10.2 Regolamento contrattuale e regolamento assembleare
10 IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
10.2 Regolamento contrattuale e regolamento assembleare
Per la giurisprudenza (Cass. n. 19798/2014) ha natura contrattuale «il regolamento di condominio, predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio, vincola chi abbia acquistato le singole unità immobiliari successivamente alla sua predisposizione purché richiamato ed approvato nei singoli atti di proprietà, in modo da far parte "per relationem" del loro contenuto. (Nella specie, la S.C., in base all'enunciato principio, ha escluso che fosse opponibile a tutti i condomini un regolamento che si trovava depositato presso uno studio notarile e che non risultava neppure trascritto nel registro di cui all'art. 1138, terzo comma, cod. civ., secondo la formulazione "ratione temporis" applicabile)».
L'obbligo, assunto con il contratto di acquisto di un'unità immobiliare di un fabbricato, di rispettare il regolamento di condominio, che sarà predisposto dal costruttore (c.d. regolamento futuro), non vale a conferire a quest'ultimo il potere di redigere un qualunque regolamento, né può comportare l'approvazione di un regolamento attualmente inesistente, atteso che solo il concreto richiamo nel singolo atto d'acquisto di uno specifico regolamento, già esistente, consente di considerarlo, "per relationem", parte di tale atto (Cass. n. 5657/2015).
Contrattuali sono anche i regolamenti adottati in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini (Cass. n. 1748/2013).
Il regolamento contrattuale (o convenzionale o negoziale), anche se non inserito nel testo del contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell’edificio condominiale, fa corpo con esso, ove sia espressamente richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto. Nella specie, trattandosi di relatio perfetta, in quanto il richiamo contenuto nei singoli contratti è opera di entrambi i contraenti, le singole clausole del regolamento di condominio restano fuori della previsione legislativa di cui all’art. 1341, comma 2 c.c. (Cass. n. 8279/1999). Questo tipo di regolamento potrà contenere, oltre i millesimi di proprietà e le varie tabelle di ripartizione delle spese, norme limitative dei diritti di proprietà sulle cose comuni (es. divieto di usare il cortile comune per parcheggiare le automobili) e su quelle individuali (es. divieto di destinare l’appartamento ad ufficio).
La limitazione dei poteri e delle facoltà del condomino deve essere volta al fine di assicurare un maggior godimento collettivo dell’edificio, non potendo le stesse, se non espressamente approvate, comprimere senza valido motivo il diritto di proprietà esclusiva del condomino.
Si parla, in questo caso di «oneri reali» o «servitù» che, trascritti, vincolano – come si vedrà – anche i successivi acquirenti del singolo appartamento a titolo particolare.
Nei regolamenti contrattuali hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono sui diritti soggettivi dei condomini, mentre hanno natura regolamentare quelle concernenti le modalità d’uso delle cose comuni ed in generale l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (Cass. n. 17694/2007).
Al contrario il regolamento disciplinato dall’art. 1138 c.c. è di natura assembleare.
Delimitato nel suo contenuto, in quanto le relative norme sono dirette all’uso delle cose comuni ed alla ripartizione delle spese (secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino) nonché alle disposizioni per la tutela del decoro dell’edificio ed all’amministrazione, deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza prevista dall’art. 1136, co. 2, c.c.
Esso non può disciplinare i diritti dei condomini sulle parti comuni dell’edificio e su quelle di proprietà esclusiva.
Il regolamento assembleare può essere impugnato dinanzi all’autorità giudiziaria nel termine di trenta giorni dalla deliberazione che lo ha approvato, con le stesse decorrenze previste per l’impugnativa delle delibere assembleari. Decorso infruttuosamente detto termine il regolamento ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti (art. 1107 c.c.).
L'interpretazione di un regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Ne consegue che il ricorrente per cassazione che denunzi un vizio di motivazione della sentenza sotto il profilo dell'omesso ed errato esame di una disposizione del regolamento di condominio, deve precisare specificamente nel ricorso, non solo il contenuto del regolamento, almeno nelle parti salienti, ma anche, sia pure in maniera sintetica, quali regole di ermeneutica sono state violate, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del preteso errore (Cass. n. 1406/2007. Conf. Cass. n. 21307/2016).
Con particolare riferimento al divieto di destinazione degli appartamenti a determinati usi, si deve considerare che l’esatto significato lessicale delle espressioni adoperate non può non corrispondere all'intenzione comune delle parti, allorché i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso significato tecnico-scientifico, proprio di determinate nozioni specialistiche, non necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni (Cass. n. 14460/2011. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in presenza di una clausola recante il divieto di destinare gli appartamenti ad uso "di gabinetto di cura malattie infettive o contagiose", aveva escluso la possibilità di adibire l'immobile a studio medico dermatologico, senza tener conto dell'intero contenuto della clausola in questione e senza accertare l'effettiva destinazione dell'immobile, desumendola non da elementi di fatto concreti ma dalla sola specializzazione medica del proprietario del bene).
Per quanto concerne «l’interpretazione delle clausole di un regolamento contrattuale contenenti criteri convenzionali di ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle cose comuni è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale ovvero per l'omesso esame di un fatto storico, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.» (Cass., ord., n. 23128/2021).
E’ stato anche affermato che «le prescrizioni del regolamento aventi natura solo organizzativa, come quelle che disciplinano la facoltà di accesso ai documenti contabili, possono essere interpretate, giusta l'art. 1362, co.2, c.c., anche alla luce della condotta tenuta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche "per facta concludentia", in virtù di comportamento univoco» (Cass., ord., n. 12579/2017. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, a fronte di una clausola del regolamento che imponeva all’amministratore di trasmettere ad ogni condomino, almeno dieci giorni prima della riunione convocata per la relativa approvazione, copia dei preventivi e dei rendiconti, nonché di tenere a disposizione, per lo stesso periodo, documenti e giustificativi di cassa, ne aveva ritenuto legittima l'interpretazione consistente nella fissazione, nell'avviso di convocazione, di un unico giorno per consentire, previo appuntamento, la visione della contabilità, siccome conforme alla prassi tenuta dagli amministratori avvicendatisi nell'ultimo decennio).
Quanto, poi, alla «clausola del regolamento di condominio che, per i casi di contrasto tra condomini, preveda l'obbligo di esperire il tentativo di amichevole composizione della lite, non integra una clausola compromissoria, sicché da essa non può derivare alcuna preclusione all'esercizio dell'azione giudiziaria, giacché i presupposti processuali per la validità del procedimento sono stabiliti nel pubblico interesse e possono trovare il loro fondamento soltanto nella legge e non nell'autonomia privata» (Cass., ord., n. 4711/2022).
Nel silenzio della legge si ritiene che la modifica del regolamento, prevista dall’art. 1138 c.c., possa avvenire con le medesime maggioranze necessarie alla sua approvazione (e quindi a seconda del suo contenuto anzi meglio del contenuto da modificare).
Il requisito della forma scritta ad substantiam, elemento essenziale per la validità dell’atto, deve reputarsi necessario anche per le modificazioni del regolamento di condominio, perché esse, in quanto sostitutive delle clausole originarie del regolamento, non possono non avere i medesimi requisiti delle clausole sostituite, dovendosi, conseguentemente, escludere la possibilità di una modifica per il tramite di comportamenti concludenti dei condomini (Cass. n. 18665/2004).
MANUALE GIURIDICO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO a cura di Adriana Nicoletti - Avvocato del Foro di Roma - Foroeuropeo – Rivista Giuridica online - Reg. n. 98/2014 Tribunale di Roma - Registro speciale Ordine Giornalisti del Lazio - Direttore Avv. Domenico Condello