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Appalto di ristrutturazione immobile locato al conduttore poi fallito – Indebito arricchimento - Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 1708 del 26 gennaio 2021.  

Appalto di ristrutturazione di immobile da parte del conduttore - Richiesta di pagamento delle opere - Mancato pagamento del prezzo pattuito dal conduttore fallito – Azione di indebito arricchimento dall’appaltatrice nei confronti del proprietario-locatore dell’immobile – Inammissibilità - Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 1708 del 26 gennaio 2021, a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.

 

Fatto.  Una società, conduttrice di una casa di cura, aveva stipulato con altra società un contratto d’appalto per la ristrutturazione dell’immobile condotto in locazione, non corrispondendo poi il prezzo pattuito di circa € 200.000 ed era successivamente stata dichiarata fallita.

Per recuperare il suo credito, l’appaltatrice aveva agito in giudizio nei confronti dei locatori, rientrati in possesso dell’immobile già locato alla conduttrice fallita, assumendo che questi si erano arricchiti senza causa grazie all’attività di manutenzione e ristrtturazione eseguita. Il Tribunale e la Corte d’Appello respingevano la domanda, in quanto, pur essendo legittima l’azione proposta esperita verso terzi, costoro si erano comunque arricchiti ai danni del depauperato, rilevando, però, che l’azione proposta non aveva il carattere di residualità ex art. 2042 c.c., in quanto nella specie esisteva altra azione diretta verso la controparte del rapporto (nella specie l’attrice si era, infatti, insinuata nel passivo fallimentare dell’appaltante).  Proponeva, quindi, ricorso per cassazione i proprietari locatori sulla base di due motivi.

Decisione Da un lato, parte ricorrente ha affermato che la Corte territoriale non ha considerato che la domanda ex art. 2041 c.c. può esperirsi verso il terzo anche quando la controparte abbia richiesto di insinuarsi al passivo della debitrice fallita e, dall’altro, ha erroneamente interpretato l’art. 2042 c.c., non potendosi ritenere preclusiva all’azione d’indebito arricchimento l’insinuazione al passivo.

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibili entrambi i motivi addotti dalla ricorrente, rigettando, quindi il ricorso e così affermando: “premesso che l’azione ai sensi dell’art. 2041 c.c. presuppone che il terzo si sia arricchito in forza di un rapporto di fatto (ovvero gratuitamente) e che il soggetto obbligato si sia reso insolvente, va rilevato che la giurisprudenza in merito ha ritenuto che il termine usato va considerato mancato inadempimento non nel senso tecnico di cui alla legge fallimentare (talchè non basta che sia dichiarato lo stato d’insolvenza dell’obbligato per affermare che nei confronti di questi non vi è alcuna azione esperibile, ma che il danneggiato non può agire nella specie con l’azione d’indebito arricchimento, giacchè, in caso di insolvenza, al creditore resta l’azione nei confronti del  fallito, che può esercitarsi insinuandosi  al passivo” ed ha concluso che, nel caso concreto, “l’azione esperibile era quella contrattuale proponibile verso obbligato per contratto (cosa che era stata fatta dal creditore con l’insinuazione al passivo), con conseguente preclusione della azione ai sensi dell’art. 2041 c.c, inammissibile per difetto di residualità”