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Lavoro subordinato - Lavoro autonomo - Distinzione - Subordinazione

L’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento dell’organizzazione aziendale), assoggettamento che deve essere concretamente apprezzato in relazione alla specificità dell’incarico conferito ed al modo della sua attuazione. Tale assoggettamento del lavoratore al potere datoriale (direttivo, disciplinare e di controllo) non si esaurisce in una mera situazione di fatto, bensì è tale in quanto espressione di un diritto e di un obbligo nel senso che l’assoggettamento del lavoratore al potere del datore di lavoro costituisce l’adempimento di un obbligo e, simmetricamente, il correlativo potere del datore di lavoro si configura come esercizio di un diritto. Corte di Cassazione Sez. L, Sentenza n. 2931 del 07/02/2013  (Massima redazionale)

Corte di Cassazione Sez. L, Sentenza n. 2931 del 07/02/2013


Svolgimento del processo
Con la domanda di cui al ricorso di primo grado Fr.Fa., premesso di avere lavorato alle dipendenze di Di.Fa. presso un distributore di carburante, di essere stato licenziato verbalmente, chiedeva accertarsi la inefficacia del licenziamento ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 2 e per l’effetto, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, condannarsi Di.Fa. al pagamento di una indennità pari a quindici mensilità di retribuzione, al risarcimento del danno oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal giorno dell’interruzione del rapporto.
Si costituiva per resistere Di.Fa. la quale proponeva domanda riconvenzionale intesa alla condanna di controparte alla restituzione di somme che asseriva essere state indebitamente sottratte.
Il giudice di primo grado, respinta la domanda riconvenzionale, in parziale accoglimento della domanda di Fr.Fa. condannava la convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 12.678,08 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; condannava altresì la resistente al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, dell’importo corrispondente alla retribuzioni dovute per il periodo 15.12.2001 - 22.10.2002, oltre interessi legali.
La sentenza era riformata dalla Corte di appello di Catanzaro che, pronunziando sull’appello proposto da Di.Fa., rigettava la domanda di Fr.Fa.; confermava il rigetto della domanda riconvenzionale e compensava integralmente le spese del doppio grado.
Hanno ritenuto i giudici di appello che la formale qualificazione del rapporto come di natura subordinata, attestata dalla documentazione in atti (buste paga, modelli CUD, computo del trattamento di fine da parte della formale datrice Di.Fa.) fosse frutto di accordo simulatorio essendo in concreto ravvisabile una collaborazione coordinata e continuativa desumibile da una serie di elementi quali l’avere il F., all’atto della comunicazione del suo stato di malattia, redatto un inventario della merce esistente presso il distributore, l’essere lo stesso stato delegato all’incasso ed al prelievo sul conto aziendale della titolare, compiti questi esulanti dalle mansioni di inquadramento come pompista, 4° livello del contratto collettivo nazionale di lavoro, l’avere il F. avuto la tenuta dei libri contabili relativi all’impianto di distribuzione, l’essersi Di.Fa. completamente disinteressata della gestione dell’impianto e non avere mai impartito direttive a riguardo, l’avere Fr.Fa. dichiarato di provvedere in via autonoma al reperimento di un sostituto in caso di sua assenza.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Fr.Fa. sulla base di tre motivi.
Si sono costituite Ca.La., Da.La. e Lo.La. eredi di Di.Fa. le quali hanno preliminarmente eccepito la inammissibilità del primo motivo di ricorso per violazione del principio di autosufficienza non avendo parte ricorrente chiarito in quale passo della sentenza della Corte di appello era rinvenibile la denunciata contraddittorietà di motivazione, hanno quindi contrastato nel merito le deduzioni del ricorrente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso Fr.Fa. deduce, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Censura in particolare la decisione per avere dapprima profilato il mutamento per facta concludentia delle originarie modalità subordinate di espletamento della prestazione lavorativa e poi, contraddicendo tale affermazione, sostenuto l’esistenza ab origine un accordo simulatorio, senza precisare quale delle due ipotesi era posta a fondamento della statuizione di riforma. Evidenzia che i giudici di appello non hanno indicato alcun elemento di prova significativo del detto accordo simulatorio e immotivatamente trascurato circostanze univocamente rivelatrici della subordinazione quali il modello CUD, le buste paga, la erogazione della retribuzione con cadenza fissa mensile, la continuità della prestazione, l’osservanza di orario di lavoro, ecc., traendo la convinzione della natura autonoma del rapporto da aspetti del tutto marginali e secondari. Tali: la redazione dell’inventario della merce esistente presso il distributore al momento della comunicazione della malattia, l’impegno alla restituzione dei libri contabili, la delega ad operare sul conto aziendale. Parte ricorrente lamenta inoltre la genericità del rinvio alle prove orali e documentali che assume inidoneo a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per approdare al convincimento delle caratteristiche autonome del rapporto dedotto.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale Commercio e Terziario, Livelli 4/7, con riferimento alla corretta individuazione delle mansioni proprie del “pompista specializzato”, formalmente attribuite a Fr.Fa. I giudici di appello hanno infatti ritenuto esulare dai compiti propri di tale figura professionale la delega ad operare sul conto aziendale evidenziando che in base alla declaratoria contrattuale egli è solo facoltizzato all’incasso delle somme dai clienti con obbligo di quotidiana consegna delle stesse al datore di lavoro. Afferma parte ricorrente che di quest’ultimo obbligo manca ogni traccia nella relativa declaratoria la quale, si assume, delinea un insieme di compiti ai quali sono correlati una serie di oneri e responsabilità, che seppure non espressamente richiamati appaiono del tutto compatibili con le mansioni svolte dal F. quale unico dipendente addetto al distributore e non contraddicono quindi la natura subordinata del rapporto.
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. per avere la sentenza impugnata confuso l’impegno assunto dal lavoratore di consegnare i libri contabili alla titolare dell’impianto di distribuzione, con la tenuta dei detti libri contabili e per avere affermato che la suddetta mansione spetterebbe esclusivamente al titolare della gestione aziendale. Deduce parte ricorrente che l’assunto è privo di fondamento normativo; tantomeno è giustificata l’affermazione che il possesso di libri contabili valga la esclusione della natura subordinata del rapporto. Evidenzia infine la genericità della affermazione relativa al disinteresse della titolare dell’impianto in ordine alla gestione dello stesso; denuncia quindi che è mancata l’indagine sulla natura della prestazione lavorativa e sulle sue concrete modalità di esplicazione, da apprezzarsi, secondo la consolidata giurisprudenza, con riguardo alla specificità dell’incarico conferito.
Il primo ed il terzo motivo di ricorso devono essere esaminati unitariamente stante la loro connessione.
Preliminarmente è da disattendere la eccezione delle controricorrenti le quali hanno denunziato il difetto di autosufficienza del primo motivo di ricorso per non avere parte ricorrente chiarito in quale passo della sentenza impugnata era rinvenibile la prospettata contraddittorietà di motivazione in punto di accordo simulatorio. Ed invero parte ricorrente, dopo avere riprodotto il brano della sentenza interessato dalla censura di contraddittorietà (v. ricorso pag. 10), svolge le proprie deduzioni con riferimento specifico a passi di detto brano; muove, infatti, dal presupposto che non è sufficientemente esplicitato se i giudici di appello facciano discendere la natura autonoma del rapporto da un originario accordo simulatorio oppure da una successiva concreta modifica delle modalità di espletamento della prestazione (v. pag. 9 del ricorso dove si dice “posto che non è chiaro per quale delle due soluzioni sopra esposte la Corte di Appello propenda in concreto...”). In coerenza con tale incertezza le censure alla decisione sono sviluppate con riferimento ad entrambe le ipotesi. Nel merito ritiene questo Collegio che la denunziata mancanza di chiarezza della decisione sia solo apparente in quanto dal percorso argomentativo si evince che i giudici di merito hanno ritenuto che fin dall’origine il rapporto avesse le caratteristiche di collaborazione autonoma. In tal senso depone l’esplicito accoglimento della eccezione di simulazione formulata dalla appellante Di.Fa. e la circostanza che nella ricostruzione in fatto non si fa riferimento alcuno al momento, successivo alla instaurazione del rapporto, in cui si sarebbe realizzata la concreta modifica delle condizioni della prestazione tale da determinarne la trasformazione da subordinato in autonomo.
Quanto alle ulteriori censure sviluppate nel primo e nel terzo motivo le quali investono la congruità e logicità degli elementi utilizzati dai giudici di appello nel pervenire all’accertamento della natura autonoma del rapporto in controversia, conviene premettere che secondo l’insegnamento di questa Corte, ai fini della qualificazione occorre indagare l’effettiva volontà negoziale delle parti emergente, oltre che dal “nomen iuris”, dalla valutazione globale degli elementi che caratterizzano le modalità di svolgimento del rapporto (Cass. n. 5214 del 1998); in particolare occorre accertare l’esistenza del vincolo di subordinazione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, potere che comporta l’emanazione di ordini specifici, oltre che l’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e di controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative (Cass. n. 326 del 1996); in questa prospettiva è stato ripetutamente affermato (cfr., “ex plurimis”, Cass. 5960 del 1999), che l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento dell’organizzazione aziendale), assoggettamento che deve essere concretamente apprezzato in relazione alla specificità dell’incarico conferito e al modo della sua attuazione; è stato poi precisato che l’assoggettamento del lavoratore al potere datoriale (direttivo, disciplinare e di controllo) non si esaurisce in una mera situazione di fatto, bensì è tale in quanto espressione di un diritto e di un obbligo nel senso che l’assoggettamento del lavoratore al potere del datore di lavoro costituisce l’adempimento di un obbligo e, simmetricamente, il correlativo potere del datore di lavoro si configura come esercizio di un diritto. La verifica della subordinazione non può inoltre prescindere dalle caratteristiche intrinseche della prestazione dedotta in contratto; nel caso in cui questa sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulta infatti in quel particolare contesto, significativo, ed occorre, pertanto, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro, (v. tra le altre Cass. n. 9251 del 2010). Simmetricamente, in presenza di situazioni di c.d. subordinazione attenuata come nel caso del rapporto dirigenziale - nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente - la verifica della natura subordinata del rapporto deve essere condotta sulla base di criteri che tengano conto della ridotta ingerenza datoriale, dovendosi valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della prestazione del dirigente con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica (v. tra le altre, Cass. n. 7517 del 2012). Quanto al ruolo della qualificazione operata dalle parti all’atto della instaurazione del rapporto e cioè al “nomen iuris” attribuito, questa Corte ha da tempo affermato che il principio per cui, ai fini della distinzione fra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato, è necessario aver riguardo all’effettivo contenuto del rapporto, indipendentemente dal “nomen iuris” usato dalle parti, non implica che la dichiarazione di volontà di queste in ordine alla fissazione di tale contenuto, o di un elemento di esso qualificante ai fini della suddetta distinzione, debba essere stralciata nell’interpretazione del precetto contrattuale e che non debba tenersi conto del relativo reciproco affidamento dei contraenti e della concreta disciplina del rapporto quale da essi voluta nell’esercizio dell’autonomia contrattuale; pertanto, quando le parti nel regolare i reciproci interessi abbiano dimostrato di voler includere l’elemento della subordinazione, non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto se non si accerta che, in concreto, l’elemento in questione sia di fatto rimasto irrealizzato nello svolgimento del rapporto medesimo (cfr. Cass. 5437 del 1988). La giurisprudenza successiva ha ribadito che per la qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato il “nomen iuris” attribuito dalle parti al rapporto può rilevare solo in concorso con altri validi elementi differenziali o in caso di non concludenza degli altri elementi di valutazione (v., tra le altre: Cass. 1717 del 2009, 224 del 2001).
Nel caso di specie i giudici di appello non si sono attenuti a tali principi. Hanno infatti affermato la natura autonoma del rapporto sulla base di circostanze che obiettivamente nulla dicono in ordine all’assoggettamento al potere direttivo ed organizzativo della parte datoriale oppure che risultano marginali a riguardo e comunque tali da richiedere approfondimenti alla luce del complessivo atteggiarsi del rapporto tra le parti. Tra le prime: la redazione dell’inventario in occasione dell’assenza per malattia, l’impegno alla restituzione dei libri contabili, la mancata previsione nella declaratoria di inquadramento della delega ad operare sul conto corrente aziendale. Tra le seconde: la facoltà per il Fr.Fa. di scegliere il proprio sostituto in caso di assenza, più in generale l’accertamento della natura, autonoma o subordinata, della collaborazione non poteva prescindere da una compiuta ricostruzione fattuale del contenuto intrinseco dei compiti svolti da Fr.Fa. quale unico addetto all’impianto di distribuzione, delle relative ordinarie modalità di espletamento, della necessità o meno di un’assidua e costante attività di direzione e controllo da parte della titolare dell’impianto. Solo dopo avere proceduto alla ricostruzione delle ordinarie modalità di svolgimento del rapporto i giudici territoriali avrebbero potuto considerare ulteriori specifiche circostanze attinenti a momenti particolari, se non eccezionali, come la redazione dell’inventario, la consegna dei libri contabili, la scelta del sostituto in ipotesi di assenza. Anche in tal caso tuttavia, rappresentando il “nomen iuris” attribuito dalle parti un residuale criterio di valutazione, i giudici di appello - a prescindere dalla esistenza o meno di un accordo simulatorio - sarebbero potuti pervenire alla affermazione della natura autonoma del rapporto solo in presenza di elementi fattuali del tutto incompatibili con la subordinazione.
Essendosi la Corte territoriale sottratta a tale compito ricostruttivo i motivi di ricorso in esame devono essere accolti.
Il secondo motivo di ricorso è, invece, da respingere, in quanto improcedibile.
Invero parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale Commercio e Terziario Livelli 4-7- con riferimento alla declaratoria delle mansioni di “pompista specializzato” corrispondente a quella di formale inquadramento senza specificare in quale sede processuale il documento è stato prodotto. Questa Corte ha chiarito che il requisito dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, per essere assolto, postula che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile. A tale consolidato orientamento (cfr. Cass. ord. SS.UU. n. 7161 del 2010) questa Corte ritiene di dover dare continuità conseguendone il rigetto del secondo motivo.
In conclusione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altro giudice che si individua nella Corte di appello di Reggio Calabria che procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto indicati.
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso e rigetta il secondo, Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.