06.3 La responsabilità dell’amministratore
06 RAPPRESENTANZA E RESPONSABILITA’ DELL’AMMINISTRATORE
06.3 La responsabilità dell’amministratore
Come più volte rilevato il rapporto tra l’amministratore ed il condominio è ufficialmente inquadrabile nell’ambito del mandato (art. 1129, co. 15, c.c.), talchè il legale rappresentante, quale mandatario del condominio «…..è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore» (art. 1710 c.c.).
L’amministratore, quindi, deve svolgere le attribuzioni conferitegli dalla legge, dal regolamento e dall’assemblea, con perizia, onestà e diligenza osservando non solo le norme del codice civile, ma anche le leggi speciali che riguardano il condominio, mettendo in esecuzione i provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria, le ordinanze del sindaco e così via e curando anche agli atti preparatori e strumentali, nonché quelli ulteriori e complementari rispetto agli incombenti previsti ex lege (Cass. n. 2149/2000).
La responsabilità si ripartisce in civile (contrattuale ed extracontrattuale) e penale.
3.1 Responsabilità civile
Rif.: artt. 2043 e 2051 c.c.
E’ di tipo contrattuale la responsabilità che discende direttamente dalla violazione degli obblighi che derivano dal rapporto di mandato che sussiste tra il rappresentante e l’ente condominio.
Secondo la costante giurisprudenza la responsabilità personale dell’amministratore si configura nel momento in cui sia dimostrato che lo stesso, nell’esecuzione del mandato, ha operato con negligenza.
In questo senso si richiamano due decisioni della Corte di Cassazione:
- «Il condominio risponde, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei danni subiti da terzi estranei ed originati da parti comuni dell’edificio, mentre l’amministratore, in quanto tenuto a provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia delle stesse, è soggetto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., solo all’azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati» (Cass. n. 17983/2014).
- «In tema di risarcimento danni per l’esecuzione di lavori su parti comuni di un edificio condominiale, poiché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da un’omessa vigilanza da parte del condominio nell’esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell’amministratore, in qualità di rappresentante del condominio, il quale, a sua volta, valuterà se agire in rivalsa contro l’amministratore stesso» (Cass. n. 20557/2014).
Quali le responsabilità in capo al rappresentante del condominio qualora i lavori condominiali da questi affidati in appalto ad una ditta siano poi risultati affetti da vizi o difformità?
In questo ambito assume rilevanza l’ipotesi in cui l’assemblea abbia espressamente incaricato l’amministratore di individuare l’impresa, piuttosto che individuarne una tra quelle proposte dai condomini.
Per la delicatezza di tale passaggio sarebbe consigliabile che l’amministratore, a sua preventiva tutela, non accetti un incarico che si potrebbe rivelare per lui stesso fonte di notevoli rischi.
E’, infatti, evidente che l’esecuzione di un contratto di appalto per opere o servizi richiede una serie di adempimenti che, partendo dalla scelta della ditta appaltatrice, del direttore dei lavori e del responsabile della sicurezza, richiede la costante verifica della corretta realizzazione delle opere fino alla consegna delle stesse e d al loro collaudo. Si tratta di passaggi che sono sempre rimessi alle determinazioni dell'assemblea: sicuramente quando si tratti di effettuare lavori di notevole entità economica (art. 1135, n. 4, c.c.) ma nulla esclude che questo possa avvenire anche quando gli interventi ricadano nell'ordinaria amministrazione, in considerazione del fatto che si tratta di incarichi remunerati, il cui compenso richiesto deve essere approvato dai condomini.
L’individuazione dell’impresa è, sicuramente, il momento più delicato perché proprio dalla serietà e capacità della stessa dipende la qualità degli interventi e la loro durata nel tempo. Questo richiede un esame accurato della ditta, delle sue capacità tecniche ed organizzative, delle sue caratteristiche di affidabilità – anche economica – e di sicurezza al fine di essere garantiti che la stessa sia perfettamente in regola con la normativa vigente.
Si rientra, nella fattispecie, nell'ambito delle norme che disciplinano il contratto di appalto rispetto al quale anche per il condominio vale il principio generale secondo cui «l'autonomia dell'appaltatore, il quale esplica la sua attività nell'esecuzione dell'opera assunta con propria organizzazione apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, l'appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall'esecuzione dell'opera (nella specie i danni derivanti dall'esecuzione di lavori di riparazione del tetto di un edificio in condominio). Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c. dal precetto di "neminem laedere", ovvero in caso di riferibilità dell'evento al committente stesso per "culpa in eligendo" per essere stata affidata l'opera ad un'impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l'appaltatore in base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale "nudus minister" attuandone specifiche direttive. In tali casi accertare se ricorra o meno la responsabilità del committente costituisce questione di fatto, come tale rimessa al giudice di merito la cui decisione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata e immune da vizi logici e giuridici» (Cass. n. 11478/2004).
Tale responsabilità si potrebbe spostare sulla persona dell'amministratore allorché l'assemblea abbia affidato al medesimo l'incarico di reperire l'impresa appaltatrice. In questo caso alla culpa in eligendo, per la quale valgono gli stessi criteri di ordine generale, si potrebbe cumulare la c.d. culpa in vigilando. Nella prima ipotesi l'amministratore si potrà liberare da qualsivoglia responsabilità dimostrando di avere utilizzato tutto le cautele del caso nella scelta dell'appaltatore, come ad esempio nel caso in cui le qualità del soggetto siano venute meno dopo la sottoscrizione del contratto di appalto.
Citiamo a questo proposito una interessante pronuncia dei giudici di merito i quali, con una decisione di cui non risultano esservi precedenti, hanno affermato che «in tema di ricostruzione di edificio condominiale, nessuna responsabilità può attribuirsi all’amministratore per presunte difformità dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato, quando i poteri di rappresentanza del medesimo riguardino specificamente l’esazione dei contributi per la ricostruzione, l’individuazione dell’impresa appaltatrice, la stipula del contratto di appalto nonché il materiale pagamento delle somme all’appaltatore (nel caso di specie un condomino aveva lamentato la diminuzione di cubatura e superficie e la diversa ubicazione dell’unità immobiliare esclusiva ricostruita rispetto a quella preesistente la demolizione); eventuali difformità dell’opera realizzata vanno invece imputate all’impresa appaltatrice, giusta la previsione dell’art. 1667 c.c.» (Trib. Ariano Irpino, 23 agosto 2004, in Arch. loc., 2005, 200). Nella fattispecie era stato nominato un consiglio di amministrazione con poteri tassativi e del tutto estranei al profilo tecnico ed alla realizzazione del progetto approvato nel corso dell’assemblea.
Sotto il diverso profilo della culpa in vigilando si è espressa la Corte di Cassazione la quale ha affermato il seguente principio:
«L’amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condòmini. Quest’obbligo non viene meno neanche nell’ipotesi in cui il condominio appalti a terzi lavori riguardanti le parti comuni dell’edificio condominiale, a meno che il compito di vigilare su tali lavori non venga affidato a persona diversa dall’amministratore. Ne consegue che l’amministratore stesso è responsabile del danno alla persona patito da uno dei condòmini, in conseguenza dell’inciampo in una insidia (nella specie, buca nel cortile condominiale) creata dall’impresa cui erano stati appaltati lavori di manutenzione dell’immobile condominiale» (Cass. n. 25251/2008).
Nell'ambito dei lavori condominiali, eseguiti tramite l'installazione di ponteggi esterni, un punto dolente è rappresentato dal verificarsi di furti all'interno di abitazioni private commessi proprio a causa ed in conseguenza della presenza di tali strutture. Sulla questione la Corte, che si è espressa più volte sul punto, ha sostanzialmente definito due principi:
- « In tema di illecito aquiliano, in caso di furto in appartamento consumato avvalendosi dei ponteggi installati per lavori di ristrutturazione dello stabile, dev'essere affermata, a titolo extracontrattuale, la responsabilità dell'appaltatore che per tali lavori si sia avvalso di ponteggi custoditi, negligentemente, in modo inidoneo a impedirne l'uso anomalo anche ad opera di terzi, essendo irrilevante che dette impalcature siano state montate dalla stessa impresa o da altra da essa incaricata, bastandone, invece, la loro avvenuta installazione nell'ambito dell'appalto» (Cass. n. 19399/2016. Vedi Cass. n. 292/2011. Conf. Cass. n. 2844/2005. Nella specie, la Corte di cassazione aveva cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto insussistente la responsabilità civile dell'impresa senza adeguatamente considerare la rilevanza di circostanze quali la mancanza di un'idonea illuminazione dei ponteggi e la mancata rimozione delle scalette mobili che dal primo piano portavano ai piani superiori, essendo il furto avvenuto al terzo piano);
- «Nella ipotesi di furto in appartamento condominiale, commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell'edificio, è configurabile la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2043 c.c., per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedire l'uso anomalo dei ponteggi, nonché la responsabilità del condominio, ex art. 2051 c.c., per l'omessa vigilanza e custodia, cui è obbligato quale soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura» (Cass. n. 26900/2014. Conf. Cass. n. 6435/2009). A tale principio, infine, si è adeguata la Corte (Cass., ord., n. 26691/2018) che, nell'ordinanza di rinvio, ha affermato che il giudice del merito deve sempre esaminare se, nella sequenza causale degli eventi che hanno portato al furto, emerga un profilo di casualità fortuita, in particolare quando a fronte di sollecitazioni vi sia stata un'inerzia dell'impresa a predisporre le cautele necessarie oppure a rimuovere la struttura.
La responsabilità extracontrattuale può ravvisarsi sia nel rapporto tra l’amministratore e terzi estranei al condominio, sia nei confronti del singolo condomino che subisca danni derivati dalla cosa comune. Un caso di scuola è rappresentato dalla responsabilità, in solido, di condominio ed amministratore per i danni patiti dal condomino “in conseguenza dell’inciampo in una insidia all’interno del cortile condominiale” (Cass. n. 25251 cit.).
La responsabilità extracontrattuale dell’amministratore può sussistere anche nei confronti dell’inquilino. Pur non sussistendo alcun dovere contrattuale verso l'inquilino, derivando i propri obblighi di mandatario dall’art. 1130 c.c. è evidente che, l’omessa riparazione, per esempio, di un impianto comune, danneggerà anche il detto conduttore e, pertanto, sussisterà a carico dell’amministratore, una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
Ancora, la Corte Suprema ha ravvisato la responsabilità aquiliana di un amministratore di condominio il quale, in presenza nel complesso condominiale di scritte offensive di un terzo e, quindi di un fatto che integra un reato, non aveva provveduto, una volta sollecitato dalla parte lesa, all’eliminazione delle stesse, evitando in tal modo che il reato fosse portato a ulteriori conseguenze (Cass. n. 9055/2002).
La responsabilità extracontrattuale del condominio può essere alternativa o concorrente rispetto a quella dell’amministratore.
Il condominio può infatti ritenersi responsabile nei confronti dei terzi per i danni che sono conseguenza del fatto illecito dell’amministratore ai sensi dell’art. 2049 c.c., a mente del quale i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici o commessi nell’esecuzione delle incombenze a cui sono adibiti.
3.2 Responsabilità penale
3.2.1. Premessa
Come già accennato può configurarsi in capo all’amministratore anche una responsabilità penale tutte le volte in cui questi, nello svolgimento della propria attività, commetta un illecito che si ricolleghi ad una fattispecie di reato.
L’ordinamento penale distingue, ai fini della comminatoria della pena, i reati in delitti e contravvenzioni. I primi sono sanzionati con la reclusione e con la multa, le contravvenzioni sono sanzionate con l’arresto e con l’ammenda.
Talune fattispecie di rilievo, per ciò che attiene la responsabilità dell’amministratore di condominio, originariamente integranti reati contravvenzionali per una minore intensità offensiva, sono state oggetto di depenalizzazione con provvedimenti legislativi succedutisi nel tempo, ed assoggettate, di conseguenza, a una sanzione di natura amministrativa di carattere pecuniario.
Al di fuori dell’area della depenalizzazione rimangono oggetto di necessaria analisi quelle fattispecie delittuose, previste in particolare dal codice penale, che possono coinvolgere la responsabilità di un’amministratore di condominio anche in ragione della sempre maggiore complessità tecnica di tale attività professionale.
In questo ambito assume rilievo, in particolare la previsione di reati omissivi come anche la forma di manifestazione colposa di essi. In generale i reati si articolano sulla base della ricorrenza, nella fattispecie, di un elemento di carattere oggettivo e di un requisito di valenza soggettiva.
L’ elemento di carattere oggettivo si esplicita in una condotta, attiva o omissiva, rilevante a seconda dei casi, in sé, oppure in quanto essa sia idonea alla produzione di un evento lesivo.
Nel primo caso si avrà una forma di reato definita “di mera condotta” mentre nel secondo caso si avrà un reato cosiddetto “di evento” produttivo di una conseguenza visibile nel mondo naturalistico.
Sul piano soggettivo la condotta può essere dolosa, quando vi sia previsione e volontà di un evento o colposa quando l’evento lesivo non voluto sia prevedibile, evitabile e si verifichi come conseguenza di imprudenza, negligenza, imperizia (casi di colpa generica) o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (casi di colpa specifica).
I delitti sono puniti a titolo di dolo salvo i casi di delitto colposo o preterintenzionale espressamente previsti dalla legge, mentre le contravvenzioni sono punite indifferentemente a titolo di dolo o di colpa.
Il sistema penale distingue poi reati cosiddetti “comuni” che possono essere attuati da qualunque soggetto dell’ordinamento e fattispecie denominate “proprie”, caratterizzate dalla ricorrenza necessaria di una particolare qualità del soggetto attivo.
Sotto il profilo della responsabilità penale dell’amministratore di condominio, possono verificarsi, nella clinica giurisprudenziale, ipotesi del primo tipo di reati comuni, tra i quali si può menzionare la diffamazione o l’appropriazione indebita, come anche condotte del secondo genere, realizzate da un “soggetto attivo delimitato” e definite, pertanto, fattispecie proprie.
Tra le fattispecie di reato proprie assumono valore rilevante quelle previste in materia di igiene e sicurezza del lavoro sotto il profilo dell’assoggettamento dell’amministratore condominiale a responsabilità penale nella sua qualità di garante della sicurezza relativa all’organizzazione dell’ente di gestione da lui amministrato.
3.2.2. Fattispecie penalmente rilevanti
- Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina
Rif.: art. 677 c.p.
Si tratta di una fattispecie, di reato proprio, come si è appena osservato, disciplinata dal Codice penale nel libro terzo, “delle contravvenzioni di polizia”, alla sezione seconda, “contravvenzioni concernenti la pubblica incolumità”, nel capo primo intitolato: “contravvenzioni concernenti l’incolumità delle persone nei luoghi di pubblico transito o nelle abitazioni”.
La disposizione legislativa si articola in tre capoversi, distinti secondo un’intensità crescente di pericolosità della condotta omissiva.
Nella fattispecie di cui al primo capoverso, l’omissione consiste nel non compiere i lavori che sono necessari per rimuovere il pericolo di rovina dell’edificio, mentre nel secondo comma la rilevanza dell’omissione assume un peso decisivo in relazione all’obbligo di rimuovere il pericolo causato dall’avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione.
Il grado di massima pericolosità sociale della condotta, come previsto nella disposizione legislativa, è configurato nel terzo comma dell’art. 677 c.p. ove si prevede il caso in cui si verifichi un pericolo per le persone a seguito dei fatti omissivi appena menzionati.
I primi due capoversi dell’art. 677 sono stati depenalizzati con il D.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 per cui, a prescindere dal verificarsi della situazione di pericolo per pubblica incolumità, alle fattispecie ivi contemplate è applicata una sanzione pecuniaria di tipo amministrativo e non penale, mentre l’ipotesi di cui al comma terzo, incentrata sul pericolo di danni alle persone, è punita con l’irrogazione di una sanzione di carattere penale.
Si tratta di una fattispecie rientrante nella categoria dei reati omissivi posti in essere da chi, essendo proprietario di un edificio o di una costruzione, o da chi è nella posizione di soggetto obbligato alla conservazione e vigilanza della struttura edificata, non effettui i lavori necessari di manutenzione e conservazione, attuando una minaccia di rovina, avente carattere di pericolosità diffuso per il bene della vita o dell’altrui integrità personale.
Secondo la giurisprudenza, sussiste una posizione di garanzia dell’amministratore di condominio, tenuto, in quanto tale, ad effettuare i necessari lavori di rimozione del pericolo derivante da minaccia di rovina e più in generale al dovere di effettuare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza con specifico obbligo di riferirne ai condomini nella prima assemblea ai sensi dell’art. 1135 co. 2, c.c. (Cass. pen. n. 9027/2003). La norma di riferimento è l’art. 40, co. 2, c.p. in virtù del quale sull’amministratore «ricade l'obbligo di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di parti comuni, attraverso atti di manutenzione ordinaria e straordinaria, predisponendo, nei tempi necessari alla loro concreta realizzazione, le cautele più idonee a prevenire la specifica situazione di pericolo. (Fattispecie nella quale l'imputato, amministratore di condominio, è stato ritenuto responsabile delle lesioni colpose provocate ad un passante dalle mattonelle staccatesi dalla facciata dell'immobile)» (Cass. pen. n. 46385/2015).
La pena edittale prevista è data in via alternativa dall’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non superiore ad euro 309,00.
Nel quadro della predisposizione di strumenti idonei a deflazionare il contenzioso penale favorendo una rapida definizione di procedimenti di gravità minore, l’art. 162 bis c.p. dispone che nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto dell’ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento o prima dell’emissione del decreto di condanna una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa oltre le spese del procedimento.
Il pagamento estingue il reato ma il Giudice può tuttavia respingere la domanda di oblazione in relazione alla gravità del fatto.
Sotto quest’ultimo profilo ha, quindi, rilievo, rispetto alla possibile oblazione, il grado di intensità del pericolo, la tempestività dell’intervento e la predisposizione da parte dell’amministratore di strumenti tecnico scientifici idonei a eliminare o almeno contenere il più possibile la situazione di pericolo.
- Lesioni colpose ed omicidio colposo
Rif.: artt. 589/ 590 e 40 c.p.
Ipotizzando una progressione naturale negli eventi, ove non si intervenga nell’immediato, la minaccia di rovina strutturale di un edificio, appena descritta nei connotati essenziali, potrebbe transitare dal pericolo alla effettiva lesione personale o alla morte di uno o più individui.
Si entrerebbe, così, nell’ambito operativo degli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) che riguardano comportamenti omissivi commessi dall’amministratore il quale, ad esempio, non abbia provveduto ad adeguare gli impianti condominiali alle misure di sicurezza prescritte o, più in generale, non abbia osservato gli obblighi, previsti dall’articolo 1139 n. 4 c.c. relativi alla gestione, conservazione e manutenzione delle parti comuni del condominio.
In proposito il Giudice di legittimità, in relazione ai danni provocati a terzi od ai condomini da violazione degli obblighi di garanzia e protezione ha delineato, con pronunce successive ed ormai consolidate nel tempo, il contenuto ed i limiti dei doveri dell’amministratore di condominio. In questo senso vale il principio giurisprudenziale già evocato (ivi Cass. pen. n. 46385/2015) in forza del quale grava sull’amministratore il dovere di attivarsi per evitare danni ai terzi in quei casi tristemente tipici quali il distacco di cornicioni o intonaco; la “pericolosità” delle scale; l’assenza di sicurezza di tutti gli impianti comuni e, più in generale , la sussistenza di rischi che provengano da beni e servizi comuni.
L’obbligo di attivarsi non è subordinato alla preventiva deliberazione assembleare ovvero ad apposita segnalazione di pericolo tale da rendere opportuno, se non necessario, un intervento di urgenza (Cass. pen. n. 34147/2012). In tale ambito l’intervento urgente dell’amministratore non sarà di carattere ripristinatorio, ma avrà la natura di azione di “contenimento del pericolo”, ad esempio attraverso la segnalazione di esso con transennamento o speciale illuminazione o anche attraverso la rimozione di elementi immediatamente pericolosi per la salute pubblica.
La lesione colposa, in particolare, produce una malattia ed è qualificata lieve, grave o gravissima in base al crescente grado di intensità della malattia stessa: nella lesione di lieve intensità la malattia ha una durata inferiore ai 20 giorni mentre la malattia è permanente nella lesione gravissima, ove si configura un danno insanabile consistente nella perdita di un arto o di un organo.
La lesione colposa è sanzionata nella forma lieve con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino ad euro 309,00, la sanzione penale è aumentata fino alla reclusione da uno a sei mesi o la multa da 123,00 a 619,00 euro per la lesione grave e con la reclusione da tre mesi fino a due anni o con la multa da 500,00 a 2000,00 euro per la lesione gravissima.
È previsto un ulteriore aumento di pena nel caso di violazione di norme sulla prevenzione di infortuni sul lavoro o di lesioni personali che coinvolgano più persone come soggetti offesi dal reato.
Si tratta di un delitto perseguibile a querela della persona offesa salvo procedibilità di ufficio nel caso di violazione della normativa inerente la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
- Ingiuria e diffamazione
Rif.: artt. 594 e 595 c.p.
L’ingiuria consiste nell’offesa all’onore o al decoro di una persona presente, sanzionato in maniera più afflittiva nel caso in cui l’espressione offensiva consista nell’attribuzione di un fatto determinato o sia proferita in presenza di più persone.
Integra la fattispecie, secondo la giurisprudenza, anche l’invio a soggetti diversi dalla persona offesa di una mail contenente espressioni offensive con la consapevolezza che essa sarebbe comunicata al soggetto offeso (Cass. pen. n. 24325/2015), anche se di recente è stato affermato che «l'invio di una "e-mail" dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell'eventualità che tra questi vi sia l'offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione» (Cass. pen. n. 13252/2021).
I D.lgs. nn. 7 ed 8 del 15 gennaio 2016, emanati a seguito della legge delega n. 67 del 28 aprile 2014 hanno depenalizzato una serie di reati, trasformandoli in altrettanti illeciti civili, soggetti a sanzioni pecuniarie.
Il reato di ingiuria, disciplinato in passato dall’art. 594 c.p. è stato così abrogato dall’art. 1 del D.Lgvo n. 7 ed è punibile con una sanzione, anche rateizzabile, di entità variabile in ragione della gravità della violazione; della reiterazione dell’illecito; delle condizioni economiche dell’agente; del comportamento dell’agente per eliminare o attenuare le conseguenze dell’illecito.
La diffamazione (art. 595 c.p.) è un delitto che lede l’onore o il decoro di una persona e che trova articolazione nella condotta di chi offende la reputazione altrui comunicando con più persone in assenza della persona offesa. Oltre alla forma semplice è prevista, anche qui, un‘ ipotesi aggravata nel caso in cui l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato.
L’amministratore di condominio, pertanto, incorre nella responsabilità penale per diffamazione qualora, anche nel caso tipico di imminente distacco delle forniture d’opera necessarie alla vita condominiale, renda noti i nominativi dei condomini morosi tramite mezzi accessibili ad una pluralità di persone, anche estranee alla compagine condominiale. In tale ipotesi è consentito solo utilizzare modalità comunicative, potenzialmente accessibili a terzi estranei al condominio, come l’affissione di informazioni nell’androne comune o nelle apposite bacheche destinate alle informazioni ai condomini, ma a condizione che tale avviso non indichi i nomi dei soggetti inadempienti. In tal senso è stato affermato che «in tema di diffamazione, la comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale integra il reato di cui all'art. 595 cod. pen., non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di tali fatti ancorché veri» (Cass. pen. n. 39986/2014. Conf. Cass. pen. n. 35543/2007).
Sono ovviamente rilevanti, ai fini della/e fattispecie in esame, i casi di espressioni lesive dell’altrui onore pronunciate in assemblea o eventualmente pubblicate nel sito internet condominiale o in altro modo accessibili anche a terzi.
- Appropriazione indebita
Rif.: art. 646 c.p.
L’ appropriazione indebita è un delitto contro il patrimonio che si articola nella condotta di chi si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia il possesso al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto.
Secondo la giurisprudenza le ipotesi di consumazione del reato sono molteplici e, quindi:
«risponde del reato di appropriazione indebita l'amministratore di più condomìni che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomìni su un unico conto di gestione a lui intestato, senza che rilevi la destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell'amministratore o dei condomìni amministrati, in quanto tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento» (Cass. pen. n. 46875/2021);.
«integra il delitto di appropriazione indebita, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il prelievo da parte dell'amministratore di condominio di somme di denaro depositate sui conti correnti dei singoli condomìni, dei quali egli abbia piena disponibilità per ragioni professionali, con la coscienza e volontà di farle proprie a pretesa compensazione con un credito preesistente non certo, né liquido ed esigibile» (Cass. pen. n. 12618/2019);
«l'amministratore di più condomìnii che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomìnii su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell'amministratore o ad esigenze dei condomìnii amministrati, in quanto tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento» (Cass. pen. n. 57383/2018);
«integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore condominiale che, ricevute le somme di denaro necessarie dai condomini, ometta di versare i contributi previdenziali per il servizio di portierato» (Cass. pen. n. 41462/2010);
Ai fini della configurabilità del delitto in questione occorre, sul versante del dato volontaristico, il dolo cosiddetto specifico, che si identifica nella volontà di realizzare un profitto ingiusto.
Prima della riforma del 2012 la mancanza di specifiche e coerenti indicazioni legislative circa la necessità di fare transitare le somme di spettanza dell’ente condominio su di un apposito conto corrente, portava ad una possibile confusione tra il patrimonio dell’amministratore e quello del singolo condominio, come anche tra le risorse dei vari condomini gestiti dallo stesso amministratore.
Il vuoto legislativo, ora colmato dal novellato art. 1129, co. 7, c.c. che, da un lato, obbliga l’amministratore a fare transitare su di un apposito conto corrente bancario o postale, intestato al condominio, tutte le somme di pertinenza del condominio e, dall’altro, consente un costante controllo da parte dei condomini sulla gestione finanziaria del condominio, favoriva – senza ombra di dubbio - la mancanza di trasparenza nell’operato dell’amministratore.
Altro aspetto importante della questione concerne l’individuazione del momento in cui il reato in esame si consuma. Ad avviso della Corte di cassazione, infatti, « il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l'agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione» (Cass. pen. n. 15735/2020).
In ragione di tale principio del tutto consolidato la Corte Suprema ha ritenuto il delitto de quo consumato, all’atto della cessazione della carica dell’ex amministratore del condominio, nel momento in cui in mancanza di restituzione dell’importo delle somme ricevute nel corso della gestione si fosse verificata con certezza l’interversione del possesso (Cass. pen. n. 19519/2020). Questo comporta che nei confronti dell’amministratore cessato dalla carica l’aggravante di cui all’art. 61, n. 7, c.p. deve essere riferita all’unicità del danno causato al condominio, a prescindere dai singoli segmenti di condotta progressivamente attuati (Cass. pen. n. 11323/2021).
La condanna definitiva di un amministratore per violazione dell’art. 2, co. 1 e co.1 bis l.n. 638/83, ovvero omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali che costituiscono un’ipotesi speciale del reato di appropriazione indebita, rappresenta - alla luce della novella introdotta dalla l. n. 220/2012, introduttiva dell’art. 71 bis disp. att. c.c. - una causa ostativa allo svolgimento dell’incarico di amministratore condominiale.
Quanto alle “forme di manifestazione del delitto”, si può osservare, come al modo “semplice” di manifestazione, sanzionato con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad euro 1032,00, possano affiancarsi ipotesi sia aggravate che attenuate.
Le ipotesi concernenti le aggravanti comuni di più frequente rilievo applicativo, determinanti un aumento di pena edittale fino ad un terzo, sono quelle previste dall’art. 61 ai numeri 7 e 11 c. p. La prima di esse si identifica nell’aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante entità (Trib. Roma n. 12910/2004), mentre la seconda concerne un fatto di appropriazione indebita commesso con abuso di prestazione d’opera. (Cass. pen. n. 3462/ 2005).
Quanto alle circostanze attenuanti, determinanti una diminuzione di pena fino ad un terzo, ricorrono eventualmente quelle previste dall’art. 62 c.p. ai numeri 4 e 6.
In particolare, l’attenuante di cui al n. 4 consiste nell’aver: «nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’aver agito per conseguire o l’aver comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso sia di speciale tenuità».
L’attenuante di cui al numero 6, invece, consiste nell’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, o nell’essersi spontaneamente ed efficacemente adoperato per elidere o attenuare le conseguenze dannose del reato.
L’appropriazione indebita è perseguibile a querela di parte nella forma semplice e di ufficio nella forma aggravata di cui all’art. 61 n. 11 già menzionato.
Per esso è previsto l’arresto facoltativo in flagranza e la comminatoria di misure coercitive ed è assoggettato alla competenza del tribunale monocratico.
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- Inosservanza dei provvedimenti della pubblica autorità
Rif.: art. 650 c.p.
La norma richiamata contempla una contravvenzione applicabile all’amministratore che abbia omesso di dare corso ad un provvedimento, avente ad oggetto opere od attività da eseguire sulle parti comuni dell’edificio condominiale ed emesso dall’autorità per ragioni di sicurezza pubblica o di igiene.
In giurisprudenza si è osservato come non costituisca reato il fatto dell’inottemperanza dell’amministratore all’ordine del sindaco emesso nell’interesse di un unico condomino, là dove la responsabilità sussiste quando il provvedimento riguardi parti e servizi comuni che costituiscono l'oggetto del mandato. Sul punto, infatti, con risalente decisione (Cass. pen. n. 3510/1986) è stato affermato che «ai fini della sussistenza delle ipotesi di reato di cui all'art. 650 c. p. (inosservanza di provvedimenti dell'autorità), è necessario che il provvedimento sia emesso esclusivamente per ragioni di giustizia e di sicurezza, di ordine pubblico o di igiene della collettività, e non di privati individui. (nella specie, relativa a ritenuta insussistenza del reato l'imputato, amministratore di condominio, non aveva osservato il provvedimento con il quale il sindaco gli aveva ordinato, nello interesse specifico di un condomino, di adottare gli opportuni accorgimenti per ridurre l'intensità dei rumori conseguenti all'uso dell'impianto di riscaldamento)». Costituisce invece reato l’inosservanza dell’ordine del sindaco avente ad oggetto l’opera di predisposizione di transenne attorno al perimetro di un edificio per ragioni di sicurezza (Cass. pen. n. 5451/1995).
La sanzione prevista è data dall’arresto fino a tre mesi o dall’ammenda fino ad euro 206,00.
3.2.3 Osservanza di norme speciali concernenti le parti comuni
Va da ultimo rilevato che nel corso degli anni il legislatore ha emanato una nutrita serie di provvedimenti normativi il cui obiettivo era ed è quello di garantire la sicurezza degli edifici, dei soggetti che vi abitano o che vi lavorano e, comunque, di tutti coloro che vi hanno accesso. Parimenti è stata dedicata particolare attenzione ai soggetti che sono alle dirette dipendenze del condominio.
Si tratta di una legislazione sempre in divenire, poiché muta con il cambiamento e con l’avanzare della tecnologia, che sempre di più si impadronisce anche della sfera condominiale e che deve, in ogni caso, rispettare ed integrarsi con le direttive europee di settore.
La presenza in tutte le discipline applicabili al condominio di norme sanzionatorie significa che l’amministratore, là dove si trovi in presenza di disposizioni coercitive deve intervenire senza dover richiedere assensi assembleari. Eventuali danni a cose e persone conseguenza di omissioni da parte dell’amministratore lo renderanno penalmente responsabile.
La legislazione di riferimento, a mero titolo esemplificativo, concerne:
- l’eliminazione e smaltimento delle parti comuni (tetti e canne fumarie) costituite da amianto come previsto dalla legge base n. 257/1992 come integrato dal D.Lgvo n. 81/2008;
- l’installazione, la conduzione e la manutenzione (ordinaria e straordinaria) degli impianti di risalita a far data dal D.P.R. n. 162/1999 e successive modifiche;
- il rispetto della normativa anti-incendi, con particolare riferimento alle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di autorimesse condominiali;
- le disposizioni preordinate a garantire la regolarità degli impianti elettrici a partire dalla legge n. 46/1990 e successive modifiche ed integrazioni;
- gli impianti centralizzati di riscaldamento ed il loro adeguamento alla legge sulla contabilizzazione del calore;
- la sicurezza sul lavoro per i dipendenti subordinati del condominio e per lavoratori cui il condominio appalta lavori di manutenzione o di ristrutturazione dello stabile: D.Lgvo n. 626/2004, n. 494 /1996 e n. 528/1999 – sostituiti dal D.Lgvo n. 81/2008;
- la tutela delle acque: Legge 10 maggio 1976 n. 319 sostituita dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152
- la normativa in materia di piscine: Intesa Stato-Regioni del 17 febbraio 1992 e successiva rivisitazione del 16 gennaio 2003 avente ad oggetto la disciplina inerente agli aspetti igienico sanitari delle piscine anche condominiali; D. Lgvo n. 25/ 2002 inerente alla sicurezza sul lavoro allorchè siano utilizzate sostanze chimiche pericolose – sostituito dal D. Lgvo n. 81/2008.
MANUALE GIURIDICO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO a cura di Adriana Nicoletti - Avvocato del Foro di Roma - Foroeuropeo – Rivista Giuridica online - Reg. n. 98/2014 Tribunale di Roma - Registro speciale Ordine Giornalisti del Lazio - Direttore Avv. Domenico Condello