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Provvedimento disciplinare - sanzione disciplinare

Rapporto di lavoro - provvedimento disciplinare - sanzione disciplinare - contenuto oltraggioso, non veritiero, gravemente allusivo, nella memoria difensiva - art. 598 c.p. che prevede che non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori - licenziamento in quanto privo di giusta causa e di giustificato motivo (Cassazione civile , sez. lav., 26 gennaio 2007, n. 1757)

Rapporto di lavoro - provvedimento disciplinare - sanzione disciplinare - contenuto oltraggioso, non veritiero, gravemente allusivo, nella memoria difensiva - art. 598 c.p. che prevede che non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori - licenziamento in quanto privo di giusta causa e di giustificato motivo (Cassazione civile , sez. lav., 26 gennaio 2007, n. 1757)

Cassazione civile , sez. lav., 26 gennaio 2007, n. 1757

Non può concretare la condizione della giusta causa legittimante il licenziamento di un lavoratore il contenuto della memoria difensiva depositata dallo stesso per resistere in un giudizio instaurato nei suoi confronti dal datore di lavoro, ancorché esso ponga riferimento ad espressioni sconvenienti od offensive, le quali sono soggette, invero, alla disciplina prevista nell'art. 89 c.p.c. Tale documento giudiziario costituisce, del resto, un atto riferibile all'esercizio del diritto di difesa, oggetto dell'attività del difensore tecnico, al quale si applica la causa di non punibilità stabilita dall'art. 598 c.p. per le offese contenute negli scritti presentati dinanzi all'A.G. qualora esse concernano l'oggetto della causa, che costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall'art. 51 c.p. (individuante la scriminante dell'esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) applicabile anche alle offese rinvenibili negli atti difensivi del giudizio civile, a condizione, però, che riguardino sempre l'oggetto del processo in modo diretto ed immediato. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata con la quale era stata correttamente esclusa, in base ai richiamati principi, la sussistenza della giusta causa di licenziamento nel contenuto della memoria difensiva presentata dal lavoratore per tutelare le proprie ragioni in una causa intentata nei suoi riguardi, in cui si poneva riferimento, in modo anche offensivo, a fatti riguardanti una vicenda penale in cui era stato coinvolto l'istituto di credito datore di lavoro, i quali erano comunque risultati collegati all'oggetto del giudizio, senza che, peraltro, nel caso specifico, si potessero configurare quantomeno i presupposti del giustificato motivo soggettivo, non rilevandosi l'idoneità delle frasi criticate a ledere, di per sé, il vincolo fiduciario tra lo stesso istituto e il lavoratore).

Cassazione civile , sez. lav., 26 gennaio 2007, n. 1757

Fatto

1. Con provvedimento disciplinare del 10 novembre 1995 la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. irrogava la sanzione disciplinare di dieci giorni di sospensione al proprio dipendente con qualifica di funzionario, D.C.R., assunto nel 1981 dalla Banca popolare di Codroipo e transitato alla Banca Antoniana Popolare Veneta che l'aveva incorporata e che da ultimo aveva assegnato il dipendente suddetto alle mansioni di direttore della filiale di Pordenone;
contestualmente la banca trasferiva il proprio dipendente dalla filiale di Pordenone a quella di Padova.
La sanzione veniva impugnata dal dipendente con ricorso al collegio arbitrale ex art. 7 Stat. lav., cui la banca non aderiva proponendo ricorso al Pretore di Padova. In questo giudizio, innanzi al pretore di Padova, il D.C. si costituiva con memoria datata 13 maggio 1996 in cui si difendeva con particolare veemenza.
La Banca con lettera del 17 giugno 1996 contestava al D.C. il contenuto oltraggioso, non veritiero, gravemente allusivo, della menzionata memoria del 13 maggio precedente che faceva indebitamente riferimento ad una non meglio chiarita vicenda penale su iniziativa della Procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, riguardante in qualche misura l'attività della filiale suddetta e la stessa persona del D.C.; vicenda che era stata alla base di un precedente trasferimento cautelativo del dipendente del 19 giugno 1995 e che già aveva dato luogo ad un contenzioso giudiziario tra le parti (cfr. in proposito Cass., sez. lav., 9 marzo 2001, n. 3525, che ha accolto da ultimo il ricorso incidentale della banca, rigettando quello principale del dipendente). A tale comunicazione faceva poi seguito l'intimazione del licenziamento in tronco in data 29 luglio 1996 sulla base dei motivi contenuti nella lettera di contestazione.
Avverso detto provvedimento il D.C. ricorreva innanzi al tribunale di Udine, che, instaurato il contraddittorio con la banca che opponeva la legittimità del licenziamento, accoglieva la domanda con sentenza non definitiva del 19 maggio 2002 n. 145 e poi con sentenza definitiva del 2 marzo 2003 n. 82, dichiarando illegittimo l'impugnato licenziamento in quanto privo di giusta causa e di giustificato motivo e condannava la banca alla reintegra del dipendente nel posto di lavoro ed al pagamento di Euro 371.223,94 per emolumenti oltre interessi e rivalutazione, nonchè al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. In particolare il tribunale - dopo aver rilevato che rimanevano fuori dalla causa gli antefatti, ossia i comportamenti del D.C. nell'ambito dell'incarico dirigenziale ricoperto e la vicenda penale suddetta - affermava: "Deve essere riconosciuto al ricorrente il diritto a difendersi in giudizio con considerazioni, anche sgradite alla controparte, ma inerenti l'oggetto della causa, quali devono ritenersi le espressioni utilizzate nella memoria difensiva". Inoltre il tribunale notava che la difesa della banca avrebbe potuto chiedere, nel menzionato giudizio innanzi al pretore di Padova, la cancellazione delle frasi ritenute offensive, contenute nella memoria, quand'anche questa era stata sottoscritta anche dal D. C. oltre che dal suo difensore.
2. Avverso la sentenza di primo grado la banca ha proposto appello principale cui ha resistito l'appellato, proponendo anche appello incidentale (sull'ammontare del danno risarcibile).
L'adita Corte d'appello di Trieste ha rigettato entrambe le impugnazioni con sentenza del 22 luglio - 11 agosto 2004, così confermando la pronuncia di primo grado.
3. Avverso questa pronuncia la banca ricorre per cassazione con quattro motivi di impugnazione.
Resiste con controricorso l'intimato che ha anche presentato memoria.

Diritto

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo la banca ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 1 nonchè dell'art. 206 c.p.c.. Insiste nell'affermare che gli antefatti, ritenuti irrilevanti dai giudici di merito, invece rilevano ai fini della gravità dell'infrazione contestata.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora la violazione dell'art. 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 1 nonchè falsa applicazione dell'art. 2106 c.c. e vizio di motivazione. Per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare - sottolinea la ricorrente - da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; elemento fiduciario che è particolarmente accentuato quanto si tratta, come nella specie, di un funzionario. Ribadisce che le domande che il D.C. si poneva nella menzionata memoria di costituzione innanzi al Pretore di Padova avevano il significato di accusare la banca di aver indotto il suo dipendente a dare notizie false o reticenti all'autorità giudiziaria procedente.
Con il terzo motivo la banca denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art 89 c.p.c. nonchè dell'art. 1175 c.c. in correlazione con l'art. 2 Cost., nonchè vizio di motivazione. La cancellazione delle frasi offensive dagli atti difensivi è un rimedio a se stante e non elimina l'incidenza sul vincolo fiduciario che connota il rapporto di lavoro.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 3 in correlazione all'art. 2119 c.c. e all'art. 2106 c.c. nonchè vizio di motivazione. Deduce che la fattispecie del licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo sono in rapporto di specialità, e unico è il potere di recesso da esse determinato, regolato nei suoi effetti dalla legge e non dalla volontà del recedente, con la conseguenza che, sussistendo i presupposti del licenziamento per giustificato motivo ma non anche quelli del licenziamento per giusta causa, l'intimato licenziamento in tronco non è invalido, ma produce i suoi effetti alla scadenza del periodo di preavviso, e la possibilità della sua relativa riqualificazione quale licenziamento per giustificato motivo deve essere verificata dal giudice anche d'ufficio nel momento in cui esclude la configurabilità di una giusta causa.
2. Il ricorso - i cui quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente è infondato.
Correttamente i giudici di merito hanno escluso la sussistenza della giusta causa che la ricorrente pretende di identificare nel contenuto della memoria difensiva depositata dalla difesa del lavoratore resistente nel giudizio instaurato dalla banca innanzi al Pretore di Padova, di cui in narrativa.
La memoria difensiva è atto riferibile alla difesa tecnica e quindi innanzi tutto al difensore, ancorchè - come nella specie - risulti sottoscritta anche dalla stessa parte personalmente. L'eventuale presenza in essa di frasi sconvenienti o offensive trova la sua disciplina nell'art. 89 c.p.c., che - dopo aver prescritto in generale che negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive - prevede che il giudice, in ogni stato dell'istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l'oggetto della causa.
E' rilevante altresì nella fattispecie l'art. 598 c.p. che prevede che non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo. Ed in proposito questa Corte (Cass., sez. 5^, 21 settembre 2004, Ammarino) ha affermato che l'esimente di cui all'art. 598 c.p., in base al quale non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi all'autorità giudiziaria, costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall'art. 51 c.p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) ed è applicabile anche alle offese contenute nell'atto di citazione, sempre che le stesse riguardino l'oggetto della causa in modo diretto ed immediato.
L'esercizio del diritto di difesa, nella specie estrinsecatosi nella suddetta memoria del dipendente resistente nel giudizio innanzi al Pretore di Padova, ha comunque carattere scriminante.
Quindi in alcun modo, neppure sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo, le ritenute allusioni offensive contenute nella memoria suddetta potevano essere allegate dalla banca come idonee a ledere di per se il vincolo fiduciario con il dipendente; laddove - come bene osserva l'impugnata sentenza - questa idoneità forse avrebbe potuto avere il riferimento diretto ai fatti menzionati nella memoria, ossia al non meglio chiarito ruolo del dipendente nella vicenda penale che lo ha coinvolto nella misura in cui la condotta contestata attenesse proprio alla correttezza dello svolgimento dell'attività lavorativa. Ma di ciò in realtà la banca non si è doluta, preferendo affidare la ritenuta legittimità dell'intimato licenziamento al dato formale del carattere offensivo della memoria difensiva suddetta.
3. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna della banca al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 21,00, oltre Euro 3.000,00 (tremila) per onorario d'avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2007