Locazioni immobiliari - canone diverso da quello dichiarato
Locazioni immobiliari: può essere valido un accordo tra le parti che preveda un canone diverso da quello dichiarato nel contratto scritto e registrato? Commento a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
La problematica e le diverse posizioni in dottrina e in giurisprudenza
Il tema, molto rilevante sotto un profilo pratico (ancora irrisolto, come si dirà, fino a poco tempo fa), nonchè molto discusso in giurisprudenza ed in dottrina, riguarda l’ipotesi in cui le parti di un contratto di locazione abbiano occultamente concordato tra di loro, con espressa controdichiarazione, che il canone indicato nell’atto scritto e registrato sia superiore rispetto a quello in esso stabilito.
In materia, è stata fatta (subito dopo l’entrata in vigore delle leggi n. 392/1978 e, poi, nel solo settore abitativo, n. 431/1998) una distinzione tra le locazioni di immobili con destinazione abitativa e quelle riguardanti immobili adibiti ad uso diverso (per i quali ultime fu stabilita, sin dall’entrata in vigore della legge n. 392/1978, una, sia pur parziale, autonomia negoziale delle parti nella fissazione del canone, mentre – come è noto – nell’ambito abitativo fu creato il c.d. “equo canone”, eliminato , poi, con la citata legge n. 431/1998).
Si è, in particolare, discusso sulla validità della controdichiarazione di cui sopra, con conseguenze diverse quando questa sia stata coeva oppure successiva alla stipula del contratto, ove, come accennato, in essa siano state fissate maggiorazioni del canone contrattuale mensile.
L’ipotesi, come si poteva facilmente rilevare, si è verificata molto di frequente nella prassi, avendo un evidente interesse i locatori, a ridurre gli oneri fiscali ai quali sono sottoposti in relazione all’affitto del loro immobile, con la conseguenza che molto spesso, nella predetta ipotesi di un importo versato dai conduttori per il canone dissimulato superiore a quello contrattuale, questi ultimi, sopratutto alla scadenza del rapporto locatizio, hanno agito in giudizio per la ripetizione di quanto versato oltre il dovuto.
Molto legato al tema in esame è quello dell’obbligo della registrazione disposto definitivamente con la legge tributaria del 2004 comportante la nullità dell’intero contratto.
Al riguardo la giurisprudenza si era espressa più volte nel senso che la registrazione riguardava soltanto un profilo fiscale e, come tale, la sua omissione non comporta alcuna nullità del contratto.
Sul punto è intervenuta più volte la Corte Costituzionale, la quale, in un primo tempo, ha seguito questo stesso orientamento giurisprudenziale, per poi mutarlo, alla luce delle nuove normative tributarie intervenute, affermando che, in ogni caso, la mancata registrazione invalidava l’intero contratto.
Per quanto concerne, poi, il patto dissimulato, la giurisprudenza prevalente in precedenza optava per una soluzione intermedia, sia pure nel solo ambito non abitativo (per il quale il canone era ed è tuttora libero e non vincolato), affermando che la pattuizione di cui alla controdichiarazione doveva intendersi valida (con efficacia, quindi del solo patto dissimulato e non del canone dichiarato) soltanto nell’ipotesi di accordo tra le parti coevo alla stipula del contratto simulato, escludendosi, in ogni caso la validità di un patto successivo.
La discussione sul punto ha portato a sentenze ed a opinioni dottrinali sempre più contrastanti tra loro, con discussioni interminabili, mentre soltanto negli anni 2017/2018 la Suprema Corte, dettando dei chiari principi di diritto in tema e risolvendo così definitivamente il problema, che ha coinvolto e coinvolge numerosissimi rapporti locatizi.
Le ultime decisioni della Suprema Corte
La soluzione della controversa questione è stata fornita sia in virtù dei principi espressi dalle sezioni unite della Cassazione, con la nota sentenza n. 23601 del 9 ottobre 2017, sia da alcune decisioni successive della III sezione del 2018, con le quali si è ulteriormente pervenuti ad una soluzione concreta ad alcuni problemi concreti che non erano stati affrontati in profondità dalle sezioni unite.
E’ opportuno, quindi, evidenziare anzitutto i principi esposti nella decisione delle sezioni unite, che si sono così espresse:
-- nell’ipotesi di mancata registrazione, la nullità del contratto è sanabile attraverso una registrazione tardiva, con effetti “sananti ex tunc”, a condizione che contenga “l’indicazione del canone reale convenuto dall’origine tra le parti e ciò in quanto la norma tributaria non qualifica come perentorio il termine di 30 giorni previsto per il pagamento dell’imposta di registro, contemplando sia la registrazione d’ufficio, sia il c.d. ravvedimento operoso,riconoscendo l’attenuazione della sanzione prevista per la violazione delle norme tributarie”;
--nell’ambito non abitativo, ribadito che il patto che prevede un canone superiore a quello dichiarato è nullo, si è precisato “che tale nullità vitiatur sed non vitiat, talchè il detto patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo a prescindere dall’avvenuta registrazione, pur non importando la nullità dell’intera convenzione negoziale”;
--la sanzione di cui all’art. 79 della legge n. 392/1978 (norma peraltro oggi abolita nel caso di destinazione abitativa dell’immobile), tradizionalmente volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, “va letta nel senso che il patto di maggiorazione è nullo anche se la sua previsione attiene al modello genetico e non solo funzionale del rapporto”.
Successivamente, sempre nel corrente anno, la Cassazione si nuovamente espressa in materia attenendosi sostanzialmente ai principi sopra esposti dalle sezioni unite, ma fornendo preziosi argomenti solutori di situazioni concrete che si presentano assai di frequente nell’ambito locatizio, ponendo l’accento, in particolare, sulla nullità di patti tesi all’elusione fiscale.
Nell’ambito delle locazioni abitative si è affermato che “la nullità prevista dall’art. 13, I comma della legge n. 431/1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente: il patto occulto, in quanto nullo non è sanato dalla registrazione tardiva, fattoextranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica” (Cass. 22 agosto 2018 n. 20881).
Più pronunce si sono occupate, invece, delle locazioni adibite ad uso diverso dall’abitazione.
Si è affermato, in particolare, che per questi contratti, se stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 311/2004 (che ha introdotto la nullità del contratto di locazione per omessa registrazione) “il patto occulto di maggiorazione del canone è da considerarsi viziato da nullità (virtuale), atteso che l’accordo simulatorio trova la sua causa concreta nella finalità di eludere il fisco, sottraendo all’erario il maggior canone dissimulato realmente pattuito, così ponendosi in contrasto con la norma che impone l’obbligo di registrazione integrale e fedele dei contratti di locazione, da considerarsi imperativa e, in quanto tale, inidonea ad incidere sulla validità degli atti civili ai sensi dell’art. 1218, I comma c.c.” (Cass. 2 marzo 2018 n. 4922);
ed ancora che “ogni patto avente non già ad oggetto l’aggiornamento del canone ex art. 32 della legge n. 392/1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve considerarsi nullo ex art. 79 della legge n. 392/1978, in quanto diretto ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa, neppure nel corso del rapporto e non solo nella fase di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto a non corrispondere aumenti non dovuti: il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti ISTAT, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto; persiste durante l’intero corso del rapporto e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione di legge, dopo la riconsegna dell’immobile, entro il termine di decadenza di sei mesi” (Cass. 14 marzo 2018 n. 6124) e che “alla luce di quanto disposto dall’art. 79 della legge n. 392/1978, il conduttore può rinunciare al suo diritto alla perdita dell’avviamento commerciale soltanto dopo la conclusione del contratto” (Cass. 13 giugno 2018 n.15373).
Infine va ricordata la recentissima sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 29016 del 13 novembre 2018, già esaminata sul Foro europeo, come nota a sentenza) - che si è pronunciata sempre nell’ambito delle locazioni non abitative - ove si è ancora affermato che “il patto occulto di maggiorazione del canone, contemplando un canone superiore rispetto all’importo a tale titolo indicato nel contratto scritto e registrato, risulta chiaramente funzionalmente ed esclusivamente volto a realizzare il risultato illegittimo di garantire al locatore di ritrarre dal concesso godimento dell’immobile un reddito superiore a quello assoggettato ad imposta (nella specie di registro e, come tale è affetto da nullità insanabile)”.
Brevi considerazioni conclusive
Si può concludere sull’importante questione che, alla luce dei principi a momenti esposti, affermandosi sinteticamente che:
--Dopo l’entrata in vigore della legge tributaria n. 311/2004, che ha imposto la registrazione del contratto di locazione a pena di nullità, ogni patto occulto che preveda un canone maggiorato rispetto a quello indicato nel contratto scritto e registrato, deve considerarsi insanabilmente nullo;
--La detta nullità riguarda solo il patto contenuto nella controdichiarazione e non travolge l’intero contratto, talchè il canone corretto e legittimo è quello risultante dall’atto scritto e registrato, per cui il conduttore ha diritto a ripetere quanto versato oltre il dovuto;
--La registrazione tardiva dell’affitto comporta la sanatoria ex tunc del contratto solo ove contenga l’indicazione del canone reale, come convenuto dalle parti nell’atto scritto originale, restando nullo il patto dissimulato di maggiorazione del canone, a prescindere dalla sua registrazione tardiva;
--La nullità del patto in questione sussiste anche se la sua previsione attiene al momento genetico e non soltanto funzionale del rapporto;
--Il conduttore non può rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti del canone non dovuti né al momento della stipula del contratto, né nel corso del rapporto e il relativo diritto può farsi valere dopo la riconsegna dell’immobile, entro il termine decadenziale di sei mesi;
--La nullità dell’accordo di maggiorazione del canone va affermata in base al disposto di cui all’art. 1418, I comma c.c., in quanto trova la sua causa concreta nella finalità di eludere il fisco, violando, con il risparmio dell’imposta, l’interesse pubblicistico previsto dalla norma fiscale elusa.