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azioni giudiziarie Legittimazione del condomino - Rappresentanza - Tutela del decoro architettonico

Comunione - Legittimazione del condomino - azioni giudiziarie -Rappresentanza - Tutela del decoro architettonico - Legittimazione ad agire da parte dei condomini - Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune, sicché nel relativo giudizio non è necessaria la presenza in causa di tutti i condomini, né del condominio. Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 14474 del 30/06/2011 -------

CONDOMINIO

AZIONI GIUDIZIARIE

Comunione - Legittimazione del condomino - azioni giudiziarie -Rappresentanza - Tutela del decoro architettonico 

Legittimazione ad agire da parte dei condomini - Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune, sicché nel relativo giudizio non è necessaria la presenza in causa di tutti i condomini, né del condominio. Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 14474 del 30/06/2011

Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 14474 del 30/06/2011

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Grazia Angela Me.., premesso di esser proprietaria di un appartamento in uno stabile sito in Gela, via Generale Cascino n. 207 e che il condomino Salvatore Sco.. - per quello che ancora conserva interesse in questa sede - aveva alterato il decoro architettonico della facciata del fabbricato: aprendo una finestra;
apponendo una porta di ferro e pitturando di colore difforme rispetto al resto della facciata, la porzione della stessa afferente al proprio appartamento, lo citò innanzi al Tribunale di Gela perché ripristinasse lo stato originano del fabbricato condominiale. Il convenuto si costituì contestando la fondatezza delle pretese avversarie. L'adito Tribunale accolse le domande sopra esposte; la Corte di Appello di Caltanissetta, pronunziando sentenza n. 171/2005, respinse il gravame dello Sco.. che aveva fatto valere la nullità della decisione del primo giudice sia perché non sarebbe stato identificato catastalmente l'immobile oggetto delle pretese ripristinato rie della Me.., sia perché non erano stati chiamati in giudizio tutti i condomini e, nel merito, aveva censurato la valutazione del Tribunale in merito alle conclusioni del CTU sull'incidenza estetica delle alterazioni lamentate. La Corte del merito pervenne a tale decisione osservando: che l'immobile su cui erano state operate le modifiche era stato compiutamente individuato dalla disposta consulenza tecnica come quello, di proprietà dello Sco.., sottostante all'appartamento della Me..; che la CTU, le cui conclusioni venivano fatte proprie dalla Corte territoriale, aveva adeguatamente motivato le ragioni per le quali le opere poste in essere dall'appellante avrebbero alterato le linee architettoniche e l'euritmia dell'edificio condominiale; che la richiesta di ripristino poteva essere proposta da ciascuno dei condomini, non implicando quindi la necessità dell'integrazione del contraddicono. Per la cassazione di tale decisione lo Sco.. ha proposto ricorso affidandolo a tre motivi; la Me.. ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1 - Con il primo motivo il ricorrente deduce la "nullità del procedimento per violazione dell'art. 102 c.p.c., e segg., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4" in quanto non sarebbe stato adeguatamente considerato dalla Corte territoriale, nel respingere la richiesta di integrazione del contraddicono, che le opere delle quali si chiedeva la rimozione interessavano l'intero stabile condominiale, rendendo evidente la necessità della presenza in causa di tutti i condomini nonché del Condominio, tanto più che non sarebbe dato di comprendere a chi far risalire le dedotte innovazioni. La censura è destituita di fondamento.
1/a - Va innanzi tutto evidenziato che non è rispondente ai dati di causa ancora controversi il presupposto fattuale da cui parte l'argomentazione dello Sco.. - che cioè la integrazione del contraddicono sarebbe resa necessaria perché "la situazione fatta valere dall'attrice investe molteplici e differenti posizioni giuridiche" (cfr. fol. 8 del ricorso) e perché i tubi dei quali si richiede la rimozione attraverserebbero l'intera facciata condominiale (cfr. fol. 7 ibidem ): al contrario va sottolineato che la rimozione delle condutture asseritamente poste dallo Sco.. sulla facciata condominiale formò oggetto di domanda respinta dal Tribunale di Gela e non più riproposta in sede di gravame, facendo quindi venir meno l'interesse del ricorrente ad insistere sul punto. 1/b - Più in generale poi la Corte non vede ragioni per derogare al principio più volte sostenuto in sede di legittimità - cfr. ex mtdtis: Cass. 3238/1998; Cass. 10.609/1996; Cass. 8531/1994 - secondo il quale ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune.
2 - Con il secondo motivo viene dedotta la "violazione e falsa applicatone dell'art. 1117 c.c., e segg., nonché dell'art. 1102 c.c., e segg. (art. 360 c.c., n. 3)" non avendo considerato la Corte distrettuale che le opere delle quali si è chiesta la riduzione in pristino costituivano l'esplicazione di un uso della cosa comune, consentito a ciascun condomino a condizione di non sottrarre la medesima utilità all'utilizzo degli altri condomini. 2/a - Il motivo è inammissibile in quanto il rilievo non formò oggetto di deduzione difensiva nell'ambito delle censure in sede di gravame, per come emerge dalla lettura delle conclusioni dello stesso Sco.. riportate a fol 3 della sentenza della Corte di Caltanissetta; in ogni caso sarebbe stato infondato in diritto perché l'art. 1102 cod. civ. determina un principio generale rispetto al quale il disposto dell'art. 1120, comma 2, si pone in rapporto di specialità, laddove il termine di "uso" indicato nella prima norma - consentito al singolo condomino - si contrappone al concetto di "innovazione" disciplinato dalla seconda - demandato alla previa valutazione dell'assemblea del condominio. 3 - Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la "contraddittorietà della motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" sostenendo che la Corte distrettuale sarebbe incorsa in una "contraddittorietà logico-giuridica del dispositivo rispetto alle argomentazioni svolte nel corpo della motivazione" (vedi fol. 11 del ricorso) in quanto la gravata decisione si sarebbe posta in contrasto con le conclusioni della consulenza tecnica effettuata in primo grado, dalla quale sarebbe emerso che le finestre e i tubi di scarico non avrebbero determinato una significativa alterazione del decoro architettonico.
La censura è inammissibile
3/a - Richiamato quanto in precedenza osservato in ordine alla carenza di interesse per lo Sco.. a censurare la - pur respinta - domanda della Me.. in merito alla rimozione di discendenti apposti sulla facciata condominiale, va rilevato che il dedotti) vizio di motivazione non viene argomentato in modo da ricondurre la censura al profilo di contraddittorietà enucleato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale esso sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, vi sia una insanabile aporia tra le varie proposizioni che compongono la trama argomentativa, tale da non permettere di ricostruirne l'iter logico (cfr. ex multis Cass., 6288/2011; Cass. 27162/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).
3/b - Quanto alla non condivisa interpretazionc delle emergenze istruttorie, la censura viola il principio di autosufficienza del ricorso, in quanto non è stata riportata per intero la valutazione del CTU al fine di scrutinarne la lamentata "decontestualizzazione", tanto più che la Me.. nel proprio controricorso, trascrive il contenuto della relazione dell'ausiliare, in modo divergente da quello esposto dal ricorrente (cfr. foll. 3 e 4 del controricorso):
ciò fa ritener assorbito l'ulteriore profilo di inammissibilità derivante dalla non consentita sollecitazione ad una nuova valutazione delle risultanze istruttorie in assenza di vizi di motivazione.
4 - Il ricorso va dunque rigettato e parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 26 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2011

 

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