Locazione immobile ad uso ufficio - reintegra in possesso, riduzione in pristino dell’immobile e risarcimento dei danni
Locazione immobile ad uso ufficio – Azione proposta dai locatori ai fini della reintegra in possesso, della riduzione in pristino dell’immobile e del risarcimento dei danni subiti, avendo il conduttore impedito ad essi l’accesso all’immobile (a mezzo di un lucchetto da questi apposto), nonchè in dipendenza di un intervento parzialmente demolitorio del locale, attuato mediante abbattimento di un parete divisoria e della porta d’ingresso – Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 10351 del 12 aprile. Commento
Immobile locato destinato ad uso ufficio – Inadempimenti del conduttore – domande di reintegra in possesso, ripristino del bene locato e risarcimento danni - Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 10351 del 12 aprile 2019, a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. I locatori di un immobile destinato ad uso ufficio convenivano in giudizio il conduttore onde ottenere la reintegra in possesso del bene locato, la riduzione in pristino del locale affittato ed il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta inadempiente dell’inquilino.
Il Tribunale adito respingeva tutte le domande e i locatori impugnavano la sentenza avanti alla Corte d’Appello competente.
Il giudice di secondo grado, in parziale accoglimento della impugnazione proposta, ritenendo errata la sentenza di prime cure circa l’affermata ammissibilità dell’azione per integrale distruzione del bene (non essendosi questa verificata in concreto, come emerso dalle foto prodotte e dal fatto che l’immobile risultava sprovvisto solo di una parete e della porta d’ingresso, per cui, come tale, andava considerato individuabile e suscettibile di una semplice rimessione in pristino), ordinava al conduttore di reintegrare i locatori nel possesso del locale “de quo”; di ripristinare lo stato dei luoghi e di risarcire i danni causati, che determinava nella minor somma rispetto al richiesto, di € 1.928,27.
Proponevano ricorso per cassazione i locatori soccombenti sulla base di vari motivi.
Decisione. La Suprema Corte in ordine ai primi due motivi di gravame, rilevato che l’azione possessoria era stata in primo grado esercitata oltre che da due persone fisiche, anche da una Onlus, la quale non aveva proposto appello avverso la decisione del Tribunale e che “la domanda possessoria formulata da più possessori che reclamano ognuno il possesso del bene non dà luogo ad un litisconsorzio necessario, trattandosi di cause scindibili, in quanto ognuno dei possessori è indipendente dal possesso degli altri, talchè nella fattispecie esaminata non era necessaria l’integrazione del contraddittorio” (cfr. in tal senso Cass. sez. un. n. 15289/2001), accoglieva parzialmente il ricorso, dichiarando nulla la sentenza del giudice d’appello impugnata solo nella parte in cui includeva tra le parti appellanti anche la Onlus (difesa in appello, peraltro, da un legale privo di regolare procura).
Rigettava, poi, il terzo motivo di gravame, relativo all’assenza di motivazione in ordine al contestato difetto di legittimazione all’azione possessoria da parte degli attori persone fisiche, in quanto queste avevano ceduto il contratto di locazione stipulato poi dalla Onlus con il conduttore.
Sul punto precisava la Suprema Corte che il giudice d’appello non aveva per nulla omesso l’esame dell’eccezione relativa alla legittimazione attiva, dimostrata ella specie “per tabulas” con il contratto di locazione a rogito notarile, poiché “la tutela possessoria è prevista, ai sensi dell’art. 1168 c.c., a favore di chi esercita una detenzione qualificata, quali tutti i ricorrenti che esercitavano tale potere sul bene in virtù del menzionato contratto”.
Il quarto ed ultimo motivo (riguardante una omessa motivazione in ordine alla contestata mancanza di detenzione qualificata per nullità del contratto di locazione, in quanto avente ad oggetto un immobile abusivo) è stato infine, ritenuto inammissibile dal giudice di legittimità.
Si è affermato, in particolare, in sintonia con l’orientamento della giurisprudenza anche più recente della Cassazione (cfr. sul punto Cass. n. 20694/2018), “qualora siano prospettate questioni non trattate nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione avanti al giudice di merito, ma, in virtù del principio di autosufficienza, deve lo stesso anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, poiché i motivi del ricorso debbono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio d’appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (cosa che non è avvenuta nella specie), mentre, comunque, l’invalidità dell’atto o del negozio in virtù del quale è stato consegnato un bene non vale ad escludere la rilevanza di detto atto, quale prova di una detenzione qualificata del bene medesimo, essendo perciò, in ogni caso, idoneo a legittimare il detentore a promuovere l’azione possessoria”.
La Suprema Corte, quindi, ha accolto i primi due motivi d’impugnazione, cassando la sentenza impugnata, dichiarata nulla limitatamente alla condanna della Onlus alla reintegra, alla remissione in pristino a al risarcimento del danno ed ha condannato le sole altre parti convenute in causa alla reintegra, al ripristino ed al risarcimento del danno (come già disposto nella sentenza impugnata), nonchè tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese delle fasi di merito, compensate, invece, integralmente per quelle di legittimità.