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Locazione – Procedimento di convalida di sfratto per morosità

 Provvedimento di sfratto emesso dal Tribunale non in forma della convalida di sfratto, ma come ordinanza di rilascio – Interpretazione del provvedimento giurisdizionale – Sindacabilità in cassazione dell’ordinanza di rilascio - Corte di Cassazione, sez. VII, ordinanza n. 13323 del 17 maggio 2019, a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.

Fatto. Nel 1987 l’INAIL aveva locato ad uso commerciale alcuni locali siti a Catania alla s.p.a  3S.. e nel novembre 1994, la conduttrice aveva ceduto la propria azienda alla s.r.l. Ka.In., con l’obbligo di quest’ultima di versare all’INAIL il canone di locazione degli immobili nei quali veniva esercitata l’attività. La nuova conduttrice veniva, in seguito dichiarata fallita.

La Corte d’Appello competente, in riforma della decisione di primo grado, che aveva respinto la domanda di ammissione del credito dell’istituto locatore verso la fallita, in accoglimento del gravame proposto dall’INAIL, ammise quest’ultimo al passivo del fallimento della Ka.Int. in prededuzione e con privilegio di € 384.000 relativi a cinque ani di canini ed accessori.   

Ha proposto impugnazione avverso tale decisione il Fallimento soccombente, assumendo, anzitutto, che il giudice d’appello aveva erroneamente affermato che la convalida di sfratto emessa dal Tribunale nel giudizio di sfratto avesse ormai acquistato efficacia preclusiva di giudicato, dovendosi perciò considerare esclusa ogni indagine di merito relativamente alla dedotta risoluzione del contratto ed al possesso della cosa locata, non potendo più il giudice determinare una data di risoluzione del contratto diversa e di molto antecedente rispetto a quella fissata nella menzionata convalida.

Rilevava, altresì, che il provvedimento di sfratto non costituiva una convalida, ma consisteva solo in un’ordinanza provvisoria di rilascio, peraltro, successivamente revocata dallo stesso Tribunale che l’aveva emessa.

Decisione. La Suprema Corte in ordine ai due motivi di gravame, che ha trattato congiuntamente, ha affermato la loro fondatezza, postulando una questione interpretativa di un provvedimento giurisdizionale, in ragione della sua assimilabilità o meno, per natura ed effetti, di tali provvedimenti agli atti normativi, in quanto dotati di vis interpretativa e di indisponibilità per le parti (escludendosi così l’applicazione dei criteri di ermeneutica di cui agli artt. 1382 e ss. cc.).

In particolare il giudice di legittimità ha affermato che “nell’esegesi dei provvedimenti giurisdizionali i criteri richiesti per l’interpretazione delle norme debbono prevalere su quelli tipici dell’ermeneutica giudiziale, poiché il criterio interpretativo applicabile agli atti normativi è volto a ricercarne il significato oggettivo, a prescindere dagli intendimenti che li hanno generati, mentre l’esegesi del negozio giuridico è tesa a precisare la comune volontà delle parti, così come obiettivizzata nella dichiarazione”.

Il giudice di legittimità, inoltre, ha rilevato che nella fattispecie gli errori del giudice d’appello nell’interpretazione del provvedimento sono sindacabili in cassazione, spettando ad esso giudice di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, di accertarne direttamente il significato e la portata del comando giudiziale in esso contenuto (in tal senso cfr. Cass. n. 7751/2018 ed altre conformi), Ciò in quanto “il tenore letterale del detto provvedimento di sfratto emesso dal primo giudice non era di convalida, ma consisteva espressamente in un’ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., con contestuale mutamento del rito ex art. 667 c.p.c., per la prosecuzione dell’originario giudizio di convalida nelle forme del rito locatizio”.

La Cassazione ha poi chiarito che, secondo la giurisprudenza costante nel procedimento di odinanza “l’opposizione dell’intimato determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo ed autonomo procedimento a cognizione piena nelle forme, come detto, del rito locatizio, mentre, comunque, l’ordinanza ex art. 665 c.p.c. non è mai impugnabile, non risolvendo in via definitiva contestazioni in ordine ai diritti soggettivi e non è, di conseguenza, idonea a passare in giudicato, considerando che l’esigenza di un suo pronto e tempestivo controllo viene soddisfatta mediante riscontro della legittimità della pretesa fatta valere nella successiva fase di merito, affermando, di conseguenza, che l’ordinanza di rilascio non è mai equiparabile ad una sentenza, talchè non assume un carattere di irrevocabilità e non può passare in giudicato”.

La causa, pertanto, è stata rinviata ad altro giudice d’appello perché esamini il merito della controversia, del tutto trascurato nella sentenza impugnata, in quanto decisa in rito, sulla base di un’erroneo presupposto in rito di giudicato.  

Breve commento

La decisione della Suprema Corte si appalesa sicuramente corretta, avendo la stessa richiamato in maniera utile, chiara ed esaustiva i principi espressi dalla giurisprudenza in tema di differenze tra la convalida dello sfratto (che ha un valore definitivo e non è impugnabile, se non per motivi di diritto, in quanto emessa al di fuori dei presupposti di legge previsti per la pronuncia) e l’ordinanza di rilascio (emessa su opposizione dell’intimato in via provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato).