l’auto del De Rossi.

- Quanto alla censura, secondo cui erratamente il giudice di merito non avrebbe compiuto altri atti istruttori, la stessa è inammissibile per genericità, sotto il profilo del mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso.

Infatti osserva questa Corte che la parte che deduca come mezzo di impugnazione per Cassazione un vizio di motivazione della sentenza imputata, da correlarsi alla mancata ammissione di incombenti istruttori da lei articolati, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di indicare, nel ricorso stesso, il momento del processo in cui ebbe a dedurre l’incombente assunto non ammesso e il contenuto preciso di questo (con la trascrizione dei capitoli di prova, ove si tratti di prova testimoniale), ed il nesso di causalità tra l’asserita omissione e la decisione, in quanto solo tali indicazioni possono consentire al giudice della legittimità cui resta precluso l’esame diretto degli atti dì causa  di verificare la decisività della prova offerta e denegata, e di accertare, quindi, la fondatezza della censura (Cassazione 6927/95; 9928/94).

- Quanto alla censura secondo cui erratamente la sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie la strada provinciale all’incrocio presentava un cartello di “stop”, mentre invece trattatasi solo di un cartello di “precedenza”, come emergeva dal rapporto dei Carabinieri, osserva questa Corte che la stessa è inammissibile.

Infatti, a parte il rilievo che nella ricostruzione dell’incidente operata dal giudice di merito ciò che assume rilievo è soprattutto la mancata concessione della precedenza, in ogni caso la censura cosi come proposta si risolve in un travisamento del fatto da parte del giudice di appello e, quindi, andava proposta solo con il rimedio revocatorio.

Infatti va rilevato che il travisamento del fatto non può costituire motivo di ricorso per cassazione, poiché, risolvendosi in un’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex articolo 395, n. 4 Cpc (Cassazione 4310/97; 4018/96).

- Infondata è anche la censura di mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro. Osserva preliminarmente questa Corte che il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, con la conseguenza che quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo (Cassazione 7964/95; 10938/96).

- La Corte di merito non ha accolto la richiesta di consulenza ritenendo che nella fattispecie la consulenza tecnica non avrebbe potuto che formulare mere ipotesi, mentre essa non poteva accogliersi come mezzo per acquisizione di mezzi di prova necessari alla ricostruzione dell’incidente, poiché detta attività costituiva il contenuto dell’ onere probatorio delle parti.

Peraltro dalla complessiva motivazione della sentenza sulla ricostruzione della dinamica del sinistro emerge che il giudice di appello ha ritenuto, proprio sulla base del rapporto e dei rilievi dei Carabinieri di poter accertare che l’incidente era da ascriversi, almeno nella misura del 70 %, alla mancata precedenza da parte del Paglia in favore del de Rossi, che procedeva sulla strada statale.

Nella fattispecie, quindi, non vi erano accertamenti tecnici da deferire necessariamente ad un consulente, ma solo la ricostruzione di un incidente nella sua dinamica ed il giudice ha ritenuto che, sulla base di dati acquisiti, la mancata precedenza era stata la causa principale del sinistro.

Tanto non integra un vizio motivazionale sindacabile in sede di legittimità.

- Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 n. 3 Cpc) in relazione agli articoli 2054, 2059 e 2043 Cc ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Assume il ricorrente che la Corte territoriale l’abbia condannato al risarcimento dei danni morali in favore del Sestito, De Rossi e Cavezzoni, sebbene l’affermazione della responsabilità del Paglia e del De Rossi fosse stata effettuata a norma della presunzione di cui all’articolo 2054, comma 2, Cc, mentre per giurisprudenza costante il danno non patrimoniale, non poteva essere riconosciuto allorché la responsabilità veniva accertata a norma dell’articolo 2054 Cc, poiché in tal caso non vi è un accertamento del fatto come reato.

Lamenta poi il ricorrente che il risarcimento del danno morale sia stato effettuato con il criterio di una frazione del danno biologico, senza alcun riferimento al caso concreto. - Ritiene questa Corte che il motivo è infondato e che lo stesso vada rigettato.

Anzitutto, quanto al risarcimento del danno morale in favore del De Rossi, conducente dell’auto antagonista, va osservato, giusto quanto già detto al punto 2, che il giudice di merito ha accertato una cosiddetta colpa in concreto del Paglia nella misura del 70%, mentre la responsabilità nella misura del 30% a carico del De Rossi è stata ritenuta tale, non avendo questi superato la presunzione di colpa concorrente posta a suo carico dall’articolo 2054, comma 2 Cc.

Ne consegue che, nella fattispecie quanto all’illecito commesso in danno del De Rossi ed al conseguente danno non patrimoniale da questi subito, il motivo non è conferente, non avendo il giudice di appello ritenuta la colpa presunta del Paglia.

- Meno chiara è la posizione dell’impugnata sentenza in merito alla responsabilità del Paglia per l’illecito in danno dei trasportati Sestito (trasportato a bordo del veicolo del De Rossi) e Cavezzoni (trasportata a bordo del veicolo del Paglia): non è infatti specificato se nei confronti di tali trasportati, che indipendentemente dal titolo del trasporto sono assistiti dalla tutela risarcitoria extracontrattuale di cui all’articolo 2054 Cc (cfr. Cassazione 10629/98; 4022/01), il Paglia sia stato ritenuto responsabile sulla base dell’accertamento di una colpa in concreto o solo presunta ex articolo 2054 Cc, avendo ritenuto la sentenza impugnata che, proprio la qualità di autotrasportati dei detti due danneggiati e la possibilità di richiedere ex articolo 2055 Cc l’intero risarcimento del danno a ciascuno degli eventuali coobbligati, rendeva ininfluente tale questione.

Sennonché ritiene questa Corte che, in ogni caso, non sussista l’assunta violazione e falsa applicazione degli articoli 2054, 2059 e 2043 Cc, sotto il profilo prospettato.

- Osserva preliminarmente questa Corte che il consolidato orientamento giurisprudenziale, che escludeva la risarcibilità del danno non patrimoniale, nella corrente accezione di danno morale subiettivo, allorquando la responsabilità dell’autore materiale del fatto illecito fosse stata affermata non già in base all’accertamento concreto dell’elemento psicologico (cioè almeno la colpa), ma in base ad una presunzione, quali quelle stabilite dagli articoli 2050 a 2054 Cc, è stato modificato dalla più, recente giurisprudenza di questa Corte che ha invece ritenuto che «ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale ex articolo 2059 e 185 Cp non osta il mancato positivo accertamento dell’autore del danno se essa, come nel caso di cui all’articolo 2051 Cc, debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato» (Cassazione 7281/03).

Ritiene questa Corte di dover condividere questo principio nella sua innovativa impostazione, pur dovendone limitare la portata solo alle ipotesi di presunzioni di colpa, non essendone possibile l’estensione alle ipotesi di presunzione di responsabilità, intese come ipotesi di responsabilità oggettiva.

- Il suddetto principio si fonda essenzialmente sulla considerazione che sono mutati i rapporti tra il processo civile e quello penale a seguito dell’introduzione del nuovo codice di procedura penale (entrato in vigore nell’ottobre del 1989) ed è venuta meno la preminenza della giurisdizione penale su quella civile, con affermazione, invece dell’autonomia tra i due giudizi, salvo qualche limitata eccezione (principio enucleato dagli articoli 75 e 651 e ss. Cpp), e contemporaneamente si è ampliata la nozione di danno non patrimoniale risarcibile a norma dell’articolo 2059 Cc, sia per effetto di specifiche disposizioni legislative attinenti fattispecie particolari, sia per l’ammissione per effetto di recente giurisprudenza di questa Corte, a riparazione di danni non patrimoniali attinenti la lesione di valori propri della persona umana, in riferimento all’articolo 2 Costituzione, indipendentemente dai limiti posti dall’articolo 2059 Cc (cfr. Cassazione8827 ed 8828/03).

- In modo pienamente condivisibile, pertanto, la suddetta sentenza 7281/03 statuisce che «proprio per l’insopprimibile diversità degli ambiti sembra del tutto improprio frustrare gli scopi di una disposizione, quale è l’articolo 2059, che non mira a punire il responsabile, ma a consentire il risarcimento del danneggiato dal fatto illecito, anche se leso in interessi non economici, operandone un’interpretazione del tutto antinomica rispetto all’esigenza alla quale il sistema in cui è inserita palesemente si ispira: quella appunto di rendere possibile il risarcimento del danno anche se la prova della colpa sia raggiunta grazie ad una presunzione legale (articoli 2050/2054).

Del resto la presunzione, legale o non che sia, in altro non si risolve che in una prova del fatto ignoto».

- Il principio, in relazione alla presunzione di colpa, va decisamente condiviso.

Una volta affermata l’autonomia tra il giudizio civile e quello penale, il giudice civile deve accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità aquiliana, posta al suo esame, con i mezzi suoi propri e quindi, con i mezzi di prova offerti al giudice dal rito civile per la sua decisione.

Tra questi mezzi non solo vi è la presunzione, legale o non, ma addirittura vi sono le cosiddette “prove legali”, in cui la legge deroga al principio del libero convincimento del giudice (articoli 239 Cpc, articoli 2700, 2702, 2705, 2709, 2712, 2713, 2714, 2715, 27120, 2733; 2734, 2735, 2738,Cc).

La categoria delle prove legali è completamente sconosciuta all’ordinamento penale (la stessa confessione non costituisce assolutamente “piena prova” del fatto ma va vagliata nell’ambito del libero convincimento del giudice, cfr. Cassazione penale 26 aprile 1991, Donadoni), mentre non vi è dubbio che il giudice civile sia vincolato a quanto risulta provato con la confessione o con il giuramento o con altra prova legale.

Né in verità, nella pratica giudiziaria, si dubita che se l’illecito sia provato, in concreto, attraverso una confessione, al soggetto danneggiato competa in caso di lesioni anche il danno morale, senza possibilità che la confessione debba essere vagliata nella sua genuinità ed attendibilità ed in raffronto agli altri elementi probatori esistenti, come nel rito penale (l’unico problema che si pone è solo per l’efficacia di detta confessione nei confronti di soggetti coobbligati).

Ne consegue che va pienamente condiviso il principio. secondo cui nell’ipotesi di danno morale conseguente al reato, costituisce accertamento in concreto dell’elemento’ psicologico del reato, anche quello raggiunto dal giudice attraverso il mezzo di prova costituito da una presunzione legale di colpa.

- Ciò che occorre mettere in risalto è che detto principio non incide sulla struttura sostanziale dell’articolo 2059 Cc.

Perché sia risarcibile il danno non patrimoniale rimane pur sempre necessario che la risarcibilità di tale danno sia prevista dalla legge (salva l’ipotesi di danno morale conseguente alla lesione di valore della persona umana costituzionalmente garantito, giusta l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 Cc, di cui alle sentenze 8827 ed 8828/03).

Ne consegue che, allorché il risarcimento del danno non patrimoniale sia richiesto in quanto conseguenza di reato (e quindi nell’ipotesi di cui all’articolo 185 Cp) è pur sempre necessario che detto reato sussista nei due suoi elementi; quello materiale e quello psicologico (dolo o colpa).

- Ciò su cui incide il principio sopra detto è esclusivamente sul regime probatorio: il giudice civile accerterà ì due suddetti elementi con i mezzi di prova suoi propri e non con quelli del giudice penale. È vero che si sostiene che, in mancanza di un accertamento penale che faccia stato nei limitati casi di cui agli articoli 651 e ss. Cpp, il giudice civile dovrà procedere all’accertamento degli elementi costitutivi del reato (Cassazione 3737/01; 2367/00), ma questo accertamento non viene da lui effettuato in sostituzione del giudice penale per gli effetti penali, ma esclusivamente per gli effetti civili e nell’ambito di un procedimento civile, che ha un regime probatorio suo proprio e finalità proprie.

- Ribadito quindi che dall’interpretazione giurisprudenziale suddetta non derivano conseguenze che incidono sulla struttura sostanziale dell’articolo 2059 Cc, ma solo effetti sul regime probatorio finora adottato, ne consegue che nell’ipotesi di danno non patrimoniale conseguente a reato è pur sempre necessario l’accertamento dell’elemento materiale dello stesso nonché dell’elemento psicologico, quanto meno colposo, pur potendosi quest’ultimo “accertare” nell’ambito del procedimento civile con presunzione legale, ovvero con altra prova legale riconosciuta dall’ordinamento civile. In questo caso, infatti, non manca l’accertamento dell’elemento psicologico del reato, ma nell’ambito civile esso è stato raggiunto con i mezzi propri di quell’ordinamento.

Pertanto se il reato è previsto anche a titolo di colpa (come nell’ipotesi di lesioni personali), la fattispecie legale dell’illecito da reato risulta integrata in sede civile, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, anche se detta colpa risulta acquisita al procedimento sulla base di una presunzione di legge.

- Ben diversa, invece, è l’ipotesi in cui il legislatore non preveda una presunzione di colpa, come appunto nei primi due commi dell’articolo 2054 Cc, ma una presunzione di responsabilità, intesa, quale responsabilità oggettiva, come nell’ipotesi di cui all’ultimo comma dell’articolo 2054 (danni da difetto di costruzione o manutenzione cfr. Cassazione 1019/81), ovvero negli articoli 2051 e 2052 Cc.

In questi casi la responsabilità del danneggiante ha natura oggettiva, perché fondata sul solo rapporto tra il danneggiante e la cosa e l’unica prova liberatoria concessa è quella volta a negare la sussistenza del nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso.

È infatti giurisprudenza pacifica che in queste ipotesi di responsabilità oggettiva, è privo di ogni rilevanza il comportamento, anche se diligente, del danneggiante e la responsabilità extracontrattuale dello stesso è fondata solo sull’elemento materiale, mentre la prova liberatoria del fortuito (riconosciuta per ogni ipotesi di responsabilità oggettiva e quindi anche per quella di cui all’articolo 2054, ultimo comma, Cc) incide non sull’elemento psicologico, estraneo alle specifiche fattispecie di responsabilità definita  appunto  oggettiva, ma sul nesso di causalità, è quindi sempre nell’ambito dell’elemento materiale, sul quale solo è costruita la specifica ipotesi di responsabilità extracontrattuale oggettiva.

In questi casi, quindi, il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile (che può essere anche assolutamente incolpevole) ma alle modalità di causazione del danno (cfr. Cassazione 5031/98).

In queste ipotesi quindi, non vi è una presunzione di colpa, ma un’irrilevanza della colpa e tutta la responsabilità è fondata sull’accertata esistenza dell’elemento materiale condotta, nesso di causalità, evento dannoso).

Nelle fattispecie di responsabilità oggettiva, mancando ogni accertamento della colpa, sia pure fondato su presunzione legale, si rende necessario che il giudice civile, con i mezzi di prova del suo rito, accerti anche tale elemento, al fine di ritenere sussistente il reato e, quindi, risarcibile il danno non patrimoniale.

- Tale principio va coordinato con quanto affermato dalla recente e condivisa giurisprudenza (Cassazione 8828 e 8827/03), che ha esattamente ritenuto che nella lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 Cc deve ritenersi risarcibile il danno non patrimoniale, conseguenza delle lesioni di valori della persona umana, costituzionalmente garantiti, anche al di fuori delle limitazioni poste dall’articolo 2059 Cc.

Anche questa giurisprudenza infatti (segnatamente la sentenza 8828) rileva che, pur senza le limitazioni di cui all’articolo 2059 Cc, il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione di valori della persona umana postula la verifica degli elementi nei quali si articola l’illecito civile extracontrattuale definito dall’articolo 2043 Cc e dunque del nesso di causalità tra azione ed evento, del collegamento giuridico tra fatto e conseguenze dannose e dell’elemento soggettivo.

Ne consegue che, anche in queste ipotesi, perché la lesione dia luogo al risarcimento del danno non patrimoniale è necessario che essa sia addebitabile almeno a colpa del danneggiante, rimanendo poi valido quanto detto sopra, e cioè che la prova di detta colpa può anche fondarsi su una presunzione legale.

- Tuttavia, nel caso in cui la fattispecie legale di responsabilità extracontrattuale sia costruita normativamente in termini di responsabilità oggettiva, detta responsabilità per lesione di valori costituzionalmente garantiti attiene sia ai danni patrimoniali che non patrimoniali.

Infatti, venute meno le restrizioni poste dal legislatore ordinario per il risarcimento dei danni non patrimoniali, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale pienamente condiviso in tema di lesioni di valori della persona umana, costituzionalmente protetti, non potrebbe giustificarsi che la responsabilità per il danno patrimoniale da lesione di detti valori abbia carattere oggettivo mentre quella per il danno non patrimoniale necessiti dell’elemento soggettivo.

Peraltro la norma in tema di danni non patrimoniali, di cui all’articolo 2059 Cc, è costruita in termini di restrizioni del risarcimento di detto danno (“nei soli casi determinati dalla legge”) e non di restrizione della responsabilità extracontrattuale, la quale è regolata in termini generali dall’articolo 2043 Cc ed in termini speciali dalle norme successive (articoli 2044-2054), con riferimento a fattispecie specifiche. Sono le predette norme che individuano, per così dire a monte, se un soggetto è responsabile o meno extracontrattualmente, e ciò indipendentemente dal punto se il danno sia patrimoniale o meno. Quando poi si passa al risarcimento del danno morale, la norma di cui all’articolo 2059 Cc pone la restrizione della specifica previsione legislativa del risarcimento di tale danno.

Se la restrizione viene meno, giusta la condivisa giurisprudenza suddetta, perché trattasi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente garantiti, il risarcimento è dovuto dal soggetto ritenuto responsabile dalla precedente norma anche se a titolo oggettivo.

- Nel caso, invece, di responsabilità solidale per fatto altrui, come nell’ipotesi di cui all’articolo 2054, comma 3, (responsabilità del proprietario del veicolo) ovvero, secondo parte della dottrina, anche nell’ipotesi di cui all’articolo 2049 Cc, per quanto siano considerate forme di responsabilità oggettiva, detta responsabilità ha pur sempre come limite l’illecito colpevole dell’autore immediato.

Ne consegue che in questa ipotesi, in tema di danno non patrimoniale, l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato sempre va effettuato, sia pure con riferimento all’autore immediato (salvo ovviamente  quanto detto in tema di responsabilità oggettiva in fattispecie di lesioni di valori della persona costituzionalmente tutelati).

Una volta accertata l’esistenza degli elementi astrattamente costitutivi del reato a carico dell’autore immediato, ne risponde oggettivamente ed indirettamente il soggetto obbligato per fatto altrui.

- In definitiva, e con riguardo all’articolo 2054, comma 1 e 2 Cc, il danno non patrimoniale di cui all’articolo 2059 Cc (con i limiti in esso previsti, salvo per il danno non patrimoniale da lesione di valori della persona umana costituzionalmente garantiti) è risarcibile sempre che sia provata la colpa del conducente dell’auto.

Detta prova è validamente costituita anche dalla presunzione legale di colpa a carico del conducente e, quindi, dal mancato superamento di tale presunzione.

Una volta acquisita detta prova della colpa del conducente, di detto danno non patrimoniale risponde anche il proprietario, indipendentemente da una sua colpa (articolo 2054, comma 3 Cc).

Nell’ipotesi di cui al comma 4 dell’articolo 2054 Cc, vertendosi solo in ipotesi di responsabilità oggettiva e non di presunzione dì colpa, al fine del risarcimento del danno non patrimoniale, sempre nei limiti di cui all’articolo 2059 Cc(e quindi dell’articolo 185 Cpp), è necessario che sia provata, con qualunque mezzo di prova ammesso dal rito civile, l’elemento psicologico del conducente o del proprietario, salvo che si versi in ipotesi di danno da lesioni di valori costituzionalmente protetti, nel qual caso  venuta meno la limitazione posta dall’articolo 2059 Cc  la responsabilità oggettiva fonda non solo il risarcimento del danno patrimoniale ma anche di quello non patrimoniale.

- Sulla base di quanto sopra detto, risulta quindi infondata l’assunta censura di violazione e falsa applicazione degli articoli 2043,2054 e 2059 Cc.

- Infondata è anche la censura attinente alla liquidazione del danno morale.

La giurisprudenza dì merito utilizza in modo prevalente il criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell’importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico. Ciò è stato ritenuto non di per sé illegittimo, se il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria “personalizzazione” del criterio detto al caso concreto ed apportando, se del caso, gli eventuali consequenziali correttivi in aumento o in diminuzione.

Il criterio, infatti, è ispirato alle stesse esigenze che giustificano la liquidazione del danno alla salute in base al sistema cosiddetto del “valore del punto di invalidità” ed è quindi volto proprio ad evitare che la valutazione inevitabilmente equitativa del danno non patrimoniale assuma connotazioni ogni volta diverse, imprevedibili, suscettibili di apparire arbitrarie anche in ragione dell’insopprimibile difficoltà di offrire appaganti e controllabili ragioni giustificative di una determinazione quantitativa che ha funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze indotte dal fatto lesivo costituente reato.

Il dichiarato ricorso a tale criterio è pertanto legittimo solo ove il giudice abbia mostrato, per quanto con motivazione sintetica, di aver tenuto adeguato conto delle particolarità del caso concreto (essendo questo specifico l’oggetto della sua valutazione e del sua giudizio) e di non aver rimesso la liquidazione del danno ad un puro automatismo (Cassazione 475/99; 10725/00; 5366/98).

- Nella fattispecie dal complesso della motivazione della sentenza impugnata si intende che la stessa ha tenuto conto, pur nell’applicazione delle frazioni del danno biologico al fine della liquidazione del danno morale, delle conseguenze che le lesioni avevano avuto sui danneggiati, sotto ogni profilo, e quindi, per questa via, delle particolarità del caso concreto.

- Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 n. 3 Cpc), in relazione agli articoli 115, 116 Cpc e 2697 Cc, nonché l’omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Il ricorrente lamenta la violazione delle suddette norme in relazione al danno lamentato dal De Rossi per le spese necessarie per l’installazione di protesi dentarie, elevando a lire 60 milioni le spese concernenti, senza che vi fosse in atti una prova in tal senso. Ritiene il ricorrente che la giustificazione fondata sulla “comune esperienza” e sull’equità, in assenza di prove offerte dalla parte, comporta la violazione dell’onere probatorio ed in ogni caso il vizio di motivazione.

- Ritiene questa Corte che il motivo è infondato e va rigettato. Anzitutto il giudice di merito ha accertato sulla base della Ctu che per effetto delle fratture dentali riportate il De Rossi avrebbe dovuto far ricorso a protesi non solo funzionali ma anche estetiche, da rinnovare almeno quattro volte durante la vita del danneggiato; ha quindi ritenuto, sulla base della comune esperienza e dell’equità, che il danno per l’installazione di tali protesi era pari a lire 60 milioni. Il giudice di merito ha, in buona sostanza, proceduto  fondandosi sulla comune esperienza  ad una liquidazione equitativa di detto danno, accertatane l’esistenza.

Osserva a tal fine questa Corte che per la liquidazione di danni da fatto illecito, che si proiettano nel futuro può procedersi ad una valutazione equitativa in base al principio dell’id quod plerumque accidit e l’esercizio di tale facoltà di liquidazione equitativa, non è censurabile in Cassazione, ove vengano indicati i criteri seguiti (cfr. Cassazione, 8281/96; 4473/95).

- Nella fattispecie il giudice di merito ha liquidato equitativamente la somma in futuro occorrente per le quattro successive protesi dentarie fondandosi sui dati di “comune esperienza”.

Il ricorrente, anzitutto, non contesta che nella fattispecie il giudice potesse avvalersi della potere di liquidazione equitativa (infatti non assume la violazione degli articoli 1226 e 2056 Cc). Inoltre non contesta detti costi, ritenendo che il criterio indicato dal giudice avrebbe dovuto indurre ad una liquidazione più contenuta, perché sul mercato il costo corrente delle protesi era per comune esperienza inferiore, ma si limita a contestare la mancanza di prova in merito al risultato liquidatorio, cui è giunto il giudice.

Sennonchè il potere di liquidazione equitativa del danno opera proprio nei casi in cui, certo il danno, non sia possibile fornire la prova dell’ammontare dello stesso.

- Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 n 3 e 5 Cpc) in relazione agli articoli 91 e 92 Cpc, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Lamenta il ricorrente di essere stato condannato dalla Corte di appello alla totale refusione delle spese, mentre i suoi motivi di appello erano stati in parte accolti.

- Ritiene questa Corte che il motivo non possa essere accolto. Infatti in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cassazione 16012/02; 14095/02; 9840/96).

- Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione, non avendo svolto attività difensiva gli intimati.

PQM

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.