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Responsabilita' della banca per il pagamento di un assegno a firma falsa

Responsabilita' della banca per il pagamento di un assegno a firma falsa - Corte Suprema di Cassazione -   Giurisprudenza Civile e Penale Sentenza n. 12471 del 12 ottobre 2001

 Responsabilità della banca per il pagamento di un assegno a firma falsa

Corte Suprema di Cassazione -   Giurisprudenza Civile e Penale Sentenza n. 12471 del 12 ottobre 2001
(Sezione Prima Civile - Presidente C. Carnevale - Relatore U. Vitrone

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con atto di citazione notificato il 24 settembre 1990 C. B., unico erede di N. B., esponeva di aver accertato che erano stati presentati all'incasso poco prima del decesso di suo padre quattro assegni per complessive L. 46.700.000  spiccati sul conto corrente n. 10/5553 a lui intestato presso l'agenzia n. 36 dell'(omissis), le cui firme risultavano palesemente difformi dallo specimen depositato in banca. Aggiungeva l'attore che una perizia grafica eseguita su sua richiesta aveva evidenziato la falsità della firma in uno solo dei quattro assegni mentre nei restanti tre non era stato possibile rilevare alcuna appariscente falsità delle sottoscrizioni. Conveniva perciò in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino il predetto Istituto per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti al pagamento degli assegni, avvenuto senza il preventivo accertamento con la dovuta diligenza della falsità delle firme di traenza. L'(omissis) eccepiva che gli assegni risultavano formalmente regolari in tutti i loro elementi essenziali e non presentavano anomalie di sorta; aggiungeva che tre di essi, per complessive L. 46.000.000, erano stati presentati all'incasso dalla sorella del defunto, I. B., e accreditati sul suo conto corrente, mentre il quarto, di L. 700.000 era stato pagato a tale G. B. i cui estremi identificativi erano stati riportati sul titolo. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda e, in subordine, l'autorizzazione a chiamare in causa la B. e il B. per essere tenuto indenne dalle conseguenze negative derivanti dall'eventuale accoglimento della domanda. Autorizzata la chiamata in causa, la B. si costituiva e contestava la falsità delle firme di traenza specificando che i tre assegni da lei in cassati erano stati sottoscritti dal de cuius alla presenza della madre, di suo fratello G. e di essa prenditrice, e che il quarto era stato emesso a favore dell'amministratore del condominio per il pagamento delle spese condominiali.

I1 B. non si costituiva in giudizio.
Con sentenza del 24 marzo - 17 luglio 1995 il tribunale accoglieva la domanda principale e condannava l'(omissis) al risarcimento dei danni in misura pari alla somma portata dai quattro assegni con rivalutazione e interessi, rigettando la domanda di garanzia. A sostegno della decisione affermava che l'attore già nell'atto di citazione aveva in buona sostanza dichiarato di non conoscere la sottoscrizione del suo dante causa e ne aveva reiterato il disconoscimento implicito all'udienza immediatamente successiva a quella in cui erano stati prodotti in giudizio i titoli originali, ribadendo in tale sede l'evidente difformità delle firme di traenza; aggiungeva, quindi che, in presenza del disconoscimento della sottoscrizione, la banca convenuta non solo non aveva proposto l'istanza di verificazione delle scritture, ma, nonostante le evidenti difformità tra le firme di traenza e lo specimen depositato dal B., non aveva provato di aver contattato il cliente per ottenerne l'autorizzazione al pagamento, né di aver proceduto al necessario raffronto tra la sottoscrizione apposta sui titoli e quella presso di essa depositata, e neppure aveva dimostrato l'impossibilità per un semplice operatore di sportello di rilevare l'anomalia delle sottoscrizioni con l'u so dell'ordinaria diligenza nell'esercizio dell'attività bancaria.
Su gravame dell'(omissis) la locale Corte d'Appello, con sentenza del 20 marzo - 28 aprile 1998, riformava la decisione impugnata rigettando la domanda del B.. Osservava la corte che erroneamente era stata addebitata alla banca convenuta la mancata proposizione dell'istanza di verificazione dell'autenticità delle firme di traenza poiché queste non erano mai state formalmente disconosciute dall'attore il quale, come risultava da una puntuale analisi del contesto dell'atto di citazione, aveva espresso la chiara volontà di circoscrivere la causa petendi della sua domanda alla mera difformità (comune ai quattro assegni) tra le firme di traenza e lo specimen depositato in banca, interpretando il mancato accertamento dell'autenticità e la falsificazione di dette firme con riferimento esclusivo alla corrispondenza tra le stesse e quella depositata in banca da N. B.. Da ciò conseguiva che la "evidente difformità delle sottoscrizioni" ribadita a verbale in occasione della produzione degli assegni originali, non poteva valere come un nuovo disconoscimento effettuato implicitamente - come ritenuto dal primo giudice - in quanto il disconoscimento da parte dell'erede doveva consistere in una dichiarazione di specifico ed univoco contenuto di non conoscere la scrittura del proprio autore, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità.
Così interpretata la domanda, perdeva ogni rilevanza la questione della conformità delle firme di traenza con quella depositata in banca poiché, come espressamente rilevato dalla sentenza impugnata, in tanto l'attore poteva affermare di aver subito un danno a causa del comportamento asseritamente negligente della banca in quanto le firme di traenza apposte sugli assegni fossero false. Non avendo l'attore assunto come causa petendi la falsità delle sottoscrizioni controverse, superflua appariva l'istanza di verificazione avanzata per puro tuziorismo difensivo dall'(omissis) nel giudizio di appello e, conseguentemente, nessun danno poteva essere risarcito al B. fin quando egli non avesse provato che le firme di traenza degli assegni in questione, ancor prima che difformi dallo specimen depositato, erano state apposte da persona diversa da colui che figurava quale traente.
Contro la sentenza ricorre per cassazione C. B. con sei motivi illustrati da memoria.
Resiste la (omissis) (già omissis) con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a un solo motivo.
Non hanno presentato difese I. B. e G. B.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi proposti contro la medesima sentenza.
Passando all'esame del ricorso principale, col primo motivo viene denunziata l'erronea interpretazione dei motivi di appello per aver la sentenza impugnata esorbitato dalle censure della banca appellarne che si doleva dell'apodittica affermazione della difformità tra le firme di traenza e quella depositata, da accertarsi attraverso i mezzi di pro va richiesti, e in subordine, del mancato espletamento di una consulenza tecnica per l'accertamento della autenticità delle sottoscrizioni, incorrendo perciò nel vizio di extrapetizione con la pronuncia di riforma della sentenza impugnata. Col secondo motivo, che per ragioni di ordine logico è suscettibile di esame congiunto, viene denunciato sotto altro profilo il vizio di extrapetizione per aver la sentenza di appello posto a fonda mento della sua decisione una diversa interpretazione della domanda, da ritenersi preclusa in assenza di uno specifico mezzo di gravame al riguardo.
Le censure non hanno fondamento poiché il vizio di extrapetizione ricorre solo quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, mentre spetta al giudice di merito il compito di definire, entro detti limiti, la domanda proposta dalla parte; tale compito appartiene anche al giudice di appello, il quale resta libero di dare al rapporto controverso una qualificazione difforme da quella data dal primo giudice con riferimento all'individuazione della causa petendi, avendo egli il potere-dovere di definire l'esatta natura del rapporto dedotto in giudizio e di precisarne il contenuto e gli effetti in relazione alle norme applicabili, col solo limite di non esorbitare dalle richieste delle parti segnate dai motivi di appello e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell'ambito delle questioni sottoposte al suo esame (Cass. 19 agosto 1995, n. 8924; 5 febbraio 1987, n.1138; 17 marzo 1981, n. 1539) .
E pertanto, allorquando l'appello abbia investito la sentenza impugnata nella sua globalità come si verifica nella specie avendo l'appellante contestato sia la ritenuta difformità tra le firme di traenza e quella depositata in banca, sia l'asserita falsità delle sottoscrizioni - non è ravvisa bile alcuna preclusione al potere-dovere del giudice di appello di interpretare la domanda proposta in giudizio in maniera difforme dal giudice di primo grado.
Con il terzo motivo si denuncia l'erronea motivazione in ordine all'interpretazione della domanda e l'omesso esame degli atti di primo grado, nonché la violazione dell'art. 214 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., poiché la sentenza impugnata sarebbe pervenuta all'affermazione del mancato formale disconoscimento delle firme di traenza senza considerare che l'attore ha sempre sostenuto che esse erano state falsificate, tanto vero che in sede di precisazione delle conclusioni aveva richiesto l'ammissione di una consulenza tecnica per l'accertamento della dedotta falsità. Inoltre non è stata presa in esame la dichiarazione verbalizzata all'udienza del 28 ottobre 1992, nella quale l'attore ha eccepito la mancata proposizione dell'istanza di verificazione a seguito del disconoscimento delle firme di traenza.
Col quarto motivo, che può essere esaminato congiuntamente, viene dedotta la violazione dell'art. 214 cod. proc. civ. poiché erroneamente la sentenza impugnata avrebbe posto a carico dell'attore l'onere del disconoscimento delle scritture da lui stesso prodotte e sulle quali egli fondava la sua domanda risarcitoria assumendone la falsità.
Le esposte censure meritano accoglimento poiché la vertenza che ha dato luogo al presente giudizio non comporta a ben vedere alcuna applicazione della disciplina del disconoscimento della scrittura privata come delineata nel codice di rito, e deve quindi ritenersi errato sia il convincimento del primo giudice che le firme di traenza siano false per essere state disconosciute dall'attore senza che al disconoscimento sia seguito alcun procedimento di verificazione a istanza della banca convenuta, sia il diverso convincimento del giudice di appello che le sottoscrizioni non siano state formalmente, o, comunque, chiaramente disconosciute e che esse debbano esser perciò tenute per riconosciute restando così preclusa così ogni pretesa risarcitoria nei confronti della banca che avrebbe effettuato il pagamento di assegni con firma di traenza autentica.
Va infatti considerato che la parte la quale sostenga la non autenticità della firma di traenza di una assegno bancario da lui emesso, o, come nella specie, emesso dal suo dante causa a titolo universale, non è tenuto ad attendere di essere convenuta in giudizio da chi affermi una pretesa sulla base del documento per poi operarne il disconoscimento ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 214 cod. proc. civ., ma può assumere l'iniziativa del processo per sentir accertare, secondo le ordinarie regole probatorie, la non autenticità della sottoscrizione ed accogliere tutte le domande che postulino tale accertamento, come, ad esempio, quel la di condanna della banca al risarcimento dei danni per l'avvenuto pagamento dell'assegno con firma falsa.
Ne consegue che nella specie l' erede del traente, il quale lamenti la non corrispondenza della firma di traenza con quella depositata dal de cuius, non può vedersi per ciò solo respingersi la domanda risarcitoria nei confronti della banca che abbia provveduto al pagamento degli assegni per non aver proceduto preliminarmente al disconoscimento della firma di traenza o per non aver chiaramente dichiarato di non conoscere la sottoscrizione del proprio dante causa, non essendo ipotizzabile un'azione risarcitoria fondata sull'errato pagamento del titolo per contestazioni che investano la firma di traenza la quale possa comportare l'implicito riconoscimento dell'autenticità della sottoscrizione, come ritenuto dalla sentenza impugnata, poiché è di tutta evidenza la mancanza di qualsiasi danno derivante dal pagamento di un assegno che si supponga del tutto regolare.
Alla luce delle considerazioni che precedono l'azione risarcitoria promossa nei confronti della banca che abbia pagato un assegno senza riscontrare, difformità o anomalie della firma di traenza resta regolata dalle regole generali dell'onere della pro va, le quali comportano che l'attore debba fornire la prova della falsità della firma di traenza che sia contestata dalla convenuta, fornendo elementi di comparazione e sollecitando l'ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio, e la banca quella dell'efficacia liberatoria del pagamento del titolo, per non essere l'accertata falsità rilevabile con l'ordinaria diligenza richiesta nell'esercizio dell'attività bancaria (vedi, in tal senso: Cass. 24 febbraio 1983, n. 1420, in motivazione). L'accoglimento dei motivi che precedono comporta
l'assorbimento dell'esame dei successivi motivi, aventi natura subordinata, con i quali si denunciano ulteriori vizi di errata interpretazione della domanda e di extrapetizione (quinto motivo) e si contesta la rilevanza della questione relativa all'accertamento della falsità della firma di traenza dovendo ritenersi sufficiente a radicare la responsabilità della banca, secondo l'assunto del ricorrente, la mera difformità della sottoscrizione con lo specimen depositato dal correntista (sesto motivo).
Resta del pari assorbito l'esame del ricorso incidentale proposto dalla (omissis) per dolersi dell'omessa pronunzia in ordine alla domanda di restituzione delle somme da essa versate al B. in esecuzione della sentenza di primo grado. In conclusione il ricorso principale merita accoglimento nei limiti meglio innanzi specificati e, previo assorbimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinvio della causa ad altro giudice il quale si conformerà al principio di diritto secondo cui l'azione risarcitoria promossa nei confronti della banca per i danni derivanti dal pagamento di un assegno con una firma di traenza che risulti palesemente difforme dal quella depositata dal correntista resta regolato dalle norme generali in tema di onere della prova, incombendo all'attore la prova della falsità della firma di traenza, qualora la falsità sia contestata dalla convenuta, e alla banca quella dell'efficacia liberatoria del pagamento per non essere la falsità rilevabile con l'ordinaria diligenza richiesta nell'esercizio dell'attività bancaria. Al giudice di rinvio viene rimessa altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il terzo e il quarto, dichiara assorbiti il quinto e il sesto nonché il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad al tra sezione della Corte d'Appello di Torino, cui rimette altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.