Sopraelevazione - Opposizione da parte dei condomini - Pregiudizio architettonico
Condominio -Sopraelevazione - Opposizione da parte dei condomini - Pregiudizio architettonico
CONDOMINIO
SOPRAELEVAZIONE
Condominio - Sopraelevazione - Opposizione da parte dei condomini - Pregiudizio architettonico (Cassazione - Sezione seconda, sentenza 13426 del 12 settembre 2003)Svolgimento del processo
Franca Lxxxxxxx, proprietaria d’un appartamento all’ottavo piano dell’edificio condominiale di via Val di Mazzara in Palermo, assumendo che i proprietari dell’appartamento al piano superiore avevano realizzato sull’annesso terrazzo una veranda con modifiche agli scoli, dalle quali erano derivati danni da travaso d’acque, ed infiltrazioni nel suo appartamento e che, inoltre, il manufatto era illecito sotto il profilo urbanistico, imponeva una servitù di scolo a carico della sua proprietà, alterava il decoro architettonico dell’edificio, con atto di citazione in riassunzione 21 novembre 1994, conseguente a declaratoria d’incompetenza da parte del pretore previamente adito, conveniva innanzi al locale tribunale i detti proprietari, Lidia Dvvvvvvv e Donato Cdddddd, onde sentili condannare alla rimozione della veranda ed al ripristino dello stato dei luoghi nonché al risarcimento del danno in proprio favore.
Nel costituirsi, Lidia Dvvvvvvv e Donato Cdddddd contestavano il fondamento dell’avversa domanda invocando le conclusioni d’una consulenza tecnica, espletata nella prima fase del giudizio svoltasi innanzi al pretore, nelle quali era stato escluso sia che le infiltrazioni lamentate dalla controparte dipendessero dalla costruzione della veranda, sia che questa avesse alterato l’euritmia od il decoro architettonico dell’edificio.
L’adito tribunale rigettava la domanda con sentenza 6 novembre 1996 che la Lxxxxxxx impugnava con appello cui resistevano la Dvvvvvvv ed il Cdddddd. Del gravame decideva la Corte d’appello di Palermo con sentenza 9 maggio 2000, accogliendolo sulla considerazione che il manufatto, pur di modeste dimensioni, fosse comunque tale da stravolgere l’ordine del prospetto dell’edificio con conseguente deprezzamento dell’edificio stesso e che gli elementi di giudizio desumibili da rilievi fotografici e da presunzioni consentissero di ritenere i danni dedotti in giudizio quali effetti delle tracimazioni verificatesi, in concomitanza con eventi meteorici d’una certa importanza, dalla terrazza degli appellati a quella dell’appellante: donde la condanna dei primi alla rimozione della veranda ed al risarcimento dei danni, quantificati in £ 1.430.000, in favore della seconda.
Avverso tale decisione Lidia Dvvvvvvv e Donato Cdddddd proponevano ricorso per cassazione con due motivi.
Resisteva Franca Lxxxxxxx con controricorso cui faceva anche seguire memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, i ricorrenti denunziando violazione degli articoli 1120 e 1127 Cc, vizi di motivazione ed eccesso di potere si dolgono, in sintesi, che la corte territoriale abbia ravvisato la lesione dell’aspetto architettonico dell’edificio, denunziata ex adverso, omettendo di correttamente applicare la normativa regolatrice della materia secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, disattendendo la difforme opinione espressa dal consulente tecnico d’ufficio, fornendo del proprio convincimento giustificazioni apodittiche ed illogiche oltreché fondate su rappresentazioni artatamente predisposte dal consulente tecnico della controparte.
Il motivo merita accoglimento.
La disciplina dettata nel vigente codice civile in materia di condominio ha abrogato la previgente disciplina dettata dalla legge 56/1934 ed il terzo comma dell’articolo 1127 Cc è venuto, così, a sostituire l’articolo 12 della detta legge, la cui ratio ha, tuttavia, sostanzialmente recepita ma anche puntualizzata, dacché, in tema di sopraelevazioni realizzate sull’ultimo piano dell’edificio, l’essere stata condizionata la legittimità dell’opposizione dei condomini alla ricorrenza d’un “pregiudizio” all’aspetto architettonico, se equivale, da un lato, alla precedente previsione di una “alterazione notevole” dell’aspetto stesso, dall’altro ha, tuttavia, inteso accentuare, mediante l’uso del diverso unico termine contenente un espresso specifico riferimento alle conseguenze dannose, il concetto d’un’incidenza di particolare rilievo della nuova opera sopraelevata sullo stile architettonico dell’edificio, id est sulle linee caratteristiche principali di esso, e sottolinearne l’imprescindibile correlazione con la diminuzione del pregio estetico e, quindi, del valore economico dell’insieme e, di riflesso, anche delle singole unità delle quali si compone.
Ond’è che non ogni sopraelevazione od ogni costruzione sull’ultimo piano o sul lastrico solare possono essere inibite al proprietario dell’uno o dell’altro, ma solo quelle che determinino il detto pregiudizio, ipotesi il cui verificarsi è condizionato alla concorrenza, in una alla già detta rilevante difformità rispetto alle linee caratteristiche principali dell’edificio, anche dell’immediata sua apprezzabilità in quanto ravvisabile ictu oculi ad un’osservazione dell’insieme operata in condizioni soggettive ed obiettive di normalità, id est da parte delle persone di media preparazione che si trovino sulla strada, in quanto tali condizioni sono quelle che ricorrono in occasione dell’apprezzamento del pregio estetico dell’edificio nel suo complesso quale componente della valutazione economica delle singole sue porzioni di proprietà esclusiva.
Il maggior rigore con il quale il legislatore ha regolato la legittimazione dei condomini ad opporsi, in materia di danno estetico, alle sopraelevazioni rispetto alle innovazioni, per le quali la lesione del “decoro” architettonico dell’edificio è denunziabile anche ove incida su caratteristiche secondarie, purché integrative della facies di esso e ferma sempre la correlazione con il danno economico, è giustificato dalla considerazione che, nel primo caso, l’agente opera su bene proprio (ultimo piano) o proprio se pure con funzione comune (lastrico solare), mentre nel secondo l’agente opera su beni comuni.
Nella specie, la corte territoriale, dopo essersi dilungata nell’esporre la richiamata interpretazione della normativa regolatrice della materia, ha, poi, reso dell’applicazione della normativa stessa al caso sub iudice una motivazione quantitativamente e qualitativamente del tutto inadeguata, rivelatrice dello sforzo di ricondurre questo a quella pur in difetto dei necessari presupposti.
Al qual fine ha, anzi tutto, disatteso l’opinione circa l’insussistenza del pregiudizio estetico ed economico espressa dal consulente tecnico d’ufficio, per contro recepita dal primo giudice, senza fornire motivazione alcuna né di tale scelta né dell’errore in cui l’uno e l’altro fossero incorsi, mentre ha posto alla base dell’assunta decisione in ordine ai ritenuti rilevante interferenza dell’opera sull’estetica del fabbricato e correlato notevole pregiudizio all’aspetto architettonico dello stesso, nonché del consequenziale deprezzamento, unicamente il proprio non solo soggettivo ma anche e soprattutto apodittico apprezzamento dello stato dei luoghi quale risultantegli, sembra, dall’esame diretto di allegazioni fotografiche, il che si traduce in un palese difetto di motivazione circa un punto essenziale della controversia oggetto di specifico contrasto tra le parti.
Valutazioni siffatte non sono, in vero, consentite al giudice, né in relazione al potere pur attribuitogli dall’articolo 115/II Cpc né, tanto meno, in relazione ad eventuali sue personali particolari cognizioni.
Come da consolidato insegnamento di questa Corte, l’utilizzazione del fatto notorio, comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio e dando luogo a prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, id est come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; di guisa che non possono, quindi, essere annoverate tra le nozioni di comune conoscenza, intesa quale esperienza dell’individuo medio in un dato tempo ed in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implichino cognizioni particolari od anche solo la pratica di determinate situazioni, come, nel caso di specie, il pregio estetico originario d’un fabbricato e l’incidenza negativa o meno su di esso delle opere realizzate sulla terrazze degli ultimi piani.
Carenza oggettiva cui non potrebbe, poi, soccorrere, come pure si è ripetutamente evidenziato da questa Corte, la scienza individuale del giudice, poiché questa pur ove comprovata e tale non risulta nella specie in quanto non universale non è annoverabile nella categoria del notorio, neppure quando la cognizione derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie, onde tale esperienza non può in alcun caso essere utilizzata nelle argomentazioni elaborate a suffragio d’una successiva diversa decisione.
Né, ancora, alle tratte conclusioni avrebbe potuto il detto giudice pervenire assumendo a loro unico sostegno la perizia elaborata dal consulente tecnico di parte appellante alla quale sull’argomento non ha, tra l’altro, fatto richiamo e, nel contrasto tra le argomentazioni svolte da questi, la valutazione della cui attendibilità non può sottrarsi alla considerazione del condizionamento insito nell’esigenza di sostenere le ragioni del preponente, e quelle dell’esperto nominato dall’ufficio, assistito dalla presunzione d’imparzialità nell’esercizio d’una pubblica funzione, queste ultime disattendere, soprattutto, come nella specie, senza motivazione alcuna laddove sarebbero stati imprescindibili un esame comparativo delle contrapposte ragioni e, di conseguenza. una scelta argomentata delle une piuttosto che delle altre.
In proposito devesi, infatti, considerare che, nel decidere delle questioni per la cui soluzione siasi nel precedente grado del giudizio ritenuto necessario ricorrere all’ausilio d’un consulente tecnico d’ufficio, l’esercizio della facoltà di disattendere le conclusioni alle quali l’esperto sia pervenuto ed, a maggior ragione, ove ad esse il giudice di primo grado siasi conformato, informando così la propria decisione a differenti valutazioni, è legittimamente esercitata dal giudice di secondo grado solo ove le modalità degli accertamenti adottate dall’esperto nell’espletamento dell’incarico e/o l’iter logico dal medesimo seguito nell’elaborazione delle risposte ai quesiti vengano contestati con censure cui possano riconoscersi adeguati connotati di specificità; il che implica, per il detto giudice di secondo grado, il dovere d’adeguatamente motivare il diverso avviso cui sia pervenuto, discostandosi dalle opinioni del consulente tecnico d’ufficio e riformando la decisione del primo giudice, con l’esplicitare puntualmente le fonti e le ragioni della propria diretta scientia rei e dell’assunta veste di peritus peritorum, in guisa da consentire il controllo tecnico e logico dei motivi posti a fondamento della decisione in tal senso adottata; diversamente, nel caso il suo prudente apprezzamento gli faccia ritenere di non essere in possesso a sua volta delle cognizioni scientifiche necessarie a risolvere il contrasto od a chiarire i dubbi od a colmare le lacune che ravvisi nella consulenza svolta in primo grado, le cui conclusioni siano state recepite nell’impugnata sentenza, deve il giudice di secondo grado richiamare il consulente tecnico d’ufficio, od altro nominarne, al fine di far adeguatamente integrare i precedenti accertamenti ritenuti insufficienti e precisare o riformulare le valutazioni ritenute insoddisfacenti.
È dunque, appena il caso d’aggiungere come la rilevata apoditticità delle singole considerazioni poste a comporre la motivazione in esame questa renda anche insufficiente ed illogica, particolarmente laddove, pur essendosi dato atto delle modeste dimensioni del manufatto e senza considerare che trovasi incontestatamente al nono piano, se ne afferma la chiara visibilità non solo dagli edifici circostanti, il che è irrilevante per quanto sopra già esposto, ma anche dalla strada in prossimità della facciata, ed il consequenziale effetto visivo d’uno “stravolgimento” dell’ordine del prospetto, cui sono sottesi la notevole gravità della lesione e, quindi, il danno economicamente apprezzabile; come, inoltre, non possa ritenersi aprioristicamente privo di rilievo, giusta quanto ritenuto dalla corte territoriale sempre in difformità dall’opinione espressa dal consulente tecnico d’ufficio, l’inserimento dell’edificio in un determinato contesto ambientale caratterizzato dalla presenza d’edifici analoghi che presentino anch’essi superfetazioni similari a quelle della cui incidenza sull’aspetto architettonico dell’edificio stesso si discute, dacché, per un verso, nell’apprezzamento complessivo del pregio dell’edificio evidentemente influiscono anche la sua ubicazione ed il pregio degli edifici circostanti mentre, per altro verso, la presenza in questi ultimi di strutture aggiuntive rende meno appariscente e disarmonica ciascuna di esse pur se singolarmente considerata.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziando violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 Cpc e vizi di motivazione ed eccesso di potere si dolgono, in sintesi, che la corte territoriale abbia, sulla base di mere ipotesi, ravvisato nella realizzazione della veranda de qua la causa delle infiltrazioni lamentate dalla controparte che, per contro, era stata indicata dal consulente tecnico d’ufficio nel degrado dello stato di manutenzione dell’immobile stesso di controparte.
Il motivo merita accoglimento.
La corte territoriale ha, in£atti, ancora una volta disatteso le argomentazioni del consulente tecnico d’ufficio, basate su accertamenti e prove tecniche effettuati in loco con le garanzie del contraddittorie senza motivata contestazione delle ragioni sulle quali era basata l’opinione dell’esperto, in questo caso pedissequamente recependo le argomentazioni del consulente tecnico di parte appellante, senza procedere al dovuto esame comparativo con le prime ed alla motivata scelta tra le due e senza considerare come l’opinione cui era prestata apodittica adesione fosse non solo priva del requisito della sicura imparzialità, come già rilevato, ma anche basata, trattandosi di prove tecniche in loco, su esperimenti effettuati in assenza delle garanzie del contraddittorio e senza, quindi, alcun controllo della controparte così sull’idoneità allo scopo degli esperimenti effettuati e sulle modalità della loro attuazione come, soprattutto sui metodi utilizzati onde ottenere quelle fotografie, apparentemente giovevoli alla tesi dell’appellante, sulle quali principalmente risulta essere fondata l’assunta decisione.
Al riguardo si richiama quanto già evidenziato, nell’esame del primo motivo, in ordine all’onere d’adeguata puntuale motivazione delle ragioni di tale decisione che incombe sul giudice ove intenda disattendere le conclusioni rese dal consulente tecnico d’ufficio senza richiamarlo per chiarimenti o supplemento o senza altro nominarne, onere che non è osservato con la pura e semplice adesione ad una tesi difforme della quale non sia contestualmente dimostrata l’esattezza in contrapposizione all’erroneità di quella prospettata dal consulente tecnico d’ufficio.
Una notazione a parte sull’evidente inconferenza delle prospettate presunzioni, relative, ciascuna, a singoli elementi di fatto inidonei, di per se stessi, ad integrare il requisito della pluralità, univocità, gravità, dei fatti noti dal cui complesso desumere con sufficiente certezza il fatto ignoto da dimostrare, al fine di farlo considerare accertato e renderla probante ai sensi dell’articolo 2727 Cc, dacché, in realtà, non trattasi di d’elementi dimostrativi diretti ma, a loro volta, d’elementi presuntivi, inutilizzabili per il divieto della cosiddetta praesumptio de praesumpto, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto per derivarne un’altra presunzione senza violare, in tal modo, lo specifico combinato disposto degli articoli 2727 e 2729 Cc.
Risultando evidentemente fondati entrambi i motivi di gravame, l’impugnata sentenza va, dunque, annullata e la causa, di conseguenza, rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito di secondo grado, che s’indica in diversa sezione della medesima Corte d’appello di Palermo, cui è anche demandato, ex articolo 385 Cpc, di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.