Costituzione in giudizio impugnazione dell'amministratore
Condominio Costituzione in giudizio impugnazione dell’amministratore – Sufficiente ratifica dell’assemblea. - L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione Corte di Cassazione – Sezioni Unite – Sentenza 6 agosto 2010 n. 18331
Condominio – Costituzione in giudizio - impugnazione dell’amministratore – Sufficiente ratifica dell’assemblea. - L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione Corte di Cassazione – Sezioni Unite – Sentenza 6 agosto 2010 n. 18331
Corte di Cassazione S.U. Sentenza 6 luglio - 6 agosto 2010, n. 18331
Svolgimento del processo
In seguito a infiltrazioni d’acqua verificatesi (nel 1994) nel proprio appartamento sito all’ultimo piano di un fabbricato condominiale, R.S. (nel 1996) conveniva davanti al tribunale di Roma il condominio di via omissis, e la Parsifal s.r.l., proprietaria del lastrico solare dal quale erano provenute le infiltrazioni, al fine di ottenerne la condanna alla esecuzione delle opere dirette alla eliminazione delle infiltrazioni e al risarcimento dei danni subiti. L’attore ascriveva al condominio di non avere provveduto alla ordinaria manutenzione; alla Parsifal di avere eseguito lavori di ristrutturazione che, danneggiando l’impermeabilizzazione, erano stati la causa delle infiltrazioni.
I convenuti, costituitisi, chiedevano il rigetto della domanda.
Con sentenza 5/6/2000 l’adito tribunale di Roma - esperita istruttoria ed espletata c.t.u. - condannava la Parsifal ad effettuare le opere indicate dal c.t.u. e a pagare al R. L. 3.640.000 a titolo di risarcimento. Anche il condominio veniva condannato a pagare all’attore, a titolo risarcitorio, L. 123.000.
Rilevava il tribunale che, come accertato dal c.t.u., la non perfetta tenuta del manto impermeabilizzante del terrazzo dell’appartamento di proprietà della Parsifal aveva determinato, e poteva determinare ancora, macchie di umidità nell’appartamento del R., mentre era da ascrivere alla responsabilità del condominio la macchia di umidità nel bagno. Pertanto, secondo il tribunale, essendo pacifico che la Parsifal aveva effettuato lavori di sistemazione dei terrazzi previa rimozione delle mattonelle e rimozione del massetto sottostante, potevano essere ritenute accertate le rispettive responsabilità dei convenuti.
Avverso la detta sentenza la Parsifal proponeva appello al quale resistevano il condominio ed il R. che spiegava appello incidentale.
Con sentenza n. 76/08 del 9/1/2008 la Corte d’appello di Roma riteneva che i danni causati dalle infiltrazioni, in quanto provenienti da un lastrico solare da presumersi comune, dovevano essere risarciti dal condominio. Conseguentemente condannava quest’ultimo a rifondere alla Parsifal le somme da questa versate, in esecuzione della sentenza di primo grado, al R..
La corte d’appello rigettava poi l’appello incidentale del R. sia nella parte in cui chiedeva la condanna della Parsifal all’esecuzione dei lavori di impermeabilizzazione, in quanto questi risultavano essere stati già effettuati a regola d’arte; sia nella parte in cui chiedeva la liquidazione del danno non patrimoniale, trattandosi di domanda inammissibile perché preposta per la prima volta in grado di appello.
La cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma è stata chiesta dal condominio di via omissis con ricorso affidato a sei motivi. Hanno resistito con separati controricorsi la Parsifal e R.S. il quale ha proposto ricorso incidentale sorretto da undici motivi. Il condomino ha resistito con controricorso al ricorso incidentale del R..
Il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, essendo stato registrato, a seguito dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Parsifal, un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sulla questione se l’amministratore condominiale, per resistere alla lite proposta nei confronti del condominio, ovvero per impugnare la sentenza a questo sfavorevole, debba o meno essere autorizzato dall’assemblea.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti perché relativi ad impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
1. La resistente Parsifal in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità del ricorso principale sotto due profili.
1.1. Il primo profilo di inammissibilità si basa sull’asserita nullità della procura alle liti conferita dall’amministratore del condominio (la detta questione ha determinato la rimessione del ricorso a queste Sezioni Unite).
Osserva la Parsifal che l’amministratore non è stato autorizzato a proporre l’impugnazione dinanzi la S.C. da alcuna assemblea condominiale, e quelle indicate al riguardo nell’epigrafe del ricorso (l’assemblea del 7 novembre 2007 e quella del 5 marzo 2008) in realtà si sono occupate di tutt’altro.
Soggiunge che l’amministratore, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non può stare in giudizio senza l’autorizzazione dell’assemblea, e l’autorizzazione conferita per un grado di giudizio non legittima l’amministratore a proporre l’impugnazione, ovvero resistere ad essa.
Conclude, quindi, la Parsifal che l’amministratore del condominio ricorrente non è stato autorizzato dall’assemblea condominiale a proporre il ricorso per cui la procura speciale al difensore rilasciata a margine del ricorso è stata conferita da organo privo di tale potere appartenendo questo solo all’organo collegiale (assemblea) al quale è affidata la valutazione in ordine alla proposizione o meno di detto ricorso.
2. La dedotta eccezione di inammissibilità è fondata.
2.1. Preliminarmente va osservato che le due deliberazioni condominiali richiamate dal ricorrente (7.11.2003 e 5.3.2008) risultano inidonee a costituire valida autorizzazione alla proposizione del ricorso per cassazione.
Quanto alla prima (Delib. 7 novembre 2003) è sufficiente rilevare che la stessa è precedente alla sentenza da impugnare e, quindi, non poteva che essere riferita tuttalpiù al precedente grado di giudizio e, giammai, ad un futuro ricorso per cassazione del quale non era dato ancora conoscere neppure l’oggetto (v. Cass. 25.1.2006, n. 1422; 26.11.2004, n. 22294).
Quanto alla seconda (Delib. 5 marzo 2008) essa non contiene alcun mandato all’amministratore di impugnare la sentenza della Corte d’appello di Roma e, quindi, di conferire la relativa autorizzazione, essendosi l’organo assembleare espressamente riservato di valutare successivamente la possibilità di proporre (“eventualmente”) una futura impugnazione.
2.2. Va poi osservato che la presente controversia esula da quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1131 c.c., comma 1. Tale norma, infatti, conferisce una rappresentanza di diritto all’amministratore, il quale è legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (nonchè a proporre impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c., quando cioè si tratta: a) di eseguire le deliberazioni dell’assemblea e di curare l’osservanza dei regolamenti di condominio; b) di disciplinare l’uso delle cose comuni, così da assicurarne il miglior godimento a tutti i condomini; c) di riscuotere dai condomini inadempienti il pagamento dei contributi determinati in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea; d) di compiere, infine, gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.
3. Sulla questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite esistono nella giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti: il primo (maggioritario) afferma che l’amministratore può costituirsi nel giudizio promosso nei confronti del condominio e può impugnare la sentenza sfavorevole al condominio pur se a tanto non autorizzato dall’assemblea condominiale; il secondo (minoritario) sostiene, invece, che in assenza di tale deliberazione assembleare l’amministratore è privo di legittimazione a costituirsi e ad impugnare.
3.1. Il primo (prevalente) orientamento sostiene che l’amministratore è titolare di una rappresentanza processuale passiva generale che non incontra limiti, posto che l’art. 1131 c.c., prevedendo che l’amministratore “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio”, deve essere interpretato nel senso che l’amministratore non necessita di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie, compreso il ricorso per cassazione, in relazione al quale è legittimato a conferire procura speciale all’avvocato iscritto nell’apposito albo speciale (v., tra le tante, Cass. 20/4/2005, n. 8286; 21/5/2003, n. 7958; 15/3/2001, n. 3773).
3.2. Non sussiste quindi alcuna distinzione tra la capacità dell’amministratore di essere convenuto e quella di costituirsi nel giudizio che riguardi una materia non ricompressa nelle sue attribuzioni: l’amministratore che sia stato convenuto in giudizio, quale rappresentante della comunità dei condomini, può sempre impugnare e proporre ricorso in cassazione avverso la sentenza sfavorevole al condominio senza bisogno di autorizzazione dell’assemblea.
L’amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di darne senza indugio notizia all’assemblea: obbligo sanzionato dalla possibile revoca del mandato e con il risarcimento del danno (Cfr. ex multis Cass. 16/4/2007, n. 9093).
4. Il secondo indirizzo evidenzia che la “ratio” dell’art. 1131 c.c., comma 2, - che consente di convenire in giudizio l’amministratore del condominio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio - è quella di favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di poter notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condomini. Nulla, invece, nella stessa norma, giustifica la conclusione secondo cui l’amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio e a impugnare senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea (Cass. 26/11/ 2004, n. 22294; 25/1/2006, n. 1422).
4.1. Inoltre, secondo tale indirizzo, poiché l’autorizzazione dell’assemblea a resistere in giudizio in sostanza altro non è che un mandato all’amministratore a conferire la procura “ad litem” al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, l’amministratore, in definitiva, non svolge che una funzione di mero “nuncius” e tale autorizzazione non può valere che per il grado di giudizio in relazione al quale viene rilasciata. Deriva, da quanto precede, pertanto, che è inammissibile il ricorso per cassazione, avverso sentenza sfavorevole al condominio, proposto dall’amministratore di questo senza espressa autorizzazione dell’assemblea (Cass. 20.1.2009, n. 1381).
In sintesi: a) l’amministratore deve munirsi di autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio atteso che la rappresentanza passiva dell’amministratore riguarda solo la notificazione degli atti e non la gestione della controversia; b) la concessa autorizzazione assembleare non legittima l’amministratore ad impugnare spettando tale legittimazione solo all’assemblea.
5. Anche in dottrina, specularmente agli orientamenti della giurisprudenza, si sono affermati due diversi indirizzi culturali.
5.1. L’indirizzo dottrinario maggioritario sostiene che l’amministratore è un rappresentante “ex lege” del condominio nelle liti contro quest’ultimo proposte da un condomino o da un terzo ed ha “ex lege” una rappresentanza generale passiva del condominio in virtù della quale può resistere in giudizio ed impugnare eventuali decisioni sfavorevoli senza l’autorizzazione dell’assemblea. L’art. 1131 c.c., comma 2, - in quanto finalizzato, in base al principio del “minimo impatto”, a facilitare al massimo la vita del condominio e quella di chi deve avere rapporti giuridici con esso - deve essere interpretato in senso ampio allargando al massimo i poteri rappresentativi sostanziali e processuali dell’amministratore, tenendo conto anche delle due diverse espressioni usate (“può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio” e “a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa”).
Da questo ampio potere rappresentativo - e dalla conseguente legittimazione passiva generale dell’amministratore - l’orientamento dottrinario prevalente fa discendere come conseguenza: a) il potere dell’amministratore di impugnare la sentenza sfavorevole senza autorizzazione dell’assemblea; b) l’eventuale inadempimento dell’amministratore all’obbligo di riferire all’assemblea, ovvero di attenersi alle determinazioni di questa, ha rilievo esclusivamente interno, con la conseguenza (art. 1131 c.c., comma 4) che l’amministratore inadempiente può essere revocato e tenuto al risarcimento dei danni provocati al condominio per la propria scelta processuale inopportuna o dannosa, ma rispetto a colui che ha promosso il giudizio resta ferma la legittimazione passiva dell’amministratore e l’opponibilità della sentenza al condominio.
5.1.2. Tale indirizzo culturale pone in evidenza che - una volta configurato l’amministratore quale ufficio di diritto privato assimilabile al “mandatario ex lege” e, quindi, soggetto individuale al quale sono attribuite particolari funzioni (difesa “necessaria”) a tutela delle parti comuni dell’edificio - la dissociazione tra i due momenti processuali del perfezionamento della notificazione e della costituzione in giudizio, connaturale alle persone giuridiche ed a un rapporto organico, appare contestabile in ragione proprio dell’insussistenza della personalità giuridica, perché prefigura una differenziazione, nell’ambito della “eccezionale” legittimazione processuale riconosciuta all’amministratore del condominio, che non trova riscontro nella normativa speciale dettata per il condominio: la rappresentanza legale e la legittimazione processuale concernenti le parti comuni dell’edificio devono ritenersi estese, in mancanza di contraria espressa previsione normativa, a tutti gli effetti tipici connessi perché coessenziale alla ratio dell’istituto ed alla figura dell’amministratore-mandatario speciale.
5.1.3. Pertanto, conclude tale indirizzo dottrinario, l’amministratore, ex art. 1131 c.c., comma 2, primo periodo, è deputato ex lege, non solo a ricevere l’atto di citazione in giudizio, bensì a costituirsi, tempestivamente, in giudizio e a proporre validamente tutte le eventuali impugnazioni, senza la necessità di alcuna preventiva deliberazione autorizzativa - limitatamente alle azioni concernenti le parti comuni dell’edificio promosse nei confronti del condominio - con il solo onere di “darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini”.
5.2. Il diverso indirizzo culturale rileva che l’amministratore è un mandatario del condominio, ed il mandatario non può resistere in giudizio per conto del mandante senza l’autorizzazione di quest’ultimo. Diversamente il condominio sarebbe esposto al rischio di vedersi coinvolto, suo malgrado, in liti giudiziarie resistite avventurosamente dall’amministratore, il quale non può, con la propria scelta, imporre ai condomini una linea di condotta da costoro non condivisa.
5.2.1. È stato pure evidenziato che la decisione se resistere in giudizio o impugnare la sentenza sfavorevole non può che competere alla parte in senso sostanziale. Né esiste nel nostro ordinamento un principio generale secondo il quale il destinatario di una notifica è sempre anche titolare di un autonomo potere di iniziativa processuale. Al riguardo, con riferimento all’ipotesi più vicina al condominio, cioè alle associazioni non riconosciute, si evidenzia che altro è la rappresentanza nel processo, altro il potere di decidere come vada condotto; il primo punto concerne i rapporti esterni, il secondo i rapporti e le competenze interne fra i vari organi sociali. Il potere di rappresentanza processuale del presidente è solo un mezzo tecnico per agevolare i rapporti processuali esterni; ma nei rapporti interni anche le decisioni sulla linea di condotta da tenere nel processo rientrano fra le funzioni degli amministratori e non del presidente in quanto tale.
Parimenti nel campo delle società gestite da un consiglio di amministrazione, il presidente ha la rappresentanza processuale, nel senso che è destinatario della notifica di atti processuali e conferisce il mandato ad litem, ma non è titolare di un autonomo potere di iniziativa processuale. Fino alle recenti riforme, sotto il vigore della precedente normativa (R.D. 4 febbraio 1915, n. 148), il Sindaco era destinatario della notifica di atti processuali e conferiva il mandato ad litem, ma a tanto doveva essere autorizzato dal consiglio o dalla giunta.
5.2.3. Pertanto, l’autorizzazione dell’assemblea a resistere si pone quale conditio sine qua non affinché l’amministratore, nella propria vesta di mandatario, possa conferire il mandato difensivo ad un legale e sottoscrivere la relativa procura alle liti. In mancanza, non potrà che concludersi per l’inammissibilità della costituzione in giudizio del condominio.
6. Considerata la criticità del contrasto e i rilevanti risvolti operativi, appare opportuno esaminare ex funditus la questione.
6.1. Come è noto il codice civile del 1865 non dedicava alcuna norma espressa né all’amministrazione dei condomini di edifici, né alla legittimazione dell’amministratore. Fu soltanto il del D.L. 15 gennaio 1934, n. 56, art. 20, commi 2 e ss., a dettare una disciplina in materia, stabilendo che l’amministratore “può essere convenuto in giudizio per qualsiasi oggetto” e “Qualora la citazione ... abbia un contenuto che esorbiti dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini, la quale delibera se resistere nel giudizio o conciliare la vertenza”.
La disciplina di cui al D.L. n. 56 del 1934, art. 20, fu trasfusa negli artt. 320 e 321 del progetto preliminare del Libro della proprietà e, quindi, nel testo definitivo degli artt. 1131 e 1132 c.c., ma con alcune modifiche, nel senso che l’amministratore può essere convento in giudizio “per qualunque azione concernente le parti comuni” e “Qualora la citazione ... abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini.” La relazione del Ministro Guardasigilli al Re, mentre giustifica la prima modifica (affermando “nel riprodurre le disposizioni del R.D.L. 15 gennaio 1934, art. 20, circa la rappresentanza dei condomini ho sostituito alla formula del comma 2 una formula che amplia l’ambito della rappresentanza conferita all’amministratore nelle liti promosse contro i partecipanti. La rappresentanza passiva è infatti estesa a qualunque azione proposta contro i condomini, e pertanto anche alle azioni di carattere reale, purché si riferiscano alle parti comuni dell’edificio”), nulla dice in ordine alla seconda modifica, lasciando incerta la giustificazione: intenzione di eliminare l’intervento deliberativo dell’assemblea di condominio, ovvero inutilità di ribadire la necessità, fino allora pacifica, di una delibera dell’assemblea in ordine alla resistenza o meno nel giudizio.
L’art. 65 disp. att. c.c. dopo aver previsto, al primo comma, che “Quando per qualsiasi causa manca il legale rappresentante dei condomini, chi intende iniziare o promuovere una lite contro i partecipanti a un condominio può richiedere la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 80 c.p.c.”, stabilisce, al comma 2, che “Il curatore speciale deve convocare l’assemblea dei condomini per avere istruzioni sulla condotta della lite.”.
6.2. Dal sistema normativo emerge che l’amministratore di condominio non è un organo necessario del condominio. L’art. 1129 c.c. espressamente richiede la nomina di un amministratore solo quando il numero di condomini sia superiore a quattro. Ne consegue che in materia di condominio negli edifici, l’organo principale, depositario del potere decisionale, è l’assemblea dei condomini, così come in materia di comunione in generale il potere decisionale e di amministrazione della cosa comune, spetta solo ed esclusivamente ai comunisti (art. 1105 c.c.) e la nomina di un amministratore cui “delegare” l’esercizio del potere di amministrazione è ipotesi meramente eventuale (art. 1106 c.c.).
La prima, fondamentale, competenza dell’amministratore consiste nell’“eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini” (art. 1130 c.c., comma 1, n. 1). Da tale disposto si evince che l’essenza delle funzioni dell’amministratore è imprescindibilmente legata al potere decisionale dell’assemblea: è l’assemblea l’organo deliberativo del condominio e l’organo cui compete l’adozione di decisioni in materia di amministrazione dello stesso, mentre l’amministratore riveste un ruolo di mero esecutore materiale delle deliberazioni adottate in seno all’assemblea. Nessun potere decisionale o gestorio compete all’amministratore di condominio in quanto tale (e ciò a differenza di quanto accade nelle società, sia di persone che di capitali, dove all’amministratore competono poteri propriamente gestionali). Anche l’art. 1131 c.c., nell’attribuire all’amministratore di condominio un potere di rappresentanza dei condomini e di azione in giudizio, chiarisce che tale potere è conferito “Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea”. Ancora una volta, quindi, si legano i poteri dell’amministratore di condominio alle deliberazioni dell’assemblea, proprio a voler sottolineare la derivazione e subordinazione degli stessi alle decisioni dell’organo assembleare.
6.3. L’art. 1131 c.c., comma 2, prevede poi che l’amministratore possa essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio. Mentre il comma terzo aggiunge che qualora la citazione abbia contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio comunicazione all’assemblea.
Detta normativa è stata interpretata, secondo prevalente e risalente orientamento, come affermazione di un autonomo potere dell’amministratore di essere destinatario di atti processuali, nonché del potere di costituirsi in giudizio e di impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente, se rientranti nelle sue attribuzioni, posto che la norma dell’art. 1131, comma 3, sembrerebbe richiedere la necessità di una comunicazione all’assemblea solo nel caso di materie non rientranti nelle attribuzioni dell’amministratore. Secondo altri, va intesa come espressione dell’esigenza di facilitazione dei rapporti tra terzi e condominio. La citazione notificata all’amministratore consente di risolvere le problematiche connesse ad una eventuale notificazione individuale ai singoli condomini, soprattutto nei condomini di notevoli dimensioni.
7. Tale normativa deve essere tuttavia correttamente interpretata alla luce dei principi generali e, soprattutto, del ruolo e delle competenze dell’amministratore di condominio, nonché in base al diritto di dissenso dei condomini rispetto alle liti (art. 1132 c.c.). L’amministratore, come detto, non ha autonomi poteri, ma si limita ad eseguire le deliberazioni dell’assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio (art. 1130 c.c.).
Ne consegue che, anche in materia di azioni processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio.
7.1. Ove tale potere spettasse all’amministratore, questi potrebbe anche autonomamente non solo costituirsi in giudizio ma anche impugnare un provvedimento senza il consenso dell’assemblea e, in caso di ulteriore soccombenza, far sì che il condominio sia tenuto a pagare le spese processuali, senza aver in alcun modo assunto decisioni al riguardo.
Tale soluzione non solo contrasta con il principio che unico organo decisionale nel condominio è l’assemblea, ma conculca anche il diritto dei condomini di dissentire rispetto alle liti (art. 1132 c.c.). La mancata convocazione dell’assemblea per l’autorizzazione ovvero per la ratifica dell’operato dell’amministratore vanifica ogni possibilità di esercizio del diritto al dissenso alla lite che la legge espressamente riconosce ai condomini.
8. L’attribuzione in capo all’assemblea di condominio del potere gestorio e, quindi, della decisione se resistere in giudizio o impugnare la sentenza sfavorevole, per cui occorre che l’amministratore sia autorizzato a tanto, va tuttavia raccordata con la legittimazione passiva generale attribuita all’amministratore dall’art. 1131 c.c., comma 2. Invero, tale legittimazione rappresenta il mezzo procedimentale per il bilanciamento tra l’esigenza di agevolare i terzi e la necessità di tempestiva (urgente) difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, che deve ritenersi immanente al complessivo assetto normativo condominiale.
Pertanto, l’amministratore convenuto può anche autonomamente costituirsi in giudizio ovvero impugnare la sentenza sfavorevole, nel quadro generale di tutela (in via d’urgenza) di quell’interesse comune che integra la ratio della figura dell’amministratore di condominio e della legittimazione passiva generale, ma il suo operato deve essere ratificato dall’assemblea, titolare del relativo potere.
La ratifica, che vale a sanare con effetti ex tunc l’operato dell’amministratore che abbia agito senza autorizzazione dell’assemblea, è necessaria sia per paralizzare la dedotta eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio o dell’impugnazione, sia per ottemperare al rilievo ufficioso del giudice che, in tal caso, dovrà assegnare, ex art. 182 c.p.c., un termine all’amministratore per provvedere.
9. Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: “L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione”.
10. Nel caso specifico risulta che il ricorso per cassazione da parte dell’amministratore è stato proposto senza autorizzazione dell’assemblea di condominio. Di fronte all’eccezione, dedotta dalla Parsifal, di inammissibilità del ricorso, l’amministratore non ha provveduto a munirsi della necessaria ratifica. Ne consegue che il ricorso principale del condominio va dichiarato inammissibile.
Il ricorso incidentale tardivo del R. perde, ai sensi, dell’art. 334 c.p.c., comma 2, ogni efficacia.
In considerazione della complessità e particolarità delle questioni trattate sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso principale e privo di efficacia il ricorso incidentale.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.