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1. Introduzione

I contratti d'opera - (bozze da personalizzare e se necessario da integrare)

Il compenso all’avvocato dopo l’entrata in vigore del nuovo ordinamento professionale forense (L. 247/2012)

Le modalità per la determinazione del compenso dovuto per l'attività professionale svolta dall’avvocato continuano ad essere regolamentate dall'art. 2233 c.c., come modificato prima dalla c.d. legge Bersani (L. 248/2006) e, da ultimo, dall’art. 9 della legge 27/2012 di conversione del D.L. 1/2012.

Il nuovo ordinamento professionale forense previsto dalla legge 247/2013 (G.U. n. del 18/1/2013) ha infine fissato le ultime disposizioni che entreranno in vigore dal 2 febbraio 2013.

E’ con la legge n. 27/2012 di conversione del D.L. 1/2012 che il sistema per la determinazione del compenso per l’attività professionale, svolta dagli avvocati e dagli altri professionisti appartenenti al sistema ordinistico, ha subìto una radicale trasformazione.

La novella legislativa del 2012 - art. 9 l. 27/2012 - ha definitivamente abrogato le tariffe previste per le professioni ordinistiche, eliminando il “sistema tariffario professionale” speciale previsto per alcuni professionisti statuendo al comma 1 che “sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” e al comma 5 che “sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1”.

La nuova normativa, pertanto, in modo netto e preciso, abrogate in via generale le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, abroga anche il sistema tariffario forense, stabilendo contestualmente che anche tutte le norme collegate a questo sistema di determinazione del compenso devono intendersi implicitamente abrogate.

La determinazione del compenso professionale, dunque, deve avvenire, in via preferenziale, tramite l’accordo tra il professionista e il cliente e quindi tramite la stipula di un contratto d’opera professionale, in mancanza della quale essa è rimessa alla valutazione del giudice vincolata all’applicazione dei parametri ministeriali fissati con il d.m. 140/2012.

I criteri gerarchici preferenziali per la determinazione del compenso, alla luce di dette precisazioni, devono essere così individuati: 1 - accordo tra le parti;  2 - liquidazione da parte del giudice.

Un contratto d’opera professionale diventa, quindi, necessario poiché, in mancanza, interviene il secondo criterio, come previsto e regolamentato dal D.M. 140/2012. Si ricorda che il contratto d’opera professionale ha la sua collocazione nel codice civile all’art. 2233 e seguenti. Si tratta di un contratto a titolo oneroso, ma essendo l’onerosità elemento materiale e non essenziale del contratto, e’ possibile stipulare anche accordi con prestazioni gratuite (Cass. 21251/2007).

Se ne desume, quindi, che il ricorso ai parametri fissati dal d.m. 140/2012 quali criteri residuali per la determinazione del compenso, avviene nelle ipotesi in cui: 1.cliente e professionista non hanno previamente pattuito nessun accordo sul compenso; 2.cliente e professionista non hanno previsto nell’accordo alcune attività che vengono successivamente svolte; 3.la parte deve rifondere le spese legali all’altra parte per effetto della condanna alle spese; 4.il professionista e il cliente hanno determinato il corrispettivo con riferimento alle vecchie tariffe.

Poiché il D.M. 140/2012 mira a risolvere i casi patologici di rapporti tra professionista e cliente, il criterio residuale deve essere utilizzato anche nei casi in cui il compenso pattuito è impugnato per eccessiva onerosità o per errore o per venir meno di talune caratteristiche del rapporto.

Pertanto, nel momento in cui il rapporto professionale entra in sofferenza per dissenso tra le parti, il giudice, dopo aver accertato che la pattuizione del compenso non è “in vigore”, decide la controversia riferendosi ai parametri e a quanto altro stabilito dal D.M. 140/2012.

Così descritto il sistema di determinazione del compenso professionale delineato dalla novella 27/2012, sembrava che la procedura di eliminazione del sistema tariffario forense si fosse conclusa con l’abrogazione generalizzata dei sistemi tariffari delle professioni regolamentate.

L’Ultimo intervento legislativo, l. 247/2013, relativo al nuovo ordinamento forense ha reintrodotto un sistema speciale di determinazione e liquidazione del compenso per la categoria professionale degli avvocati.

In generale, la l. 247/2012 conferma i principi previsti dall’art. 2233 c.c. così come riformulato dalla legge 27/2012, introducendo all’art. 13 per gli Avvocati alcune importanti novità e precisazione in punto di conferimento dell’incarico e determinazione del compenso di seguito evidenziate.

Sulla scia dell’art. 9 l. 27/2012 in punto di determinazione del compenso si ribadisce quanto segue: - il compenso spettante al professionista è pattuito di regola 1. per iscritto, 2. all’atto del conferimento dell’incarico professionale.

In tal modo, si consigliano al professionista sia la forma che il momento della determinazione del compenso, onde tutelare nel miglior modo possibile il rapporto professionale ed evitare ab origine l’insorgenza di questioni controverse ed il ricorso alla determinazione giudiziale dei compensi (comma 2 art. 13). Si consideri comunque che la forma scritta rivestita dalla pattuizione sul compenso tra avvocato e cliente integra un vero e proprio un onere imposto alle parti dal comma 3 art. 2233 c.c.

Occorre evidenziare una importante modifica apportata dalla nuova legge relativamente a preventivo: l’avvocato, solo su specifica richiesta , è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l’incarico professionale la misura del costo della prestazione, prevedibile al momento del conferimento dell’incarico, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale (seconda parte comma 5 art. 13). Tale onere si aggiunge agli altri obblighi informativi che il comma 5 impone all’Avvocato, nel rispetto del principio di trasparenza: si tratta dell’obbligo di rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico.

Specificando il contenuto della pattuizione tra cliente ed avvocato, il comma 3 art. 13 l. 247/2013, ispirato al principio di libertà quale massima espressione dell’autonomia negoziale che connota la stipula di un contratto d’opera professionale per la regolamentazione del rapporto avvocato, ammette anche le seguenti tipologie di accordi: 1. a tempo, 2. in misura forfetaria, 3. per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, 4. in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività,  5. a percentuale sul valore dell’affare, 6. a percentuale su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.

Il patto di quota lite

Il successivo comma 4, art. 13 si preoccupa, però, di limitare il contenuto delle pattuizioni tra avvocato e cliente, vietando i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. Tale disposizione appare ictu oculi foriera di numerosi dubbi interpretativi di non poco momento. Non è mancato infatti chi, in sede di prima lettura della novella, ha ritenuto che il comma 4 così come formulato determina le reviviscenza del divieto del patto di quota lite.

Onde sciogliere tali dubbi interpretativi, pare opportuno anzitutto ripercorrere le tappe evolutive della controversa fattispecie del patto di quota lite e poi inserire la nuova disposizione nella cornice della novella 247/2013.

Occorre chiedersi come in questo contesto normativo vada inserito il comma 4, art. 13 l. 247/2013, il quale, come anticipato, vieta i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.

Se è vero che il patto di quota lite è la pattuizione con cui avvocato e cliente convengono che, quale compenso per l’opera prestata, venga riconosciuta dal cliente all’avvocato una percentuale del bene controverso o del valore dello stesso e, posto che il comma 3 art. 13 della novella ammette espressamente la pattuizione a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, fermo restando l’onere della forma scritta ex art. 2233 comma 3 c.c., il patto vietato dal comma 4 in considerazione non è il patto di quota lite, ma un patto che determini il compenso pro quota con specifico riferimento al bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. In altri termini, rimangono validi i patti sui compensi parametrati ai risultati conseguiti, aventi ad oggetto, non una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa, ma una percentuale del valore del bene controverso o del bene stesso. Si comprende, dunque, come diverso sia l’oggetto tra il patto vietato ex art. 13 comma 4 l. 247/2013 e il patto di quota lite inteso come sopra.

Ciò risulta espressamente confermato dal comma 3, art. 13 che tra i possibili contenuti della pattuizione tra cliente e avvocato fa rientrare anche la percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione. Alla luce di una lettura interpretativa sistematica dell’intera novella, una tale previsione sarebbe del tutto incoerente nonché inutile se il comma successivo della novella vietasse tout court il patto di quota lite, quale pattuizione con cui avvocato e cliente convengono che, quale compenso per l’opera prestata, venga riconosciuta dal cliente all’avvocato una percentuale del bene controverso o del valore dello stesso.

Sembra potersi per contro ragionevolmente concludere nel senso che il comma 4 art. 13 l. 247/2013 si limiti a ribadire il divieto di cui all’art. 1261 c.c. Ne deriva, quindi che in base alla normativa vigente, anche a seguito della novella dell’ordinamento forense, continuano ad esistere due tipi di patti di quota lite: il primo, pienamente legittimo, con il quale si stabilisce un compenso correlato al risultato pratico dell'attività svolta e, comunque, in ragione di una percentuale sul valore dei beni o degli interessi litigiosi (tale patto deve essere redatto per iscritto pena nullità ex art. 2233 comma 3 c.c.); il secondo, nullo, nella misura in cui realizzi, in via diretta o indiretta, la cessione del credito o del bene litigioso, contravvenendo, dunque, al divieto posto dall'art. 1261 c.c.

Il palmario

L’istituto in questione è chiamato “palmario”, dal latino palmarium: la palma che si dava al soldato vittorioso come premio.

Questo istituto, come precisato dal Consiglio nazionale forense (Parere Cons. Nazionale Forense, 10 aprile 1997), “ Non integra gli estremi della violazione del dovere di correttezza il comportamento dell'avvocato che, dopo aver informato il cliente di essere stato soddisfatto delle sue competenze dalla controparte, abbia concordato e successivamente ottenuto dallo stesso una somma di denaro a titolo di palmario”.

Anche la Corte di Cassazione è intervenuta, con numerose sentenze su questo argomento, precisando che “Pur essendo solito riconnettersi l’obbligo del palmario, o per volontà delle parti, o per la forza degli usi, all’esito vittorioso della lite, a caratterizzarlo sta essenzialmente la natura straordinaria del compenso, il quale è dovuto oltre il compenso normale” (Cassazione civile, sez. II, 2.7.1949, n. 1654).

Ed ancora: “ Il palmario, che normalmente indica il compenso spettante al difensore, in caso di esito vittorioso del giudizio, può essere pattuito, indipendentemente da qualsiasi previsione sull’esito della lite, quale compenso di carattere straordinario dovuto oltre quelli spettanti per le singole prestazioni giudiziali”. (Cassazione civile, sez. II, 25.6.1955, n. 1981).

“Non sussiste il patto di quota lite, vietato dal comma 3 dell'art. 2233 c.c., non solo nel caso di convenzione che preveda il pagamento al difensore, sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, di una somma di denaro non in sostituzione, bensì in aggiunta all'onorario, a titolo di premio (cosiddetto palmario), o di un compenso straordinario per l'importanza e la difficoltà della prestazione professionale, ma anche quando la pattuizione del compenso al professionista sia sostanzialmente collegata all'importanza delle prestazioni professionali od al valore della controversia e non in modo totale o prevalente all'esito della lite”. (Cassazione civile, sez. II, 18 giugno 1986, n. 407).

 

L. 247/2012 Art. 13. (Conferimento dell’incarico e compenso)

L’avvocato può esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore. L’incarico può essere svolto a titolo gratuito.

Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale.

La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.

Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.

Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico; a richiesta è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l’incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale.

I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, si applicano quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge.

I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi.

Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarietà.

In mancanza di accordo tra avvocato e cliente, ciascuno di essi può rivolgersi al consiglio dell’ordine affinché esperisca un tentativo di conciliazione. In mancanza di un accordo il consiglio, su richiesta dell’iscritto, può rilasciare un parere sulla congruità della pretesa dell’avvocato in relazione all’opera prestata

Oltre al compenso per la prestazione professionale, all’avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell’interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfetarie, la cui misura massima è determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai criteri di determinazione e documentazione delle spese vive.