Preliminare contratto di locazione – Reciproche domande risolutorie e risarcitorie del contratto per inadempimento della controparte – Cass. sez. III sentenza n. 28215 del 4 novembre 2019
Ricorso per cassazione della società promissaria soccombente proposto sulla base di un vizio di motivazione dovuto ad un mero rinvio del giudice d’appello alla motivazione della sentenza di primo grado - Corte di Cassazione, sez. III, sentenza n. 28215 del 4 novembre 2019 a cura di Riccardo Redivo già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. Una società, quale promittente locatrice, conveniva in giudizio la promittente conduttrice dinanzi al Tribunale competente, chiedendo l’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c. (domanda poi rinunciata), nonchè la condanna della convenuta al pagamento dei canoni scaduti e non corrisposti, a seguito della mancata stipula del definitivo entro il termine stabilito nel preliminare per colpa esclusiva della stessa ovvero, in subordine, instando per la risoluzione del contratto per inadempimento della medesima, con condanna della controparte al risarcimento dei danni nella misura di quanto già richiesto per i canoni non versati.
Si costituiva la società convenuta, eccependo che nel contratto vi era stato un errore essenziale sulla qualità del bene locato circa la prevista destinazione dell’immobile ad uso commerciale (essendo lo stesso situato in zona industriale non modificabile). Chiedeva, pertanto, l’annullamento del contratto preliminare, con condanna, in via riconvenzionale, dell’attrice al risarcimento del danno ovvero, in subordine, la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente locatrice, con conseguente condanna della stessa al risarcimento del danno da valutarsi equitativamente.
Il Tribunale dichiarava risolto il preliminare per inadempimento della convenuta, rigettando, oltre alla richiesta risarcitoria dell’attrice, le eccezioni e la riconvenzionale proposta dalla convenuta stessa (risultando dalla perizia d’ufficio espletata che nell’immobile “de quo” era consentita la destinazione urbanistica ad uso commerciale).
La Corte d’Appello, adita dalla promittente locatrice, riformava, quindi, parzialmente tale decisione, accogliendo la domanda risarcitoria avanzata dall’attrice e condannando per l’effetto la convenuta al risarcimento richiesto da quest’ultima ed alla rifusione delle spese processuali e di consulenza tecnica d’ufficio, nonché confermando per il resto la decisione impugnata.
Ricorreva per cassazione la promittente conduttrice soccombente, assumendo che la sentenza di secondo grado andava cancellata, sia perché il giudicante non aveva esaminato per nulla il proprio appello incidentale, sia perché, comunque, il giudice aveva effettuato un mero rinvio alla sentenza del Tribunale, senza motivare in alcun modo l’adesione a tale decisione, pur essendo la stessa fatta oggetto del proprio specifico appello incidentale.
Decisione. La Suprema Corte ha accolto in parte il ricorso, affermando che la sentenza impugnata era pienamente condivisibile nella parte riguardante la risoluzione del contratto, senza aggiungere null’altro al riguardo, per cui deve affermarsi che “sussiste il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza, quando il giudice d’appello abbia sostanzialmente riprodotto la sentenza di prime cure, senza illustrare, neppure sinteticamente, le ragioni per cui ha disatteso i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione”, ribadendo, comunque, che “è vero che il giudice può procedere ad una motivazione per relationem, purchè dia conto, anche in sintesi, delle ragioni della conferma, talchè dalla lettura della parte motiva delle due sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cosa non avvenuta nella specie)”.
Rimetteva, pertanto, il giudizio ad un diverso giudice del rinvio, in applicazione del principio esposto, dopo aver cassato la sentenza d’appello impugnata.
Breve commento
La sentenza esaminata non richiede un’analisi particolare, essendo chiarissimo il principio esposto dalla Suprema Corte. Principio confortato, peraltro, dalla giurisprudenza , anche recentissima, della stessa Cassazione (cfr., da ultimo in tema: Cass. nn, 16057 e 28139 /2018; 22022/2017 e 14786/2016).