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Contratto di formazione e lavoro - Attivita' formativa e periodo di prova

Contratto di formazione e lavoro - Attivita' formativa e periodo di prova

Contratto di formazione e lavoro - Attività formativa e periodo di prova (Corte  di Cassazione,  Sentenza n. 82 dell'8 gennaio 2003)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sign. V.T. assunto dalla (omissis) con contratto di formazione e lavoro, con patto di prova, è stato licenziato per mancato superamento della stessa, e quindi reintegrato, dal Pretore di Roma cui egli aveva fatto ricorso.

La decisione di primo grado è stata confermata dal Tribunale della stessa città con sentenza del 30.11.99.

Il giudice d'appello ha ritenuto:

infondata la doglianza di nullità della sentenza pretorile per mancata lettura del dispositivo della stessa risultando, invece che la stessa era avvenuta;

nessuna nullità derivava dall'aver redatto il pretore la sentenza a mano essendo la stessa, peraltro, pienamente intelligibile come provano le doglianze che l'appellante aveva mosso nei confronti della stessa;

del pari priva di giuridico rilievo era la violazione dei termini previsti dagli art. 415 e 418 cpc. pur evidenziando la stessa irregolarità nel funzionamento del sistema giudiziario;

correttamente il Pretore aveva dichiarato la inidoneità dell'esito negativo della prova a provocare la risoluzione del contratto di formazione e lavoro, rispetto alla quale la stessa è ammissibile sempre che si articoli secondo la funzione propria di tale contratto che richiede un'alternanza di esperienza pratica e formazione secondo i programmi prefissati: era invece risultato che il lavoratore era stato inserito immediatamente nella piena attività lavorativa senza ricevere alcuna formazione;

le doglianze riferite al mancato interrogatorio del ricorrente, che avrebbero fatto emergere il suo stato di occupazione non scalfivano la correttezza della pronuncia relativa alle conseguenze della illegittimità del licenziamento.

La (omissis) chiede la cassazione della sentenza con ricorso sostenuto da cinque motivi cui resiste il sign. T. con controricorso.                 MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, in ordine logico giuridico, va esaminato il secondo motivo con cui si denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 174, 437, cpc. e 114 disp. att. cpc. stante la completa diversità della composizione del collegio che ha pronunciato la sentenza rispetto a quella del collegio che ha reso la decisione sull'istanza di inibitoria; secondo la ricorrente è stata in tal modo violato il principio della immutabilità del collegio giudicante dopo l'inizio della discussione con conseguente nullità della sentenza pronunciata.

La censura è infondata.

Lo stesso ricorrente afferma che discussione svoltasi innanzi al collegio poi risultato mutato nei suoi componenti ebbe ad oggetto l'istanza di inibitoria; la stessa riprese circa due anni dopo innanzi ad un collegio mutato nella sua composizione dal quale venne emessa la sentenza.

Questa Corte ha più volte affermato che il principio di immutabilità del giudice deve intendersi nel senso di identità fra quello innanzi a cui si è svolta la discussione e quello che ha pronunciato la sentenza (5443/01, 1327/98, 5449/92, 1487/89).

Tale identità è stata sussistente allorchè, esauritasi la discussione relativa alla fase inibitoria (il ricorrente fa testuale riferimento ad una discussione della causa ai fini della decisione sull'istanza d'inibitoria) la discussione è proseguita per il merito: solo da tale momento v'era, infatti, necessità di immutabilità dell'organo giudicante attesa la netta diversità della funzione della discussione nella fase di inibitoria ed in quella successiva.

Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per mancata osservanza della norma (art. 119 disp. att. cpc.) che regola le modalità di redazione della sentenza una volta avvenuto il deposito della minuta da parte del giudice che l'ha pronunciata.

La censura è infondata in quanto la violazione della regola ivi prevista non incide sulla validità della decisione del giudice allorchè dalla stessa risulti in tutta la sua interezza il contenuto della stessa: il tribunale ha correttamente rilevato che tanto è avvenuto atteso che il ricorrente era stato in grado di formulare tutte le censure nei confronti della stessa.

Il secondo motivo concerne la violazione delle norme di cui agli art. 429-430 cpc. 119 disp. att. cpc. nonchè erronea e contraddittoria motivazione ed imputano al Tribunale di aver asserito, a fronte della denunciata nullità della sentenza di primo grado per mancata lettura del dispositivo in udienza, di aver ritenuto che di tale lettura esistessero tracce nel verbale d'udienza che andava, pertanto, impugnato con querela di falso; in realtà dagli atti di udienza risulta che tale lettura non è avvenuta.

La doglianza è infondata.

Effettivamente l'affermazione del Tribunale secondo cui esistono ampie tracce della lettura del dispositivo in udienza, senza indicazione di alcun riscontro giustificativo della stessa, appare carente sotto il profilo di motivazione.

E tuttavia il predetto vizio rimane irrilevante.

Ed infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte anche a ritenere la nullità della sentenza per omessa lettura del dispositivo, avendo il giudice d'appello deciso le questioni a lui devolute giusto il disposto degli art. 353 e 354 cpc. che impediscono in tal caso la remissione della causa al primo giudice, difetta l'interesse a far valere come motivo di ricorso per cassazione la nullità della sentenza di primo grado in quanto non dichiarata dal giudice d'appello perchè l'eventuale rinvio ad altro giudice porterebbe, come è avvenuto nel caso di specie allo stesso risultato già conseguito con la pronuncia su tutti i motivi d'impugnazione (13781/01, 6427/96).

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e disapplicazione degli art. 415 e 418 cpc. e si duole che il Tribunale non abbia riconosciuto alcun effetto giuridico alla violazione dei termini previsti da tale nome per la fissazione della discussione, riconducendo il tutto ad una mera irregolarità del funzionamento dell'apparato giudiziario mentre l'abnorme prolungamento del processo a causa della violazione dei predetti termini, imposti dalla legge, non avrebbero dovuto restare senza effetti nella determinazione del risarcimento del danno.

La censura è infondata.

Nella determinazione del danno il giudice che ha disposto la reintegra si è, come doveva, attenuto alla regola secondo cui esso deve coprire tutto il periodo in cui non vi sia stata attività lavorativa per effetto dell'illegittimo licenziamento; sicchè correttamente il Tribunale ha rilevato che nessuna incidenza poteva avere la violazione degli art. 415 e 418 cpc..

.1 - Lo stesso motivo contiene un ulteriore profilo di censura con il quale la ricorrente propone il tema della violazione della immutabilità del giudice consumatasi questa volta con la mancata identità fra il giudice che pronunciò sulla richiesta del provvedimento d'urgenza e quello che decise il merito.

Come prima si è detto la mancanza di identità fra organi giudicanti assume rilievo solo allorchè la discussione e la decisione della causa non siano avvenuti innanzi allo stesso organo, cosa non avvenuta nel caso di specie atteso che tutta la fase di merito ebbe luogo innanzi allo stesso giudice.

Deve quindi procedersi, per ordine logico giuridico alla quinta censura con cui si addebita al Tribunale di aver fatto conseguire l'irrilevanza del mancato superamento del periodo di prova dal non essersi attenuto il datore di lavoro, in esecuzione del contratto di formazione e lavoro al programma previsto per lo stesso,privando in tal modo lo stesso del potere, naturalmente connesso al tipo per lo stesso, privando in tal modo lo stesso del potere, naturalmente connesso al tipo di contratto stipulato, di prescegliere quale fase (quella pratica o quella teorica) far precedere nella esecuzione del contratto.

Anche tale doglianza è infondata.

Il Tribunale, come si è detto, non ha inteso sanzionare - decretando l'inidoneità del mancato superamento della prova a risolvere il contratto - la mancata ottemperanza alla cadenza delle fasi prevista dal programma ma ha rilevato la mancanza, completa, di una fase essenziale del contratto quale è quella che può, latamente, definirsi di formazione.

Ora questa Corte ha affermato che scopo del contratto di formazione e lavoro e quello di favorire un ingresso guidato dei giovani nel mondo del lavoro riconoscendo al datore di lavoro discrezionalità nella alternanza fra la fase pratica e quella teorica ed assolvendolo quindi da un obbligo di stretta osservanza di quanto previsto dal programma (7554/98).

Ciò, tuttavia, non consente di espungere del tutto dalla fase esecuzione del contratto una delle due fasi, atteso il rapporto di coessenzialità fra le stesse esistente, con la conseguenza che il periodo di prova in tanto è rilevante per giudicare delle attitudini del lavoratore in formazione in quanto nello stesso, sia pure con cadenze diverse rispetto a quelle previste dal programma siano presenti entrambe le predette fasi coessenziali al raggiungimento del predetto scopo di inserimento nel mondo del lavoro.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 88 e 420 cpc. ed omessa motivazione imputando al Tribunale di non aver riconnesso alcun rilievo alla mancata comparizione del ricorrente innanzi a al Pretore mentre tale assenza rilevava come prova che già a quell'epoca il lavoratore licenziato aveva trovato altro impiego con la conseguenza che quanto da lui percepito avrebbe dovuto esser sottratto dall'ammontare del danno cagionatogli pari a ben 24 mensilità (il tempo trascorso fra licenziamento e dimissioni).

La censura è fondata nei limiti di seguito indicati.

La ricorrente denunciando al Tribunale il rilievo della mancata comparizione del lavoratore innanzi al giudice intendeva, evidentemente denunciare la mancata incidenza dell'aliunde perceptum nella determinazione del danno.

Il tribunale, come si è detto, limitandosi ad asserire che le doglianze relative al mancato interrogatorio non scalfivano la correttezza della pronuncia ha del tutto eluso la decisione di tale punto della controversia.

La sentenza va quindi cassata in relazione a tale motivo e la causa rimessa ad altro giudice.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie, per quanto di ragione il quarto motivo, rigetta gli altri, cassa e rinvia anche per le spese alla Corte d'Appello de l'Aquila.

Testo pubblicato a cura della redazione internet del CED della Corte Suprema di Cassazione