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Obblighi informativi dell’Avvocato previsti dal codice deontologico forense a cura dell’Avv. Carlo Bartolini

Obblighi informativi dell’Avvocato previsti dal codice deontologico forense a cura dell’Avv. Carlo Bartolini

 

La Corte di Cassazione si è soffermata sugli obblighi informativi dell’avvocato in una recente sentenza, la numero 19520 del 19/07/2019 confermativa di due precedenti arresti del 20/05/2015 n. 10289 e del 30/07/2004 n. 14597.

La Suprema Corte parte dal presupposto codicistico dell’obbligo da parte dell’avvocato di osservare il dovere di diligenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 del codice civile.

Il primo, inserito nel titolo delle obbligazioni in generale, stabilisce che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

Il secondo, inserito nel titolo del lavoro autonomo capo II dedicato alle professioni intellettuali, prevede che se la prestazione implica la valutazione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.

Prosegue poi la Corte che l’avvocato in virtù dell’obbligo previsto dall’art. 1176, comma 2, codice civile, ha il dovere sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto professionale di assolvere ai doveri di dissuasione ed informazione del cliente.

I doveri di informazione sono previsti dal codice deontologico, ma possono essere anche sanciti da fonti legali esterne.

Gli obblighi informativi attengono al momento del conferimento dell’incarico, allo svolgimento dell’incarico e alla cessazione dell’incarico.

Cominciamo dai primi, precisando che l’incarico può riflettere sia un affare giudiziale che stragiudiziale.

I codici di rito fanno sempre riferimento alla parte. Il codice deontologico forense, entrato in vigore il 16.12.2014, introduce al titolo II, la distinzione tra parte assistita e cliente. Solitamente la figura del cliente e parte assistita si cumulano nello stesso soggetto. Laddove non vi sia coincidenza e venga usato tanto il termine di cliente quanto di parte assistita, il cliente è colui che conferisce l’incarico e quindi è tenuto al pagamento del compenso, mentre la parte assistita è il soggetto a favore del quale viene svolta l’attività da parte dell’avvocato (ad esempio il padre che fa assistere il figlio, il datore di lavoro che fa assistere il dipendente).

L’art. 23, comma 1, prevede che l’avvocato, dopo aver raccolto il consenso della parte assistita al conferimento dell’incarico da parte del cliente, dovrà informare entrambi che il mandato va svolto nell’esclusivo interesse della parte assistita.

La violazione dell’obbligo informativo comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.

In via generale va, comunque, detto che le sanzioni disciplinari possono subire aumenti o diminuzioni, anche con mutamento della natura da sostanziale a formale e viceversa, ai sensi dell’art. 22 del Codice Deontologico.

L’avvocato inizia, dunque, ad ascoltare il cliente e laddove presente anche la parte assistita. Se nel corso del colloquio o dei successivi incontri l’avvocato rileva l’esistenza di circostanze ostative all’espletamento della prestazione richiesta, lo deve immediatamente comunicare alla parte assistita e al cliente; ad esempio viene proposto l’incarico di patrocinare una causa nei confronti di una parte che l’avvocato sappia o scopra essere un suo cliente. In questi casi, l’art. 24, comma 4, del Codice Deontologico prescrive che l’avvocato debba comunicare l’impedimento al cliente e alla parte assistita, prima che si consumi il conflitto di interessi. L’inosservanza del comma 4 determina la sanzione della censura.

Ai sensi del 1 comma dell’art. 24 del Codice Deontologico, l’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita o del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche professionale.

Ad esempio, nel primo caso, l’avvocato difende Tizio contro l’impresa Alfa in un pignoramento presso una banca; Caio intende affidare all’avvocato l’incarico di richiedere il fallimento dell’impresa Alfa. Altro esempio: l’avvocato difende Tizio contro Caio per ottenere in sede giudiziaria il trasferimento della proprietà di un immobile; Sempronio intende affidare all’avvocato l’incarico di chiedere la demolizione del fabbricato per violazione delle distanze legali.

Esempio nel secondo caso, Tizio intende affidare all’avvocato l’introduzione di una causa nei confronti della moglie di Caio che è l’amministratore di una società cliente dell’avvocato.

L’inosservanza del comma 1 determina la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 1 a 3 anni.

Preciso, in relazione all’ipotesi di incompatibilità di proporre un giudizio per conto di un cliente contro altro cliente, che il conflitto riguarda non solo il cliente attuale ma anche quello precedente ai sensi dell’art. 68 del Codice Deontologico. L’avvocato, infatti, può assumere un incarico contro una parte già assistita solo quando sia decorso un biennio dalla cessazione del rapporto professionale. L’avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi.

La violazione è punita con la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 2 mesi a 6 mesi.

L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita, quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza. Ad esempio l’avvocato ha difeso le ragioni dello spogliato contro lo spogliatore/proprietario formale, quest’ultimo trasferisce la proprietà dell’immobile ad altro soggetto e l’avvocato difende le ragioni del nuovo proprietario in sede petitoria contro il suo ex cliente.

L’avvocato che abbia assistito un minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare  assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura e viceversa.

Negli ultimi due casi la sanzione, per il caso di violazione, è la sospensione da 1 a 3 anni.

Altro obbligo informativo, avente contenuto preliminare, è l’informazione prevista dall’art. 27, comma 4 del Codice Deontologico secondo il quale “ l’avvocato, ove ne ricorrono le condizioni, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare la parte assistita della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato”.

La violazione comporta la sanzione dell’avvertimento.

Ricordo altresì, sotto il profilo meramente civilistico, che il Tribunale di Modena con sentenza del 06.02.2017 n.275 ha respinto la richiesta di pagamento dell’avvocato per il caso in cui il soggetto difeso poteva astrattamente essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato per violazione dell’art. 85, comma 2 D.P.R. 115/2002 che prevede la nullità dell’accordo concluso tra le parti.

Dal momento che stiamo in tema evidenzio che l’avvocato, in caso di ammissione del cliente al patrocinio a spese dello Stato, non può richiedere denaro né altra utilità.

Dico questo, perché non è infrequente il caso di avvocati che, male interpretando la norma, chiedano compensi per l’esame degli atti prima del conferimento dell’incarico o per comunicazioni di natura informativa.

Ebbene, queste attività rientrano in maniera specifica nelle voci ricomprese nell’attività giudiziale ai sensi del D.M. 55/2014.

Stabilisce infatti il citato art. 85 del DPR 30.05.2002 n. 115 al 1 comma che il difensore non può chiedere o percepire dai propri assistiti compensi o rimborsi a qualunque titolo, diversi da quelli previsti dalla legge in parola, al 2 comma che ogni patto contrario è nullo e al 3 comma che “la violazione del divieto costituisce grave illecito disciplinare/professionale”.

L’art. 29 del Codice Deontologico stabilisce che l’avvocato non deve chiedere né percepire dalla parte assistita o da terzi, a qualunque titolo, compensi o rimborsi diversi da quelli previsti dalla legge e per il caso di inosservanza prevede la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da 6 mesi ad 1 anno.

Qualcuno ha posto la questione se sia bastevole la sola richiesta per consumare l’illecito oppure occorra anche la percezione e se non sussista la violazione nel caso in cui sia il cliente ammesso al patrocinio ad offrire o dare denaro o altre utilità spontaneamente.
La ratio della norma è estremamente chiara atteso che l’avvocato non solo non può chiedere ma neanche ricevere danaro o altre utilità anche se spontaneamente offerte dalla parte annessa al patrocinio a spese dello stato o corrisposte da un terzo.

Altro obbligo informativo è quello previsto dall’art. 27, comma 3, del Codice Deontologico “l’avvocato all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione.

Deve infine informare la parte assistita dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario previsti dalla legge”.

Per la mediazione l’informazione deve essere data per iscritto, con la conseguenza che, in caso di contenzioso, l’avvocato non può provare di aver informato oralmente il cliente.

L’art. 4, comma 3, del Dlgs n.28/2010 prevede l’annullabilità del contratto tra l’avvocato e l’assistito in caso di violazione degli obblighi di informazione sulla mediazione; l’aspetto non è di poco momento, atteso che il cliente potrebbe rifiutare legittimamente il pagamento della prestazione giudiziale.

Altro obbligo di natura preliminare è l’informativa sulla privacy.

Il 15.01.2019 sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le regole deontologiche relative ai trattamenti dei dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive  per far valere e difendere un diritto in sede giudiziaria.

Una prima distinzione è, dunque, già possibile tra le regole attinenti alle investigazioni difensive in sede penale e quelle riguardanti il giudizio.

Nel primo caso, proprio per il richiamo dell’art. 55, comma 2, del codice deontologico sembra possibile attribuire alle regole una valenza deontologica in senso stretto, mentre nel secondo caso si tratterebbe solo di norme di buona condotta non suscettibili di valutazione disciplinare.

Se poi vi fosse la consumazione dei reati previsti nel titolo secondo, capo secondo degli artt. da 167 a 172 del Dlgs n. 196/2003, sarebbe il fatto in sé ad essere valutato in sede disciplinare.

Passiamo adesso agli obblighi informativi all’esito dell’accettazione dell’incarico professionale da parte dell’avvocato declinati dall’art. 27 del codice deontologico, i cui commi 3 e 4 sono stati già esaminati.

Il primo comma è estremamente chiaro: “l’avvocato deve informare la parte assistita delle caratteristiche e dell’importanza dell’incarico e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione.”

E qui riprendo i principi affermati della Suprema Corte nelle sentenze citate in apertura: “l’avvocato è tenuto a rappresentare al cliente tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, dovendo ritenersi, insufficiente al riguardo, il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello “jus postulandi”, attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente  ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine  a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo o intervenire in giudizio”.

È bene che di questa attività vi sia prova scritta.

Il secondo comma stabilisce: “l’avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla durata prevedibile del processo e sugli oneri ipotizzabili”.

La risposta penso sia scontata, lunga durata senza possibilità di indicazione temporale e per quanto riguarda gli oneri è bastevole la mera indicazione delle voci ovvero costi, iscrizioni, notifiche, copie, ctu, registrazioni e così via”.

Prevede poi l’ultima parte secondo comma dell’art. 27 del Codice Deontologico che l’avvocato, se richiesto, deve comunicare in forma scritta al cliente, ovvero il soggetto che conferisce l’incarico, il prevedibile costo della prestazione.

E’ bastevole, a mio avviso, consegnare e far firmare per ricevuta, la copia del DM 55/2014, indicando il parametro base, o quello minimo, o quello massimo di riferimento richiesto.

Il comma 5 dell’art. 27 prescrive all’avvocato l’obbligo (è scritto “deve”) di rendere noto al cliente e alla parte assistita gli estremi della propria polizza assicurativa.

La violazione degli obblighi indicati ai commi 1 e 5, determina l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.

Il comma 6 dell’art. 27 prevede che l’avvocato, ogni qual volta ne venga richiesto, deve informare il cliente e la parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato e deve fornire loro copie di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, ad eccezione, ai sensi dell’ art. 48, terzo comma del codice, della documentazione riservata scambiata con il collega, sia perché definita tale, sia per l’oggetto, ovvero le proposte transattive.

È opportuno che l’avvocato comunichi per iscritto i passaggi rilevanti del giudizio.

Il comma 7 dell’art. 27 prevede l’obbligo ( è scritto “deve”) di comunicar alla parte assistita la necessità del compimento di atti necessari ad evitare prescrizione, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso.

Ad esempio un decreto ingiuntivo dotato di provvisoria esecuzione, l’avvocato deve informare immediatamente il cliente e la parte assistita che se non provvede al pagamento può essere oggetto di azione esecutiva con aggravio delle spese.

Il comma 8 dell’art. 27 prevede l’obbligo dell’avvocato di riferire alla parte assistita, se nell’interesse di questa, il contenuto di quanto appreso legittimamente nell’esercizio del mandato. Ad esempio l’avvocato viene a conoscenza che la controparte sta cessando l’attività e quindi appare opportuno accettare l’offerta di transazione in corso o già respinta.

La violazione del commi 6,7 e 8 conta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

E veniamo agli obblighi finali dell’incarico.

L’incarico professionale si esaurisce con lo svolgimento dell’attività prevista; lo stesso può, però, interrompersi anticipatamente o per rinuncia al mandato da parte dell’avvocato o per revoca della parte assistita.

Come accennato in apertura, l’incarico professionale tra avvocato e cliente/parte assistita è riconducibile agli articoli 2229 ss. cod. civ. contenute nel titolo III capo II intitolato delle professioni intellettuali.

L’art. 2237 cod. civ. prevede il recesso sia del cliente che del prestatore d’opera; il recesso del prestatore deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizi al cliente.

I codici di rito, quello civile, quello penale e quello amministrativo, quest’ultimo per richiamo esterno, prevedono il diritto dell’avvocato di rinunciare al mandato.

Il codice disciplinare con l’art. 32 detta una serie di disposizioni affinché il recesso sia coerente con i principi deontologici. Il 1 comma stabilisce che l’avvocato, quando rinuncia al mandato, deve usare le cautele necessarie per evitare pregiudizi alla parte assistita. Queste cautele sono previste dal secondo comma, ovvero l’avvocato deve dare un congruo preavviso e deve informare la parte assistita di quanto necessario per non pregiudicare la difesa; deve, quindi, riepilogare l’attività svolta e, in caso di giudizio l’udienza successiva e gli incombenti da svolgere.

In caso di irreperibilità della parte assistita, l’avvocato deve comunque comunicare la rinuncia al mandato con lettera raccomandata all’indirizzo anagrafico o all’ultimo domicilio o a mezzo pec. Se la pec non è attiva è opportuno inviare anche la raccomandata.

Con la rinuncia al mandato il rapporto si esaurisce con il cliente parte assistita ma non ha effetto nei confronti della controparte e dell’ufficio giudiziario.

Il comma 4 stabilisce che l’avvocato non è responsabile per la mancata successiva assistenza, qualora non sia nominato in tempi ragionevoli altro difensore.

Il tempo ragionevole occorrente per la nuova nomina va determinato caso per caso.

Ma se il cliente, ad esempio, distrugge l’autovettura dell’avvocato o lo picchia o appicca il fuoco al suo studio, come in alcuni casi è avvenuto, l’avvocato che rinuncia al mandato deve ugualmente andare in udienza e continuare ad assistere il suo persecutore? Io ritengo di no, richiamando il concetto di giusta causa previsto dall’art. 2237 cod.civ. Se c’è una giusta causa che giustifica il recesso con effetto immediato, l’avvocato è esonerato  dall’attendere il tempo ragionevole della nuova nomina.

D’altro canto il cliente, se ha fatto quello che ha fatto ai danni dell’avvocato era pure consapevole di quello che sarebbe accaduto e non può sostenere che la rinuncia gli sia pervenuta inaspettata. La rinuncia, essendo un atto unilaterale recettizio, per spiegare effetti deve pervenire alla conoscenza, effettiva o presunta del cliente.

Il comma 5 dell’art. 32 onera l’avvocato di informare comunque l’ex cliente delle comunicazioni e notificazioni che dovessero pervenirgli anche dopo la rinuncia.

La violazione degli obblighi deontologici previsti dall’art. 32 comporta l’applicazione della sanzione della censura.

Il codice deontologico non si occupa della revoca del mandato quando, cioè, è il cliente a recedere.

La Cassazione, però, con sentenza del 30.01.2019 estende l’obbligo di informazione anche nel caso di revoca “atteso che la revoca del mandato costituisce, al pari della rinuncia, una soluzione di continuità nell’assistenza tecnica e, pertanto, deve ritenersi fonte dei medesimi obblighi di informazione e comunicazione necessari al fine di non pregiudicare la difesa dell’ex assistito”.

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