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responsabilità professionali (di Marco Rossetti) Medici. – Avvocati. – Notai. Rassegna di giurisprudenza 2013 Cassazione

Le responsabilità professionali (di Marco Rossetti) Corte suprema di cassazione ufficio del massimario - Rassegna della giurisprudenza di legittimità - Gli orientamenti delle Sezioni Civili ( testo estratto dal sito web della Corte di Cassazione www.cortedicassazione.it )

LE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI (di Marco Rossetti)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Medici. – 3. Avvocati. – 4. Notai.

1. Premessa. Anche nel 2013 il maggior numero di decisioni pronunciate dalla Corte in materia di responsabilità professionale ha riguardato domande proposte nei confronti di medici o strutture ospedaliere; al secondo posto per numero di decisioni si collocano le controversie in tema di responsabilità dell’avvocato, ed al terzo quelle in tema di responsabilità del notaio.
Si è confermato in tal modo un andamento ormai risalente, che vede – nell’ordine – medici, avvocati e notai le tre categorie professionali maggiormente convenute in giudizio per questioni di colpa professionale.
Oltre che dal punto di vista quantitativo, anche da quello contenutistico.
La giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità professionale non ha fatto registrare nel 2013 significativi mutamenti rispetto agli orientamenti precedenti, salvo – come si vedrà – che in tema di risarcimento del danno cd. da nascita indesiderata.

2. Medici. 2.1. Le più significative sentenze in tema di colpa medica pronunciate nel 2013 possono essere divise in due gruppi: quelle riguardanti la natura colposa della condotta, e quelle riguardanti il riparto dell’onere della prova.

2.2. Le decisioni chiamate a stabilire quando la condotta del medico possa ritenersi “colposa” possono a loro volta dividersi in due gruppi: quelle riguardanti la colpa professionale in senso stretto (ovvero l’imperito, imprudente, negligente compimento dell’atto medico), e quelle riguardanti la colpa per violazione dell’obbligo di informare il paziente.

2.2.1. Tra le decisioni concernenti la colpa professionale in senso stretto merita di essere segnalata innanzitutto Sez. 3, n. 1874 (Rv. 624908), est. Uccella, la prima chiamata ad occuparsi dell’espianto del rene a scopo di donazione prevista dalla l. 26 giugno 1967, n. 458, in un complesso caso in cui nei gradi di merito
il donante aveva allegato di essere stato indotto alla donazione dietro promessa di un compenso in denaro. In sede di legittimità, tuttavia, il problema che veniva in rilievo era se l’ospedale ove venne eseguito il trapianto potesse essere chiamato a rispondere dei danni patiti dal donante anche nel caso di corretta esecuzione dell’intervento: ed a tal quesito la Corte ha dato risposta affermativa, nei casi in cui l’ospedale – in violazione dell’art. 5 della l. n. 458 del 1967 citata – ometta di stipulare un’assicurazione contro gli infortuni e la malattia a beneficio del donatore. La norma che prevede la stipula di tale polizza, secondo la S.C., è infatti di immediata applicazione, sebbene non ne sia stato mai emanato il regolamento attuativo. Pertanto l’ospedale, quando proceda all’espianto del rene senza avere stipulato la suddetta polizza, risponde dei danni patiti dal paziente per la perdita del relativi benefici assicurativi.
In tema di colpa professionale e nesso di causa tra questa ed il danno, merita di essere segnalata altresì Sez. 3, n. 4029 (Rv. 625276), est. Petti, la quale ha stabilito che delle conseguenze dannose di un intervento chirurgico eseguito in modo imperito possono essere chiamati a rispondere non solo i sanitari che l’hanno eseguito, ma anche il medico curante del paziente, se questi ometta di informare i colleghi chirurghi del particolare tipo di cure cui era stato sottoposto il paziente, e dei peculiari effetti che tali cure avevano prodotto (nella specie, era accaduto che una cura contro l’infertilità eseguita dal medico di fiducia aveva provocato un ingrossamento delle ovaie della paziente, ed aveva indotto altri sanitari a rimuoverle chirurgicamente, con un intervento reputato dal giudice di merito non necessario; tuttavia, mentre il giudice di merito aveva reputato il ginecologo non responsabile dell’errore commesso dai chirurghi, la S.C. ha cassato tale decisione, ritenendo al contrario sussistere un nesso di causa tra la condotta del ginecologo ed il danno finale, in virtù dei principî di cui alla massima).

2.2.2. Numerose, ma confermative di orientamenti ormai consolidati, sono state le decisioni in tema di “consenso informato”.
Tra queste, tre hanno un valore paradigmatico degli orientamenti della Corte, in tema rispettivamente di:
(a) contenuto dell’obbligo di informazione;
(b) riparto della prova dell’assolvimento di tale onere;
(c) conseguenze dell’omessa informazione.
Quanto al primo aspetto, ha ribadito Sez. 3, n. 18334 (Rv. 627470), est. Carleo, che il medico-chirurgo deve fornire al paziente «tutte le informazioni scientificamente possibili sull’intervento chirurgico che intende eseguire», e soprattutto sul bilancio rischi/vantaggi dell’intervento stesso, tanto più in presenza di fattori di pericolo che sconsiglino l’intervento.
Quanto all’onere della prova, Sez. 3, n. 19220 (Rv. 627861), est. Scrima, ha ribadito che grava sul medico l’onere di provare di avere fornito al paziente un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, senza che l’adempimento di tale obbligo possa venir meno per il solo fatto che il paziente sia persona altamente scolarizzata. Nella stessa decisione, tuttavia, la Corte ha soggiunto che il livello culturale del paziente può incidere sulle modalità dell’informazione, la quale deve essere sempre adeguata al suddetto livello culturale, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.
Quanto, infine, alle conseguenze della violazione dell’obbligo di informazione, Sez. 3, n. 11950 (Rv. 626347), est. Carleo – confermando il revirement inaugurato da Sez. 3, n. 2847 (Rv. 611427), est. Amatucci – ha ribadito che la violazione di tale obbligo non costituisce di per sé un danno risarcibile, ma può causare:
(a) un danno alla salute, solo se sia ragionevole ritenere che il paziente (su cui grava il relativo onere probatorio), se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti;
(b) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, se il paziente, a causa del deficit informativo, abbia subìto un pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute.

2.3. Sul piano del riparto dell’onere della prova, Sez. 3, n. 4792 (Rv. 625765), est. Carluccio, ha ribadito il tradizionale principio secondo cui nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno da attività medico-chirurgica, l’attore deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) ed allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, rimanendo a carico del medico convenuto dimostrare che tale inadempimento non vi è
stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno. Ne consegue che se, all’esito del giudizio, permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, tale incertezza ricade sul paziente e non sul medico.
Nel 2013, tuttavia, in tema di riparto dell’onere della prova della colpa medica (e del nesso causale tra questa ed il danno) vanno segnalate due importanti decisioni, pronunciate in altrettante fattispecie particolari.
La prima, già ricordata poc’anzi in tema di accertamento della colpa (Sez. 3, n. 1874, Rv. 624909, est. Uccella) ha riguardato sotto altro profilo il delicato tema del trapianto di rene a scopo di donazione. Tale trapianto, ai sensi della legge 26 giugno 1967, n. 458, deve essere preceduto da un provvedimento giudiziale il quale accerti la sussistenza di una effettiva e libera volontà del donante. In presenza di tale provvedimento, ha statuito la sentenza appena ricordata, deve presumersi iuris tantum che la volontà del donante si sia correttamente formata e sia stata accertata dal giudice che ha autorizzato l’espianto, con la conseguenza che spetta a chi nega tale circostanza provare il contrario.
La seconda sentenza “innovativa” in tema di riparto dell’onere della prova ha riguardato il tema del danno c.d. da nascita indesiderata: e cioè il danno lamentato dalla gestante la quale, a causa della mancata rilevazione di patologie del feto da parte del medico durante la gestazione, abbia perso la possibilità di interrompere la gravidanza.
In passato, dinanzi a domande risarcitorie, di questo tipo, la S.C. aveva affermato in teoria che era onere della madre provare il nesso di causa tra l’omessa informazione da parte del medico e la nascita indesiderata: dimostrare, cioè, che se avesse saputo delle malformazioni avrebbe abortito.
Tuttavia l’onere della prova a carico della gestante era stato notevolmente assottigliato in via di fatto dalla giurisprudenza, attraverso un generoso ricorso alle presunzioni semplici. Così, partendo dal fatto noto della sola gravità delle malformazioni del feto, si riteneva possibile risalire ex art. 2727 cod. civ al fatto ignorato che, se la madre ne fosse stata informata, avrebbe corso il rischio (“serio” o “grave”, a seconda che la malformazione fosse emersa prima o dopo il 90° giorno dall’inizio della gestazione) di una malattia psichica ed avrebbe perciò potuto abortire ai sensi dell’art. 6 della legge n. 194 del 1978, e ciò in quanto – si afferma – ben pochi genitori sono disposti a dare alla luce un figlio che corra il rischio di essere gravemente ritardato o costretto a vivere una vita di
dolore ed infelicità (Sez. 3, n. 6735 del 2002, Rv. 554295-554299); allo stesso modo, si era pure sostenuto che dal fatto noto che la gestante avesse scelto di sottoporsi ad un esame diagnostico prenatale finalizzato a conoscere eventuali malformazioni del feto, il giudice potesse risalite al fatto ignorato che quella gestante, nel caso di positività della diagnosi di malformazioni, non avrebbe condotto a termine la gestazione.
La sentenza Sez. 3, n. 7269 (Rv. 625750), est. Amendola, ha ritenuto non condivisibile questo pregresso orientamento, affermando al contrario che nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza, e soggiungendo – è il punto più importante – che tale prova non può essere desunta dal solo fatto che la gestante abbia chiesto di sottoporsi ad esami volti ad accertare l’esistenza di eventuali anomalie del feto, poiché tale richiesta è solo un indizio privo dei caratteri di gravità ed univocità.

3. Avvocati. 3.1. In tema di responsabilità dell’avvocato meritano di essere segnalate tre decisioni pronunciate nel 2013, rispettivamente in tema di contenuto dell’obbligo di diligenza, di prova dell’inadempimento e di conseguenze di quest’ultimo.
Queste tre sentenze, pur ribadendo principî in passato affermati dalla S.C., li hanno precisati e portati ad ulteriori conseguenze.

3.2. La prima decisione di rilievo (Sez. 3, n. 18612, Rv. 627537, est. Vincenti) ha riguardo la possibilità di ritenere in colpa l’avvocato il quale ometta di interrompere la prescrizione del diritto vantato dal cliente che si sia a lui rivolto.
Tale decisione ha ribadito che deve ritenersi certamente in colpa l’avvocato che ciò non faccia (e questo principio era già stato plurime volte affermato in precedenza), ma ha soggiunto (e questo è il novum della decisione) che in caso di omessa interruzione della prescrizione del credito vantato dal cliente la colpa dell’avvocato non è esclusa né dall’incertezza circa il termine di prescrizione applicabile, né dall’esistenza d’un contrasto di giurisprudenza al riguardo: nell’uno come nell’altro caso, infatti, l’onere di diligenza imposto all’avvocato dall’art. 1176, comma 2, cod. civ., gli impone di adottare una “regola di precauzione”, e cioè interrompere comunque la prescrizione ritenendo applicabile il termine più breve,
in modo che quand’anche la giurisprudenza dovesse orientarsi definitivamente in tal senso, il diritto del cliente sia salvaguardato.

3.3. La seconda decisione di rilievo (Sez. 3, n. 11548, Rv. 626553, est. Giacalone) ha riguardo il problema del nesso di causa tra l’omesso compimento di una attività processuale dell’avvocato (nella specie, la formulazione di una domanda e la sua reiterazione in sede di appello), e la soccombenza del cliente. A tal riguardo la sentenza appena ricordata ha stabilito che il nesso di causa tra la condotta dell’avvocato ed il danno può ritenersi sussistente solo se sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che senza quell’omissione il risultato sarebbe stato conseguito. In applicazione di questo principio si è perciò escluso che in difetto di prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile, va da rigettata la domanda del cliente di risarcimento del “danno da perdita di chance” di successo nella lite giudiziaria.
La decisione sembra tuttavia un contrasto nel criterio di valutazione del nesso di causa in tema di colpa professionale dell’avvocato, rispetto ai criteri adottati per la valutazione del nesso di causa in tema di colpa professionale del medico.
Con riferimento a quest’ultimo, infatti, la S.C. aveva ripetutamente affermato che il nesso di causa tra l’omissione del professionista ed il danno vada accertata in base alla regola del “più probabile che non” [per tutte, Sez. 3, n. 12686 (Rv. 618137), est. Barreca; Sez. 3, n. 3847 (Rv. 616273) est. Amatucci], e che la perdita della chance in sé costituisce un danno emergente autonomamente esistente, a prescindere da quali fossero le concrete possibilità di realizzare il risultato sperato (per tutte, si veda la sentenza “capostipite” Sez. 3, n. 4400, Rv. 570781, est. Segreto). La sentenza del 2013 sopra ricordata, invece, in tema di responsabilità dell’avvocato ha ritenuto che la prova del nesso di causa tra omissione e danno esiga la dimostrazione non già d’una “ragionevole probabilità” di successo per il cliente ove l’avvocato avesse tenuto la condotta omessa, ma d’una “certezza od elevata probabilità” in tal senso.

3.4. Infine, sul piano delle conseguenze della colpa professionale, va segnalata la decisione di Sez. 3, n. 4781 (Rv. 625387), est. Frasca, la quale – ponendo fine a vari contrasti sorti tra i giudici di merito – ha stabilito che l’errore professionale
addebitabile all’avvocato, consistente nella mancata impugnazione di una sentenza dichiarativa dell’estinzione del processo per irritualità della riassunzione dello stesso, nonché nell’omessa informazione del cliente circa le conseguenze di essa, con definitiva perdita del diritto, rende del tutto inutile l’attività difensiva precedentemente svolta dal professionista, con la conseguenza che in tal caso non è dovuto alcun compenso al professionista.

4. Notai. Non si registrano nell’anno 2013 novità di rilievo nella giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità del notaio.
Una menzione meritano tuttavia due decisioni: la prima (Sez. 3, n. 3657, Rv. 625299, est. D’Alessandro) ha escluso che il notaio possa essere chiamato a rispondere dei danni già verificatisi prima che abbia svolto la sua opera professionale, e del tutto indipendenti da questa: si è escluso, pertanto, che l’acquirente di un immobile ipotecato possa pretendere dal notaio il risarcimento del danno rappresentato dalle somme spese per la cancellazione dell’ipoteca, se il prezzo d’acquisto era già stato integralmente pagato prima della stipula del rogito.
La seconda decisione (Sez. 3, n. 11141, Rv. 626200, est. Carluccio) ha escluso che possa ascriversi al notaio, chiamato a rogare un atto di compravendita di un immobile gravato da ipoteca a garanzia della restituzione di un credito fondiario, la notificazione al creditore ipotecario dell’avvenuto subingresso dell’acquirente – in qualità di mutuatario ed in forza di un contratto di accollo – nel contratto di mutuo fondiario.