condominio - rassegna della giurisprudenza di legittimità 2020 della Corte di Cassazione
Sommario: 1. Premessa. - 2. Le parti comuni nel condominio di edifici. - 3. Il godimento della cosa comune. - 4. Le innovazioni. - 5. La responsabilità del condominio. - 6. Il regolamento di condominio. - 7. La ripartizione delle spese condominiali. - 8. L'amministratore. Premessa. - 8.1. La nomina e la revoca dell’amministratore. - 8.2. La legittimazione processuale dell’amministratore di condominio e l'onere della prova. - 9. L'assemblea e l'impugnazione delle deliberazioni assembleare - 9.1. Il funzionamento. - 9.2. Le determinazioni dell'assemblea. - 9.3. L'impugnazione. - ufficio del massimario (di Vittorio Corasaniti e Valeria Pirari) - dal sito web della Corte di Cassazione
1. Premessa.
Nel corso del 2020 la S.C. è più volte intervenuta in materia condominiale, affrontando alcune delle principali problematiche, sia sostanziali che processuali, che con maggiore frequenza si pongono in rapporto all'istituto giuridico del condominio, talvolta operando significative specificazioni di principi già elaborati nella precedente produzione giurisprudenziale, talaltra sviluppando nuovi profili alla luce della novella introdotta con la l. 11 dicembre 2012, n. 220, recante "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici".
2. Le parti comuni nel condominio di edifici.
L'art. 1117 c.c., norma che introduce la disciplina codicistica del condominio, individua, con elencazione non tassativa, i beni che sono presuntivamente di proprietà e godimento comune in relazione alla loro funzione e al collegamento strutturale con le unità immobiliari di proprietà esclusiva costituenti il condominio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il presupposto perché si instauri un diritto di condominio su un bene comune è costituito dalla relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione (Sez. 2, n. 04973/2007, Trombetta, Rv. 596943-01). Sicché, giusta Sez. 2, n. 00884/2018, Scarpa, Rv. 647073-01, la disciplina del condominio degli edifici è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni - quali quelle elencate in via esemplificativa dall'art. 1117 c.c. - ad unità o porzioni di proprietà individuale, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso.
Circa l'ambito di operatività della previsione normativa da ultimo richiamata, mette conto segnalare che, secondo le coordinate enucleate da Sez. 2, n. 04881/1993, Paolella, Rv. 482042-01, successivamente ribadite da Sez. 6-2, n. 17022/2019, Scarpa, Rv. 654613-01, la presunzione legale di condominialità stabilita dall'art. 1117 c.c. è applicabile anche quando non si tratti di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate alla conservazione, all'uso od al servizio di detti immobili, ancorché insistenti sull'area appartenente al proprietario di uno solo degli stessi; la presunzione è tuttavia invocabile solo se l'area e gli edifici siano appartenuti ad una stessa persona - o a più persone pro indiviso - nel momento della costruzione della cosa o del suo adattamento o trasformazione all'uso comune, mentre, nel caso in cui l'area sulla quale siano state realizzate le opere destinate a servire i due edifici sia appartenuta sin dall'origine ai proprietari di uno solo di essi, questi ultimi acquistano per accessione la proprietà esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, anche se poste in essere per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati ovvero con il contributo economico dei proprietari degli altri stabili.
Premesso che, secondo Sez. 2 n. 03852/2020, Scarpa, Rv. 657106-03, la comproprietà delle parti comuni dell'edificio indicate nell'art 1117 c.c. sorge nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l'edificio, sicché per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva - i quali comprendono "pro quota", senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni - la situazione condominiale è opponibile ai terzi dalla data dell'eseguita formalità, va rimarcato che il criterio dell'attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo ha orientato le pronunce della S.C. in diverse fattispecie concrete.
E così, secondo Sez. 2, n. 23316/2020, Fortunato, Rv. 659381-01, in materia di condominio, il cortile, salvo titolo contrario, ricade nella presunzione di condominialità ai sensi dell'art. 1117 c.c., essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce allo stabile comune, senza che la presunzione possa essere vinta dalla circostanza che ad esso si acceda solo dalla proprietà esclusiva di un condomino, in quanto l'utilità particolare che deriva da tale fatto non incide sulla destinazione tipica del bene e sullo specifico nesso di accessorietà del cortile rispetto all'edificio condominiale.
Sempre con riguardo al cortile condominiale, Sez. U., n. 28972/2020, Di Marzio, Rv. 659712-01, ha chiarito che la pattuizione avente ad oggetto l'attribuzione del cd. "diritto reale di uso esclusivo" su una porzione di esso, costituente, come tale, parte comune dell'edificio, è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del "numerus clausus" dei diritti reali e della tipicità di essi, atteso che essa mira alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, idoneo ad incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall'art. 1102 c.c. Pertanto, il titolo negoziale che siffatta attribuzione abbia contemplato impone di verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se, al momento di costituzione del condominio, le parti non abbiano voluto trasferire la proprietà ovvero, sussistendone i presupposti normativi previsti e, se del caso, attraverso l'applicazione dell'art. 1419 c.c., costituire un diritto reale d'uso ex art. 1021 c.c. ovvero, ancora se sussistano i presupposti, ex art. 1424 c.c., per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (ovviamente inter partes) di natura obbligatoria.
E ancora, in tema di aree esterne adibite a parcheggio, precisa Sez. 6-2, n. 18796/2020, Scarpa, Rv. 659217-01, che la speciale normativa urbanistica, dettata dall'art. 41-sexies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della l. n. 765 del 1967, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio, determinando, mediante tale vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d'uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell'edificio, senza imporre all'originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione; pertanto, ove manchi un'espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree in questione, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell'edificio condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c., con conseguente legittimazione dell'amministratore di condominio ad esperire, riguardo ad esse, le azioni contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere il ripristino dei luoghi e il risarcimento dei danni, giacché rientranti nel novero degli atti conservativi, al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130, n. 4,c.c.
Afferma, poi, Sez. 2 n. 09383/2020, Grasso, Rv. 657705-01, che la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può presumersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato, anche solo potenzialmente, all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune; il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano Vittorio solo quando assolva all'esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall'umidità, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo.
Merita segnalare, peraltro, che il criterio dell'attitudine funzionale e strutturale del bene al servizio o al godimento collettivo è stato assunto quale parametro qualificante di demarcazione nella figura del c.d. condominio parziale, laddove secondo Sez. 2, n. 00791/2020, Scarpa, Rv. 656837-01, la fattispecie del condominio parziale, che rinviene il fondamento normativo nell'art. 1123, comma 3, c.c., è automaticamente configurabile "ex lege" tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, rimanendo, per l'effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene; ne consegue che i partecipanti al gruppo non hanno il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose di cui non hanno la titolarità e la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare.
Da ultimo, la rilevanza del rapporto di servizio tra le parti comuni è stata evidenziata anche nell'ipotesi di perimento dell’edificio condominiale, in relazione alla quale, osserva Sez. 2 n. 21716/2020, Criscuolo, Rv. 659324-01, il perimento, totale o per una parte che rappresenti i tre quarti dell'edificio condominiale, determina l'estinzione del condominio per mancanza dell'oggetto, in quanto viene meno il rapporto di servizio tra le parti comuni, mentre permane tra gli ex condomini soltanto una comunione pro indiviso dell'area di risulta, potendo la condominialità essere ripristinata solo in caso di ricostruzione dell'edificio in modo del tutto conforme al precedente.
Nel corso del 2020, peraltro, la S.C. ha affrontato, in materia condominiale, anche alcune rilevanti questioni di carattere processuale.
Segnatamente, in relazione all'onere probatorio in tema di azione di rivendica di parti comuni riconducibili all'art. 1117 c.c., di particolare interesse è quanto affermato da Sez. 2 n. 03852/2020, Scarpa, Rv. 657106-04, secondo cui la presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all'uso comune della res, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica. Ne consegue che, quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'art. 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, onde vincere tale ultima presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si era riservato l'esclusiva titolarità del bene. La medesima pronuncia, puntualizza, altresì, che l'individuazione delle parti comuni (nella specie, i cortili o qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture) operata dall'art. 1117 c.c. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali (Sez. 2 n. 03852/2020,Scarpa, Rv. 657106-02).
Sul tema, poi, delle azioni a tutela dei diritti reali su cose o parti dell'edificio, chiarisce Sez. 6-2, n. 23190/2020, Criscuolo, Rv. 659405-01, che le azioni reali nei confronti dei singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali su cose o parti dell'edificio condominiale, che esulino dal novero degli atti meramente conservativi, possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131, comma 1, c.c. (nella specie, la S.C. ha ritenuto necessaria l'autorizzazione, avendo il condominio agito per la demolizione di un fabbricato non costruito a distanza).
Infine, con riferimento alla condizione di procedibilità delle "controversie in materia di condominio", di cui all'art. art. 71 quater disp. att. c.c., ha chiarito Sez. 6¬2, n. 10846/2020, Scarpa, Rv.657890-01 (la quale ritornerà utile, sia pure a fini diversi, in prosieguo), che, ai sensi del comma 3 della menzionata disposizione, l'amministratore di condominio è legittimato a partecipare alla procedura di mediazione obbligatoria solo previa delibera assembleare di autorizzazione, non rientrando tra le sue attribuzioni, in assenza di apposito mandato, il potere di disporre dei diritti sostanziali rimessi alla mediazione. Ne consegue che la predetta condizione di procedibilità non può dirsi realizzata qualora l'amministratore partecipi all'incontro davanti al mediatore sprovvisto della previa delibera assembleare, da assumersi con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., non essendo in tal caso possibile iniziare la procedura di mediazione e procedere al relativo svolgimento, come suppone il comma 1 dell'art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010.
3. Il godimento della cosa comune.
La norma regolatrice della materia è costituita dall'art. 1102 c.c., dettata in tema di comunione, ma applicabile anche al condominio in forza del richiamo operato dall'art. 1139 c.c.
Tale disposizione, nel permettere a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune e di apportarvi anche le modificazioni necessarie per il migliore godimento, pone come condizione limitativa il divieto di alterarne la destinazione e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto.
Osservati questi limiti, ogni singolo partecipante può trarre dalla cosa comune le utilità che la stessa e in grado di fornire ed apportarvi, a sue spese, tutte quelle modificazioni suscettibili del migliore godimento di essa.
Trattasi di previsione avente portata generale, ma non inderogabile, come chiarito da Sez. 2, n. 02114/2018, Carrato, Rv. 647302-01, secondo cui i suddetti limiti possono anche essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il quorum prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni.
Ribadisce Sez. 2, n. 18038/2020, Scarpa, Rv. 658947-01, che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, atteso che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica, solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto.
Nella menzionata pronuncia, peraltro, si specifica che la destinazione della cosa comune - che, a norma dell'art. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non può alterare, divenendo altrimenti illecito l'uso del bene - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l'uso della cosa, elementi giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi ed elementi di fatto, quali le caratteristiche della cosa. In particolare, in mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria circa l'uso delle parti comuni, la destinazione di queste ultime, rilevante ai fini del divieto di alterazione ex art. 1102 cit., può risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condomini e, cioè, dall'uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione, che il giudice di merito deve accertare (così Sez. 2, n. 18038/2020, Scarpa, Rv. 658947-03).
Qualora il "miglior uso" della cosa comune per il maggior godimento del bene di proprietà travalichi il perimetro di operatività dell'art. 1102 c.c. in ambito condominiale, si è in presenza di un utilizzo illegittimo.
Sotto questo profilo, osserva Sez. 6-2, n. 05060/2020, Scarpa, Rv. 657264-01, che è illegittima l'apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell'edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile, pure di sua proprietà, ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini. Né è possibile ipotizzare la costituzione di un vincolo pertinenziale tra il muro perimetrale e l'unità immobiliare di proprietà esclusiva esterna al condominio, per atto proveniente dal solo titolare di quest'ultima, giacché detto vincolo postula che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità della cosa accessoria - sì da poterla validamente destinare, in modo durevole, al servizio od all'ornamento dell'altra - mentre il muro perimetrale è oggetto di proprietà comune.
E ancora, secondo Sez. 2, n. 20543/2020, De Marzo, Rv. 659204-01, in presenza di un edificio strutturalmente unico, su cui insistono due distinti ed autonomi condomini, è illegittima l'apertura di un varco nel muro divisorio tra questi ultimi, volta a collegare locali di proprietà esclusiva del medesimo soggetto, tra loro attigui, ma ubicati ciascuno in uno dei due diversi condomini, in quanto una simile utilizzazione comporta la cessione del godimento di un bene comune, quale è, ai sensi dell'art. 1117 c.c., il muro perimetrale di delimitazione del condominio (anche in difetto di funzione portante), in favore di una proprietà estranea ad esso, con conseguente imposizione di una servitù per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini.
In ogni caso, chiarisce Sez. 2, n. 04439/2020, De Marzo, Rv. 657111-01, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all'art. 1102 c.c., faccia uso della cosa comune, la mera mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative non può essere invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi tale carenza esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione, salvo che si deduca e dimostri che, in concreto, l'inosservanza di una norma ordinata a garantire parametri di sicurezza si sia tradotta nel pregiudizio degli interessi perseguiti dalla normativa in materia condominiale.
Sul versante processuale, si segnala che secondo Sez. 2, n. 02002/2020, Scarpa, Rv. 656855-01, la domanda azionata da un condomino in base al disposto dell'art. 1102 c.c., ed avente quale fine il ripristino dello "status quo ante" di una cosa comune illegittimamente alterata da altro condomino, ha natura reale, in quanto si fonda sull'accertamento dei limiti del diritto di comproprietà su un bene. Essa, dunque, rientra nel novero delle azioni relative ai diritti autodeterminati, individuati sulla base del bene che ne forma l'oggetto, nel senso che la relativa "causa petendi" s'identifica con lo stesso diritto di comproprietà sul bene comune. Ne consegue che non vi è diversità di domande, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., ove a fondamento della domanda di rimozione delle opere si ponga dapprima il difetto della preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale e poi si deducano i generali criteri di cui all'art. 1102 c.c.; né incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, dedotta in lite l'illegittimità dell'uso particolare del bene comune, ex art. 1102 c.c., accolga la domanda ritenendo che l'opera arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio condominiale, trattandosi di limite legale compreso nel principio generale dettato da tale norma e che perciò deve guidare l'indagine giudiziale sulla verifica delle condizioni di liceità del mutamento d'uso.
Da ultimo, sempre sul versante processuale, ma con specifico riferimento al tema della regolamentazione dell'uso della cosa comune, merita segnalare Sez. 2, n. 18038/2020, Scarpa, Rv. 658947-02, secondo cui la previsione, ad opera dell'art.
1105, comma 4, c.c. del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all'autorità giudiziaria per adottare gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione (inclusi gli atti di conservazione), preclude al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice, in sede contenziosa, per ottenere provvedimenti di gestione della "res", ai fini della sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti; ne consegue che non è consentito il ricorso all'A.G. per ottenere determinazioni finalizzate al "migliore godimento" delle cose comuni, ovvero l'imposizione di un regolamento contenente norme circa l'uso delle stesse, spettando unicamente al gruppo l'espressione della volontà associativa di autorganizzazione contenente i futuri criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti alla comunione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva proceduto, in sede contenziosa, alla determinazione giudiziale delle superfici delle mura perimetrali dell'androne, utilizzabili dai proprietari dei locali terranei del condominio per apporvi delle vetrine espositive).
4. Le innovazioni.
L'art. 1120 c.c., nella formulazione previgente alle modifiche apportate dalla l. n. 220 del 2012, stabiliva che i condomini potessero deliberare innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni e che fossero vietate quelle che potessero "recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato", che ne alterassero il decoro architettonico o che rendessero talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Successivamente all'entrata in vigore della novella del 2012 e dunque a decorrere dal 18 giugno 2013, trova, invece, applicazione il nuovo testo dell'art. 1120, a mente del quale i condomini, con la maggioranza indicata dal comma 2 dell'art. 1136 c.c., possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, riguardino: 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti; 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edifido, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; 3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto. E' rimasto, invece, inalterato il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
La nozione di "innovazione" si è nutrita, nell'anno in rassegna, di precisazioni importanti, funzionali alla risoluzione di questioni afferenti all'assetto proprietario o alle conseguenze pregiudizievoli, che hanno tratto spunto da fattispecie concrete ricorrenti (si pensi alla realizzazione di una canna fumaria o all'installazione "ex novo" di un ascensore).
Va innanzitutto chiarito che, secondo Sez. 2, n. 18928/2020, Varrone, Rv.659186-01, costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico dell'edificio condominiale, come tale vietata, non soltanto quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio, spettando la relativa valutazione al giudice di merito, senza che possa essere sindacata in sede di legittimità, a meno che non siano presenti vizi di motivazione.
Quando dunque si verifichi un'alterazione della fisionomia architettonica dell'edificio condominiale (come in caso di realizzazione di una canna fumaria apposta sulla facciata), il pregiudizio economico risulta conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico, che, costituendo una qualità del fabbricato, in sé meritevole di salvaguardia, è tutelata dalle norme che ne vietano l'alterazione (in tal senso, Sez. 2, n. 25790/2020, Scarpa, Rv. 659623-01).
Secondo Sez. 6-2, n. 10850/2020, Scarpa, Rv. 657892-01, costituisce innovazione, ad esempio, l'ascensore installato "ex novo", successivamente alla costruzione dell'edificio, per iniziativa e a spese di alcuni condomini, il quale, appartenendo soltanto a coloro che l'hanno realizzato e non a tutti i condomini, dà luogo ad una particolare comunione parziale che contempla soltanto questi ultimi, finché coloro che ne sono rimasti esclusi non decidano, successivamente, di partecipare alla realizzazione dell'opera con assunzione dell'obbligo di pagarne "pro quota" le spese all'uopo impiegate e aggiornate al valore attuale, secondo quanto previsto dall'art. 1121, comma 3, c.c., essendo giuridicamente irrilevante, ai fini della natura condominiale del manufatto, la circostanza che questo sia stato, di fatto, utilizzato anche a servizio delle unità immobiliari di proprietà di coloro che non avevano inizialmente inteso trarne vantaggio.
In applicazione della vecchia disciplina, infine, Sez. 2, n. 23741/2020, Scarpa, Rv. 659391-01, ha chiarito che l'innovazione vietata, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito, si caratterizza in particolare per l'intervenuta sensibile menomazione dell'utilità ritraibile dalla parte comune, la cui sussistenza incide sulle maggioranze richieste per l'estrinsecazione della volontà condominiale. Alla stregua di tale principio, si è dunque sostenuto che i condomini, seppur titolari di un fondo configurato come dominante nell'ambito di una servitù costituita per la fruizione di un servizio condominiale, possono decidere di modificare il servizio (nella specie, spostando l'ubicazione dell'autoclave, dell'elettropompa e della cisterna della riserva dell'impianto idrico) con le maggioranze richieste dall'art. 1136 c.c., non costituendo oggetto della delibera la rinunzia della servitù, la cui estinzione consegue eventualmente ad essa quale effetto legale tipico della nuova situazione di fatto venutasi a creare tra i fondi per il venir meno dei requisiti oggettivi che caratterizzano la servitù, salvo che la trasformazione del servizio non richieda l'unanimità per altre ragioni, derivanti appunto dalle regole in materia di innovazioni vietate.
5. La responsabilità del condominio.
Il condominio è custode delle parti comuni e di quelle che, indipendentemente dall'assetto proprietario, sono funzionalmente asservite alle proprietà esclusive.
A questo proposito, Sez., 6-2, n. 07044/2020, Scarpa, Rv. 657285-01, ha chiarito che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è in particolare obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, sicché risponde ex art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano causalmente imputabili anche al concorso del fatto di un terzo, prospettandosi in tal caso la situazione di un medesimo danno provocato da più soggetti per effetto di diversi titoli di responsabilità, che dà luogo ad una situazione di solidarietà impropria. Nondimeno, la conseguenza della corresponsabilità in solido, ex art. 2055 c.c., comporta che la domanda del condomino danneggiato vada intesa sempre come volta a conseguire per l'intero il risarcimento da ciascuno dei coobbligati, in ragione del comune contributo causale alla determinazione del danno.
6. Il regolamento di condominio.
Secondo l'art. 1138 c.c., è prescritta l'adozione di un regolamento condominiale quando il numero dei condomini sia superiore a dieci. Il regolamento, che costituisce espressione dell'autonomia organizzativa nel condominio, deve contenere le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.
Il regolamento condominiale si distingue dal regolamento contrattuale, che postula una "convenzione" intervenuta tra tutti i condomini in via contestuale ovvero mediante adesione di tutti gli acquirenti, attraverso i loro "atti di acquisto", ad un testo di regolamento predisposto dall'originario proprietario alienante.
Spiega Sez. 6-2, n. 24957/2020, Dongiacomo, Rv. 659703-01, che il regolamento di condominio cosiddetto contrattuale, quali ne siano il meccanismo di produzione ed il momento della sua efficacia, si configura, dal punto di vista strutturale, come un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune; ne consegue che l'azione di nullità del regolamento medesimo è esperibile non nei confronti del condominio (e, quindi, dell'amministratore), carente di legittimazione in ordine ad una siffatta domanda, ma da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, versandosi in una situazione di litisconsorzio necessario (in applicazione di tale principio, la S.C. ha condiviso la decisione della Corte di merito che, una volta escluso che il riscontro della eventuale nullità del regolamento costituisse l'oggetto di un accertamento incidentale - nel qual caso non sarebbe stata imposta la necessaria partecipazione di tutti i condomini - aveva dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per la mancata partecipazione al giudizio di tutti i condomini).
Chiarisce, inoltre, Sez. 2, n. 03058/2020, Dongiacomo, Rv. 657097-02, che la clausola con la quale gli acquirenti di un'unità immobiliare di un fabbricato assumono l'obbligo di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente incaricano il costruttore di predisporre non può valere quale approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento già esistente che consente di ritenere quest'ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto, sicché quello predisposto dalla società costruttrice in forza del mandato ad essa conferito non è opponibile agli acquirenti.
7. La ripartizione delle spese condominiali.
L'art. 1123, comma 1, c.c. stabilisce il criterio generale di ripartizione delle spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Secondo la predetta disposizione, tali spese sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Premesso, dunque, che la disciplina legale di ripartizione delle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni è, in linea di principio, derogabile (così, da ultimo, Sez. 2, n. 04844/2017, Orilia, Rv. 643057-02), chiarisce Sez. 2, n. 06735/2020, Scarpa, Rv. 657132-02, che per l'atto di approvazione delle tabelle millesimali e per quello di revisione delle stesse, è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l'approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella "diversa convenzione", di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell'approvazione unanime dei condomini.
Di particolare interesse, sul tema della ripartizione delle spese condominiali, è quanto affermato da Sez. 6-2, n. 20006/2020, Scarpa, Rv. 659225-01, secondo cui, qualora la ripartizione sia avvenuta soltanto con l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1135, comma 1, n. 3, c.c., l'obbligazione dei condomini di contribuire al pagamento delle stesse sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione, che i condomini assenti o dissenzienti non potranno impugnare per ragioni di merito, perché non è consentito al singolo condomino rimettere in discussione, al momento del bilancio consuntivo, i provvedimenti della maggioranza che, tradottisi in delibere, avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnati.
Quanto, poi, alle spese di manutenzione straordinaria di un edificio condominiale, afferma Sez. 6-2, n. 18793/2020, Scarpa, Rv. 659215-01, che ai fini dell'insorgenza del relativo debito di contribuzione, deve farsi riferimento all'approvazione della delibera assembleare che determini l'oggetto dell'appalto da stipulare con l'impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi e il prezzo dei lavori, fissando gli elementi costitutivi fondamentali dell'opera nella loro consistenza quantitativa e qualitativa, non rilevando l'esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria.
Sul diverso versante della ripartizione delle spese per le parti comuni tra venditore ed acquirente dell'immobile, di particolare interesse, per il periodo in rassegna, è quanto argomentato da Sez. 2, n. 21860/2020, Scarpa, Rv. 659363-01, secondo cui il previgente art. 63, comma 2, disp. att. c.c. - ora, in forza della l. n. 220 del 2012, art.
63, comma 4, disp. att. c.c. - delinea a carico dell'acquirente un'obbligazione solidale, non propter rem, ma autonoma, in quanto costituita ex novo dalla legge esclusivamente in funzione di rafforzamento dell'aspettativa creditoria del condominio su cui incombe, poi, l'onere di provare l'inerenza della spesa all'anno in corso o a quello precedente al subentro dell'acquirente.
Per quel che concerne, invece, l'annoso tema delle spese di gestione dell’impianto centralizzato di riscaldamento, Sez. 2, n. 18131/2020, Scarpa, Rv. 658905-01, ha precisato che il condomino autorizzato a rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto comune rimane obbligato a pagare le sole spese di conservazione di quest'ultimo - quali, ad esempio, quelle di sostituzione della caldaia - perché l'impianto centralizzato è comunque un accessorio di proprietà comune, al quale egli potrà, in caso di ripensamento, riallacciare la propria unità immobiliare; qualora tuttavia, in seguito ad un intervento di sostituzione della caldaia, il mancato allaccio non sia espressione della volontà unilaterale di rinuncia o distacco, ma una conseguenza dell'impossibilità tecnica di fruire del nuovo impianto, che non consente neppure un futuro collegamento, egli non può essere più considerato titolare di alcun diritto di comproprietà su tale impianto e perciò non deve più partecipare ad alcuna spesa ad esso relativa.
In ultimo con riferimento alle spese di potatura degli alberi che insistono su suolo oggetto di proprietà esclusiva di un solo condomino, chiarisce Sez. 2, n.
22573/2020, Scarpa, Rv. 659367-01, che sono tenuti a contribuirvi tutti i condomini, allorché si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata per l'omesso esame del vincolo di destinazione imposto dal comune al costruttore circa il congruo numero di alberature da mettere a dimora, al fine di verificare se gli alberi oggetto di abbattimento e di reimpianto concorressero, in virtù del detto vincolo, a costituire il decoro architettonico dell'edificio).
8. L'amministratore. Premessa.
L'art. 1129 c.c., nella formulazione attualmente vigente, prevede che quando i condomini siano più di otto, la nomina dell'amministratore, se l'assemblea non vi provvede, è fatta dall'autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell'amministratore dimissionario e che la sua revoca può essere deliberata, in ogni momento, dall'assemblea, con la stessa maggioranza prevista per la sua nomina oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio, o può essere disposta dall'autorità giudiziaria, su richiesta di ciascun condomino, nei casi previsti dall'art. 1131 c.c., se non viene reso il conto della gestione, o in caso di gravi irregolarità, tra le quali rientrano gli inadempimenti tipizzati nella medesima disposizione in ragione della loro gravità. Il procedimento nell'ambito del quale vengono accertati i presupposti della revoca è quello camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.c.
Le attribuzioni dell'amministratore sono descritte dall'art. 1130 c.c., a mente del quale questi è tenuto, tra le altre cose, a convocare l'assemblea per l'approvazione del rendiconto e ad eseguirne le deliberazioni, a curare l'osservanza del regolamento, a disciplinare l'uso delle cose comuni, a riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria, a compiere gli atti conservativi delle parti comuni, a conservare la documentazione contabile e a fornirne copia al condomino che ne faccia richiesta, e dall'art. 1130-bis, quanto alla redazione del rendiconto condominiale.
A quest'ultimo proposito, Sez. 6-2, n. 15996/2020, Scarpa, Rv. 658788-01, ha stabilito che gli artt. 1129, comma 2, c.c. e 1130-bis c.c., come novellati dalla l. n. 220 del 2012, prevedono la facoltà dei condomini di ottenere l'esibizione di registri e documenti contabili condominiali in qualsiasi tempo, non necessariamente in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, sempreché l'esercizio del diritto di accesso non si risolva in un intralcio all'amministrazione, ponendosi in contrasto con il principio della correttezza ex art. 1175 c.c.; al condomino istante - il quale non è tenuto a specificare le ragioni della richiesta - fa capo l'onere di dimostrare che l'amministratore non gli abbia consentito l'esercizio della facoltà in parola.
L'art. 1131 c.c., invece, rubricato "rappresentanza", stabilisce che "nei limiti delle attribuzioni stabilite (dall'articolo 1130) o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi"
(comma 1), che "può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio" e "a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto" (comma 2), che "qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini" (comma 3) e che "l'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni".
8.1 La nomina e la revoca dell'amministratore.
Nel caso di condominio minimo, ossia di condominio costituito da due soli condomini, ancorché titolari di quote diseguali, l'approvazione di deliberazioni che, come quella della nomina dell'amministratore, richiedono, sotto il profilo personale, un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ai sensi dell'art. 1136, comma 2, c.c., la volontà assembleare è validamente espressa con la partecipazione di entrambi i condomini e la decisione unanime, non potendosi ricorrere al criterio maggioritario (Sez. 6-2, n. 16337/2020, Scarpa, Rv. 658749-01).
Una volta che l'amministratore sia stato nominato, l'accettazione da parte sua della documentazione condominiale consegnatagli dal precedente non costituisce, ad avviso di Sez. 6-2, n. 15702/2020, Scarpa, Rv. 658785-01, prova idonea del debito nei confronti di quest'ultimo da parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando pur sempre all'assemblea l'approvazione del conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo, ovvero valutare l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell'amministratore, sicché la sottoscrizione del verbale di consegna della documentazione, apposta dal nuovo amministratore, non integra una ricognizione di debito fatta dal condominio in relazione alle anticipazioni di pagamenti ascritte al precedente amministratore e risultanti dalla situazione di cassa registrata (negli stesso termini, Sez. 6-2, n. 05062/2020, Scarpa, Rv. 657266-01).
Quanto infine alla revoca dell'amministratore condominiale, il relativo procedimento, ad avviso di Sez. 6-2, n. 04696/2020, Scarpa, Rv. 657259-01, riveste carattere eccezionale ed urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare, ed è ispirato dall'esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell'amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell'amministratore. Tali essendo le caratteristiche del giudizio, non è pertanto ammissibile l'intervento adesivo nello stesso del condominio ovvero di altri condomini rispetto a quello istante, atteso che uniche parti legittimate a parteciparvi e contraddirvi sono il ricorrente e l'amministratore, con la conseguenza che gli effetti del regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c. devono esaurirsi nel rapporto tra costoro.
8.2 La legittimazione processuale dell’amministratore di condominio e l'onere della prova.
Come noto, l'art. 71-quater disp. att. c.c. disciplina le modalità con le quali deve essere avviata e condotta la mediazione obbligatoria, ai sensi dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28 del 2010, nelle controversie in materia condominiale, ossia quelle derivanti dalla violazione o dalla errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, c.c. e degli artt. da 61 a 72 delle suddette disp. att. c.c., prevedendo, al comma 3, la legittimazione a parteciparvi dell'amministratore e le relative condizioni.
A questo riguardo, Sez. 6-2, n. 10846/2020, Scarpa, Rv. 657890-01 (già citata supra, sub § 2), ha chiarito che, ai sensi di quest'ultima disposizione, l'amministratore di condominio è legittimato a partecipare alla procedura di mediazione obbligatoria soltanto previa delibera assembleare di autorizzazione, non rientrando tra le sue attribuzioni, in assenza di apposito mandato, il potere di disporre dei diritti sostanziali rimessi alla mediazione, con la conseguenza che la condizione di procedibilità delle "controversie in materia di condominio" non può dirsi realizzata qualora l'amministratore partecipi all'incontro davanti al mediatore sprovvisto della previa delibera assembleare, da assumersi con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., non essendo in tal caso possibile iniziare la procedura di mediazione e procedere al relativo svolgimento, come suppone il comma 1 dell'art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010. Tale principio è in linea con altro espresso da Sez. 6-2, n. 10846/2020, Scarpa, Rv. 657890-02 (già citata supra, sub § 2), secondo cui non rientra tra le attribuzioni dell'amministratore il potere di pattuire con i condomini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi, spettando all' assemblea il potere di approvare una transazione riguardante spese d'interesse comune, ovvero di delegare l'amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti dell'attività dispositiva negoziale affidatagli.
Avviato il processo nel quale si sia costituito il condominio, il mutamento della persona dell'amministratore in corso di causa non ha immediata incidenza sul rapporto processuale, che, in ogni caso, sia dal lato attivo che da quello passivo, resta riferito al condominio, il quale opera, nell'interesse comune dei partecipanti, attraverso il proprio organo rappresentativo unitario, senza bisogno del conferimento dei poteri rappresentativi per ogni grado e fase del giudizio. Pertanto, ferma l'inefficacia della procura conferita da chi, alla data di costituzione in giudizio, sia già cessato dalla carica di amministratore di un condominio, perché dimissionario o sostituito con altra persona dall'assemblea, l'eventuale morte o cessazione del potere di rappresentanza dell'amministratore del condominio già costituito in giudizio a mezzo di procuratore possono comportare conseguenze, a norma dell'art. 300 c.p.c., soltanto se e quando l'evento sia stato dichiarato in udienza, ovvero sia notificato alle altre parti dal procuratore costituito, proseguendo altrimenti il rapporto processuale senza soluzione di continuità (in tal senso, Sez. 2, n. 27302/2020, Scarpa, Rv. 659726-01).
Come si è detto, i poteri di rappresentanza processuale dell'amministratore, sia dal lato attivo, sia passivo, sono correlati, ai sensi dell'art. 1131 c.c., alle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 c.c. e ai poteri conferitigli dal regolamento condominiale.
Sulla base di ciò, l'amministratore del condominio può resistere all'impugnazione della delibera assembleare riguardante parti comuni e può gravare la relativa decisione del giudice senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, tenuto conto dei poteri demandatigli dalla suddetta disposizione, giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (Sez. 2, n. 23550/2020, Abete, Rv. 659389-01); può agire o resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale (nella specie, attività alberghiera), senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., la quale è richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'amministratore stesso, essendo tenuto a curare l'osservanza del regolamento di condominio ex art. 1130, comma 1, n. 1, c.c. (Sez. 2, n. 21562/2020, Tedesco, Rv. 659320-01); ha infine legittimazione passiva nelle cause in cui sia esercitata azione nei confronti del condominio in relazione alle parti comuni e si tratti di compiere atti conservativi sui beni di proprietà comune, stante il riconoscimento allo stesso, sulla base di un'interpretazione estensiva dell'art. 1130, n. 4), c.c., della legittimazione attiva ad esercitare l'azione di reintegrazione nel possesso (Sez. 2, n. 25782/2020, Giannaccari, Rv. 659677-01).
Ad avviso di Sez. 6-2, n. 18796/2020, Scarpa, Rv. 659217-01 (cfr. supra, sub § 2), va considerato atto conservativo, per il quale può riconoscersi la legittimazione autonoma dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, n. 4, c.c., ad esempio, l'azione esperita contro i singoli condomini o contro i terzi per il ripristino dei luoghi e per il risarcimento del danno a tutela di spazi adibiti a parcheggio, globalmente considerati, quando questi non siano contemplati negli atti di trasferimento delle unità immobiliari, in quanto mancanti di espressa riserva di proprietà o di alcun altro riferimento, e costituiscano perciò parti comuni dell'edificio condominiale. Come già evidenziato (cfr. supra, sub § 2), ad avviso della Corte, infatti, la speciale normativa urbanistica, dettata dall'art. 41-sexies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della l. n. 765 del 1967, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio, determinando, mediante tale vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d'uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell'edificio, senza imporre all'originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione.
Per contro, proprio in ragione della correlazione tra attribuzioni, legali o convenzionali, e rappresentanza, la legittimazione dell'amministratore non può essere riconosciuta, né in caso di azioni personali, né reali che esulino dai limiti della propria competenza senza essere autorizzato dall'assemblea o in certi casi da ciascun condomino.
Secondo Sez. 2, n. 03846/2020, Besso Marcheis, Rv. 657104-01, in particolare, l'amministratore non è legittimato a promuovere l'azione di responsabilità, ai sensi dell'art. 1669 c.c., nei confronti del costruttore, a tutela dell'edificio nella sua unitarietà, non potendo la sua legittimazione estendersi, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, anche alla proposizione delle azioni risarcitorie, in forma specifica o per equivalente, relative ai danni subiti dai condomini nei rispettivi immobili di proprietà esclusiva, né, secondo Sez. 6-5, n. 23190/2020, Criscuolo, Rv. 659405-01 (già citata, supra, sub § 2), può esercitare, nei confronti dei singoli condomini o contro terzi, azioni reali dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali su cose o parti dell'edificio condominiale, che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (come in caso di azione esercitata dal condominio per ottenere la demolizione di un fabbricato non costruito a distanza), le quali possono essere da lui esperite soltanto previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131, comma 1, c.c. (negli stessi termini, Sez.
2, n. 21533/2020, Bellini, Rv. 659375-01, secondo cui l'autorizzazione dell'assemblea ex art. 1131, primo comma, c.c., richiede l'adozione con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c.).
Va infine considerato che, a seconda dell'oggetto della causa, la legittimazione ad agire o resistere in giudizio non soltanto non può essere riconosciuta all'amministratore, ma neppure all'assemblea dei condomini.
E' il caso, ad esempio, della domanda diretta alla estensione della proprietà comune mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un'area adiacente al fabbricato condominiale, siccome acquistata per usucapione, la quale, implicando non solo l'accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell'assemblea e dai poteri di rappresentanza dell'amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (vedi, Sez. 2, n. 25014/2020, Bellini, Rv. 659671-01).
Allo stesso modo, l'azione di nullità del regolamento condominiale c.d. contrattuale è esperibile non nei confronti del condominio (e quindi dell'amministratore), carente di legittimazione, ma da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, versandosi in una situazione di litisconsorzio necessario, in quanto esso, quali ne siano il meccanismo di produzione ed il momento della sua efficacia, si configura, dal punto di vista strutturale, come un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune (in applicazione di tale principio, la S.C. ha condiviso la decisione della Corte di merito che, una volta escluso che il riscontro della eventuale nullità del regolamento costituisse l'oggetto di un accertamento incidentale - nel qual caso non sarebbe stata imposta la necessaria partecipazione di tutti i condomini -, aveva dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per la mancata partecipazione al giudizio di tutti i condomini) (in tal senso, Sez. 6-2, n. 24957/2020, Dongiacomo, Rv. 659703-01, già citata, supra, sub § 6).
Per gli stessi motivi, infine, Sez. 6-2, n. 04697/2020, Scarpa, Rv. 657260-01 evidenzia che non va proposta nei confronti dell'amministratore di condominio, ma nei confronti di tutti i condomini, quali legittimati passivi, in situazione di litisconsorzio necessario, la domanda di accertamento negativo della qualità di condomino, atteso che questa inerisce all'inesistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c. e che la definizione della vertenza postula, perciò, una decisione implicante una statuizione in ordine a titoli di proprietà confliggenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso condominio in discussione (in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, a fronte di una domanda di accertamento negativo dell'appartenenza ad un condominio di alcune unità immobiliari, aveva dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, con rimessione della causa al giudice di prime cure, per non aver quest'ultimo disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini). Instaurato il giudizio in cui sia parte il condominio nella persona dell'amministratore, infine, quando vi sia stata opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l'onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale di assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti, sicché il giudice emetterà una sentenza favorevole qualora l'amministratore dimostri che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare (in tal senso, Sez. 6-2, n. 15696/2020, Scarpa, Rv. 658784-01; conforme Sez. 2, n. 07569/1994, Corona, Rv. 48778501).
9. L'assemblea e l'impugnazione delle deliberazioni assembleari.
9.1 Il funzionamento.
L'assemblea dei condomini è l'organo deliberativo del condominio che provvede, ai sensi dell'art. 1135 c.c., all'adozione di decisioni in merito alla conferma dell'amministratore e alla sua retribuzione, all'approvazione del preventivo delle spese occorrenti e alla ripartizione tra condomini, all'approvazione del rendiconto annuale e aN'impiego del residuo attivo e alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, oltre alle questioni elencate negli articoli precedenti.
La costituzione dell'assemblea e la validità delle sue deliberazioni sono disciplinate invece dal successivo art. 1136 c.c.
In proposito, Sez. 2, n. 25558/2020, Bellini, Rv. 659673-01, ha precisato che la regola posta dall'art. 1136, comma 3, c.c., secondo la quale la deliberazione assunta dall'assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio, va intesa nel senso che, coloro che abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore, atteso che l'intero art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali.
In caso di condominio minimo, invece, costituito da un proprietario esclusivo di un'unità immobiliare e altri comproprietari "pro indiviso" delle restanti unità immobiliari comprese nell'edificio, il funzionamento dell'assemblea, secondo Sez. 6¬2, n. 15705/2020, Scarpa, Rv. 658742-01, non è regolato dal principio di maggioranza, atteso che i medesimi comproprietari, con riguardo all'elemento personale supposto dall'art. 1136 c.c., esprimono comunque un solo voto, ancorché abbiano designato distinti rappresentanti, con la conseguenza che, ove non si raggiunga l'unanimità, è necessario adire l'autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c.
L'assemblea viene convocata con le modalità di cui all'art. 66, disp. att. c.c., il quale nella formulazione introdotta con la l. n. 220 del 2012, stabilisce, al comma 3, che l'avviso di convocazione debba contenere specifica indicazione dell'ordine del giorno e debba essere notificato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza.
Ad avviso di Sez. 2, n. 24041/2020, Scarpa, Rv. 659608-01, ogni condomino ha infatti il diritto di intervenire all' assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione, previsto dall'art. 66, comma 3, disp. att. c.c. nel testo vigente "ratione temporis", quale atto unilaterale recettizio, sia, non solo, inviato, ma anche ricevuto nel termine ivi stabilito di almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza, avendo riguardo alla riunione dell'assemblea in prima convocazione.
La mancata comunicazione a taluno dei condomini dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, in quanto vizio procedimentale, comporta, invero, l'annullabilità della delibera condominiale, con la conseguenza che la legittimazione a domandare il relativo annullamento spetta, ai sensi degli artt. 1441 e 1324 c.c., unicamente al singolo avente diritto pretermesso, sul quale grava l'onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali l'omessa comunicazione risulti (vedi Sez. 2, n. 06735/2020, Scarpa, Rv. 657132-01, già citata supra, sub § 9.1). Tuttavia, il condomino regolarmente convocato, secondo Sez. 2, n. 10071/2020, Giannaccari, Rv. 657758-01, non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, in quanto l'interesse a far valere un vizio che renda annullabile una deliberazione dell' assemblea, non può ridursi al mero interesse alla rimozione dell'atto, ovvero ad un'astratta pretesa di sua assoluta conformità al modello legale, ma deve essere espressione di una sua posizione qualificata, diretta ad eliminare la situazione di obiettiva incertezza che quella delibera genera quanto all'esistenza dei diritti e degli obblighi da essa derivanti.
9.2 Le determinazioni dell'assemblea.
Le attribuzioni dell'assemblea, oltre a quanto stabilito negli artt. precedenti, sono contenute nell'art. 1135 c.c., che richiama, tra le altre materie, la conferma dell'amministratore e la sua eventuale retribuzione, l'approvazione del preventivo e della ripartizione delle spese, l'approvazione del rendiconto annuale e le opere di manutenzione straordinaria e le innovazioni.
Ad avviso di Sez. 2, n. 14300/2020, Abete, Rv. 658439-01, l'assemblea condominiale ben può altresì deliberare la nomina di una commissione di condomini deputata ad assumere determinazioni di competenza assembleare. Tuttavia, le determinazioni di tale commissione, per essere vincolanti anche per i dissenzienti, ex art. 1137, comma 1, c.c., devono essere approvate, con le maggioranze prescritte, dall'assemblea medesima, non essendo le funzioni di quest'ultima suscettibili di delega (nella specie l'assemblea, demandata ad una commissione ristretta di condomini la scelta e la nomina del tecnico cui affidare l'incarico di accertare quali fossero le opere di manutenzione straordinaria necessarie per la buona conservazione dei fabbricati e di redigere il computo metrico dei lavori, nonché il capitolato d'appalto, aveva poi approvato le indicazioni così emerse con una propria successiva delibera di recepimento).
Sui confini dei poteri attribuiti all'assemblea in caso di condominio parziale, Sez. 2, n. 00791/2020, Scarpa, Rv. 656837-01 (già citata supra, sub § 2), dopo averne fornito la descrizione, stabilendo che esso è fondato sull'art. 1123, comma 3, c.c. ed è automaticamente configurabile ex lege tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, rimanendo, per l'effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene, ha stabilito che i partecipanti al gruppo non hanno il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose di cui non hanno la titolarità e la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. L'assemblea, come si è detto, ha una competenza essenziale in ordine all'insorgenza dell'obbligo, in capo ai condomini, di contribuire al pagamento delle spese condominiali.
A questo riguardo Sez. 6-2, n. 20006/2020, Scarpa, Rv. 659225-01 (già citata supra, sub § 7) ha infatti stabilito che, qualora la ripartizione delle spese condominiali sia avvenuta soltanto con l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1135, n. 3, c.c., l'obbligazione dei condomini di contribuire al pagamento delle stesse sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione, che i condomini assenti o dissenzienti non potranno impugnare per ragioni di merito, perché non è consentito al singolo condomino rimettere in discussione, al momento del bilancio consuntivo, i provvedimenti della maggioranza che, tradottisi in delibere, avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnati.
In caso di spese di manutenzione straordinaria dell'edificio condominiale, inoltre, deve sempre farsi riferimento all'approvazione della delibera assembleare che determini l'oggetto dell'appalto da stipulare con l'impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi e il prezzo dei lavori, fissando gli elementi costitutivi fondamentali dell'opera nella loro consistenza quantitativa e qualitativa, non rilevando l'esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria (in tal senso, Cass. 6-2, n. 18793/2020, Scarpa, Rv. 659215-01, già citata supra, sub § 7).
La Corte si è infine occupata delle maggioranze assembleari richieste sia nell'ipotesi di assegnazione di parti comuni (nella specie di una caldaia) in proprietà esclusiva ad alcuni condomini, sia di installazione di un ripetitore sul tetto dello stabile condominiale (per una rapida riflessione sul punto, si rinvia anche al Capitolo IV di questa sezione).
Nel primo caso, la deliberazione condominiale, ad avviso di Sez. 2, n. 06090/2020, Carrato, Rv. 657126-01, richiede l'unanimità dei consensi, incidendo sulla pregressa comproprietà originaria ex lege di parti comuni e comportando l'esclusione dal vincolo reale di alcuni dei condomini.
Nel secondo caso, invece, occorre distinguere. Sez. U., n. 08434/2020, Cosentino, Rv. 657604-01, ha innanzitutto premesso, sul punto, che il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda cedere in godimento ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore o altro impianto tecnologico, con il diritto di mantenere la disponibilità ed il godimento dell'impianto ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere perseguito sia attraverso un contratto ad effetti reali, sia attraverso un contratto ad effetti personali e che la riconduzione del contratto concretamente dedotto in giudizio all'una o all'altra delle suddette categorie rappresenta una questione di interpretazione contrattuale, che rientra nei poteri del giudice di merito.
Qualora le parti abbiano inteso attribuire a tale accordo effetti reali, prosegue la medesima Sez. U., n. 08434/2020, Cosentino, Rv. 657604-02, lo schema negoziale di riferimento è quello del contratto costitutivo di un diritto di superficie, il quale attribuisce all'acquirente la proprietà superficiaria dell'impianto installato sul lastrico solare, può essere costituito per un tempo determinato e può prevedere una deroga convenzionale alla regola che all'estinzione del diritto per scadenza del termine il proprietario del suolo diventi proprietario della costruzione. In tal caso, anche quando il diritto di superficie sia temporaneo, è richiesta l'approvazione di tutti i condomini.
Ove, al contrario, le parti abbiano inteso attribuire all'accordo effetti obbligatori, lo schema negoziale di riferimento è quello del contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale, con rinuncia del concedente agli effetti dell'accessione, con il quale il proprietario di un'area concede ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa, di godere e disporre dell'opera edificata per l'intera durata del rapporto e di asportare tale opera al termine del rapporto. Tale contratto è, invece, soggetto alla disciplina dettata, oltre che dai patti negoziali, dalle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, dalle norme sulla locazione, tra cui quelle dettate dagli artt. 1599 c.c. e 2643, n. 8, c.c. e, ove stipulato da un condominio per consentire a terzi l'installazione del ripetitore sul lastrico solare del fabbricato condominiale, richiede l'approvazione di tutti i condomini solo se la relativa durata sia convenuta per più di nove anni (cfr. anche Sez. U., n. 08434/2020, Cosentino, Rv. 657604¬03).
Le Sezioni Unite, nell'esprimere tali principi, hanno in premessa chiarito, nella parte motiva, che la collocazione di un ripetitore sul tetto dello stabile condominiale può astrattamente costituire innovazione, essendo questa caratterizzata dalla idoneità ad alterare l'entità materiale del bene e ad operarne la trasformazione anche soltanto della sua destinazione o della sua consistenza materiale o della sua utilizzabilità per fini diversi ed essendo il ripetitore idoneo a far perdere parzialmente la destinazione al calpestio del lastrico, così superando quelle opinioni dottrinali che escludono aprioristicamente la natura di innovazione del ripetitore in ragione della sua inidoneità ad incidere sulla consistenza materiale del tetto o sulla sua utilità o uso consentito ai condomini. La qualificabilità in termini di "innovazione" di tale impianto, secondo la Corte, non deriva, invero, dalla struttura dell'opera realizzata, ma dalla sua destinazione o meno all'uso comune: l'art. 1120 c.c. opera infatti soltanto quando l'immutatio loci derivante dall'ancoraggio dell'impianto al lastrico solare sia realizzata su disposizione, a spese e nell'interesse del condominio, in quanto destinato all'uso comune, mentre quando detta installazione avviene su disposizione, a spese e nell'interesse del terzo cessionario del godimento del lastrico, la vicenda deve essere vista nella prospettiva dell'approvazione di un atto di amministrazione (il contratto con il terzo) ai sensi dell'art. 1108, comma 3, c.c. e non di un'innovazione.
9.3 L'impugnazione.
Ai sensi dell'art. 1137 c.c., le deliberazioni assunte dall'assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini e, se contrarie alla legge o al regolamento di condominio, possono essere impugnate da ogni condomino assente, dissenziente o astenuto, davanti all'autorità giudiziaria, nel termine di 30 giorni decorrente dalla data della deliberazione per i dissenzienti o gli astenuti ovvero dalla data della comunicazione della deliberazione per gli assenti.
In merito alla competenza, Sez. 2, n. 28508/2020, Scarpa, Rv. 660061 - 01, ha ribadito l'uniforme orientamento di questa Corte, secondo cui l'art. 1137, comma 2, c.c., nel riconoscere ad ogni condomino assente, dissenziente o astenuto la facoltà di ricorrere all'autorità giudiziaria avverso le deliberazioni dell'assemblea del condominio, non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario, e, quindi, non esclude la compromettibilità in arbitri di tali controversie, le quali, d'altronde, non rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 c.p.c. Quanto al termine di impugnazione, Sez. 6-2, n. 19714/2020, Scarpa, Rv. 659220-01, in linea con un risalente insegnamento della stessa Corte (cfr. Sez. 2, n. 01082/1964, Corduas, Rv. 301546-01; Sez. 2, n. 02155/1966, Pratis, Rv. 324211-01) ha chiarito che è affetta da nullità la clausola del regolamento di condominio che stabilisce un termine di decadenza di quindici giorni per chiedere all'autorità giudiziaria l'annullamento delle delibere dell'assemblea, atteso che l'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. vieta che con norme regolamentari siano modificate le disposizioni relative alle impugnazioni delle deliberazioni condominiali di cui all'art. 1137 c.c..
La legittimazione ad agire, attribuita dall'art. 1137 c.c. ai condomini assenti e dissenzienti, non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. quale condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni (in tal senso, Sez. 2, n. 17294/2020, Casadonte, Rv. 658893-01). L'interesse ad agire sussiste anche quando la relativa azione sia volta esclusivamente alla rimozione della delibera assembleare, ove il vizio abbia carattere meramente formale e la delibera impugnata non abbia ex se alcuna incidenza diretta sul patrimonio dell'attore, sicché la domanda giudiziale appartiene alla competenza residuale del tribunale, non avendo ad oggetto la lesione di un interesse suscettibile di essere quantificato in una somma di denaro per il danno ingiustamente subito ovvero per la maggior spesa indebitamente imposta (vedi Sez. 6-2, n. 15434/2020, Dongiacomo, Rv. 658730-01).
Il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari, secondo Sez. 6-2, n. 05061/2020, Scarpa, Rv. 657265-01, è limitato ad un riscontro di legittimità della decisione, avuto riguardo all'osservanza delle norme di legge o del regolamento condominiale ovvero all'eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l' assemblea medesima dispone, non potendosi invece estendere al merito e al controllo della discrezionalità di cui tale organo sovrano è investito, sicché ragioni attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio possono essere valutate soltanto in caso di delibera che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune, ai sensi dell'art. 1109, comma 1, c.c. La sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, infine, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità (cfr. Sez. 6-2, n. 10847/2020, Scarpa, Rv. 657891-01).