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Le espressioni sconvenienti ed offensive (art. 52 cdf) - Consiglio Nazionale Forense (pres. Greco, rel. Di Campli), sentenza n. 64 del 10 marzo 2025

Assumono rilievo deontologico a prescindere dal contesto - L’illecito non è scriminato dall’eventuale veridicità dei fatti - illecite anche quelle pronunciate nella dimensione non professionale ovvero della vita privata - I limiti al diritto di critica e alla libertà di espressione nei confronti delle istituzioni forensi

Assumono rilievo deontologico a prescindere dal contesto
Le espressioni sconvenienti ed offensive (art. 52 cdf) assumono rilievo di per sé, indipendentemente dal contesto in cui sono utilizzate e dalla attendibilità dei fatti che ne costituiscono oggetto, essendo il relativo divieto previsto a difesa della dignità e del decoro della professione, che, anche in presenza di condotte criticabili o perfino illecite dei colleghi o di terzi, impongono all’avvocato di manifestare la propria opinione o di formulare la propria denuncia in maniera riguardosa della personalità e della reputazione altrui indipendentemente dalla considerazione delle possibili conseguenze civilistiche o penalistiche della condotta.

L’illecito non è scriminato dall’eventuale veridicità dei fatti
Le espressioni sconvenienti ed offensive (art. 52 cdf) assumono rilievo di per sé, indipendentemente dal contesto in cui sono usate e dalla veridicità dei fatti che ne costituiscono oggetto, essendo il relativo divieto previsto a salvaguardia della dignità e del decoro della professione, che, anche in presenza di comportamenti criticabili o perfino illeciti dei colleghi o di terzi, impongono all’avvocato di esprimere il proprio biasimo o di formulare la propria denuncia in modo rispettoso della personalità e della reputazione altrui, astenendosi da ingiustificata animosità e da toni irriguardosi, e ciò indipendentemente dalla considerazione delle possibili conseguenze civilistiche o penalistiche della sua condotta.
Tale divieto non si pone affatto in contrasto con il diritto, tutelato dall’art. 21 Cost., di manifestare liberamente il proprio pensiero, il quale non è assoluto ed insuscettibile di limitazioni, ma trova concreti limiti nei concorrenti diritti dei terzi e nell’esigenza di tutelare interessi diversi, anch’essi costituzionalmente garantiti.

illecite anche quelle pronunciate nella dimensione non professionale ovvero della vita privata
L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione, Conseguentemente, il “Divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti” (art. 52 cdf), ancorché collocato nel Titolo IV dedicato ai «doveri dell’avvocato nel processo» e sebbene riferito agli “scritti in giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale” riguarda l’uso delle parole degli iscritti all’albo anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense.

I limiti al diritto di critica e alla libertà di espressione nei confronti delle istituzioni forensi
La libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni Forensi trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’Avvocatura in generale. Integra, pertanto, grave violazione deontologica la diffusione sui social networks di un pensiero critico che si manifesti con espressioni deplorevoli e accostamenti ad organizzazioni criminali che disonorano l’Avvocatura e le Istituzioni Forensi in generale.
Consiglio Nazionale Forense (pres. Greco, rel. Di Campli), sentenza n. 64 del 10 marzo 2025