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Avvocati - Il CNF annulla la proclamazione alla carica di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma dell’Avv. P. D. T.

Il Consiglio nazionale forense, visti gli artt. 36 L. n. 247/2012; 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113 e 11 quinquies del Decreto Legge 14 dicembre 2018, n. 135 (come inserito dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n.12), accerta e dichiara l’ineleggibilità dell’Avv. P. D. T. e ne annulla la proclamazione alla carica di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma.  Consiglio Nazionale Forense, Decisione n. 10 del 18.1. 2020 – Dovrebbe subentrare l’avv. Massimiliano Cesali, primo dei non eletti.

Consiglio Nazionale Forense, Decisione n. 10 del 18.1. 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il Ministero della Giustizia, in Roma, presenti i Sign.i:

Omissis

MOTIVI

1. Prima di entrare nel merito del reclamo sottoposto alla sua decisione, questo Consiglio non può esonerarsi dall’osservare come l’intero quadro normativo di riferimento relativo al c.d. divieto di terzo mandato, malgrado i chiarimenti forniti dalla Corte Costituzionale e l’amplissimo dibattito che si è potuto registrare, sia tutt’altro che di facile lettura ed interpretazione, e come l’affastellarsi di norme sulla disposizione di principio contenuta nella Legge professionale (art. 28, comma quinto, legge 247/2012) abbia evidenziato una tecnica legislativa (al di là della scelta operata, perché della sola formulazione oggi si discute) tutt’altro che ineccepibile.

Riconsegnata, dunque, a questo Giudicante una materia certo non priva di lacune e di diversi possibili percorsi ermeneutici, come chiaramente è emerso dalla discussione e dalle conclusioni orientate al rigetto del Procuratore generale, occorre oggi ripercorrere l’intera controversia già denunciata all’attenzione della Corte costituzionale e, alla luce della sentenza da quest’ultima resa in data 17 luglio 2019, accogliere l’interpretazione delle norme applicabili più coerente e ragionevole.

Pare opportuno, nell’intraprendere tale irto cammino, considerare il percorso logico argomentativo in base al quale la Consulta ha ritenuto la conformità ai principi costituzionali della normativa, seriamente dubitata e denunciata da questo Consiglio, un enunciato in filigrana dal quale non è possibile, né opportuno, prescindere.

Il Giudice delle leggi ha ritenuto ragionevole il divieto di terza elezione consecutiva e con esso la compressione del diritto all’elettorato attivo e passivo degli iscritti ad un ente associativo qual è il Consiglio dell’Ordine in quanto «circoscritto» dal Legislatore, il quale impedisce la candidatura i) esclusivamente per un terzo mandato “consecutivo” ii) la consente una volta decorsa una tornata elettorale successiva al secondo; iii) e rende infine, comunque, possibile il terzo mandato ove uno dei due precedenti non abbia raggiunto la durata dei due anni.

Analizzando nello specifico il dictum della Corte, si deve ritenere, dunque, che:

a) la legge vieti esclusivamente un terzo mandato “consecutivo”;

b) nel computo dei due mandati consecutivi rilevanti non si debba tener conto di quelli che non abbiano «raggiunto la durata dei due anni»;

c) la rielezione sia consentita quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato.

Ricapitolando, nella ricognizione dei mandati rilevanti ai fini dell’applicazione del divieto occorre verificare la presenza di due precedenti mandati espletati consecutivamente tra loro; 

e al ricorrere di tale prima condizione, necessita ancora verificare che entrambi i mandati abbiano raggiunto la durata di due anni.

2. Così enunciato, il principio può apparire di facile applicazione ma, in realtà, è giocoforza osservare come il profilo interpretativo più complesso sia dato proprio dall’individuazione dei mandati “consecutivi” computabili ai fini del divieto di terza elezione. A tal proposito occorre innanzitutto osservare come risulti accertato che rilevino anche i mandati precedenti all’entrata in vigore (21 luglio 2017) della L. n. 113/2017, in quanto il decreto legge (D.L. 135/2018) di interpretazione autentica, poi convertito nella Legge n. 12/2019, prevede che siano «compresi quelli iniziati anteriormente all’entrata in vigore della Legge 31 dicembre 2012, n. 247» (ipotesi esclusa, per generale contraria interpretazione, prima della sentenza della Cassazione n. 32761/2018 del dicembre scorso). Rimane, tuttavia, da verificare come effettuare il conteggio a ritroso, e cioè se si debba far riferimento esclusivo agli ultimi due mandati precedenti alle elezioni da svolgere, oppure occorra risalire nel tempo, considerando anche precedenti mandati elettorali.

Per risolvere tale questione deve sciogliersi in primo luogo il nodo evidenziato dal Procuratore generale, ovvero verificare se dal conteggio vadano esclusi quelli definitivamente conclusi anteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 247/2012, ossia anteriori al 2 febbraio 2013, in tal modo valorizzando il dato letterale della disposizione che distingue tra mandati «espletati» e mandati «iniziati», così da circoscrivere la rilevanza temporale del precetto (tesi sostenuta dal Procuratore generale); ovvero siano computabili tutti i mandati precedenti purché consecutivi.

A questo proposito non può tacersi che la Corte costituzionale, nel ritenere conforme alla Carta l’applicazione del divieto anche ai mandati svolti precedentemente rispetto all’entrata in vigore delle disposizioni legislative che lo contemplano, non ha differenziato il trattamento legislativo dei mandati soltanto iniziati o anche conclusisi prima di tale momento. Tale considerazione, unitamente al senso complessivo fatto palese dal testo di legge (art. 12 preleggi), induce questo Giudicante a ritenere che le diverse dizioni «iniziati» «espletati» riferite ai mandati computabili siano da attribuire ad un’opzione stilistica più che ad un’effettiva voluntas legis volta a differenziare le due ipotesi.

3. In secondo luogo, occorre verificare se il mandato, naturalmente infrabiennale, svolto in prima applicazione della legge n. 113/2017, abbia valenza interruttiva della consecutività tra mandati stigmatizzata dalla norma di divieto.

Valorizzando il tenore testuale della pronuncia della Consulta, nonché la circostanza che sia proprio la stessa Corte ad individuare il parametro di ragionevolezza della scelta legislativa nei contrappesi temporali individuati dal legislatore (durata superiore al biennio del mandato/possibilità di rielezione), potrebbe sostenersi che nella ricognizione dei mandati 

rilevanti ai fini dell'applicazione del divieto si debba tener conto esclusivamente degli ultimi due espletati consecutivamente tra loro senza andare a ritroso nel tempo.

La stessa Consulta sottolinea, difatti, come la previsione contenuta nella L. n. 113/2017 risulti limitata rispetto al «divieto di immediata candidatura dopo lo svolgimento di “due mandati” già previsto dall’art. 28, comma 5, della L. 31 dicembre 2012, n. 247». «Il censurato art. 3, comma 3, della successiva L. n. 113 del 2017», prosegue la Corte, «riproduce tale divieto in forma anche più circoscritta, in quanto impedisce la candidatura esclusivamente per il terzo mandato “consecutivo”, di conseguenza consentendola una volta decorsa una tornata elettorale dopo l’espletamento del secondo mandato consecutivo; e rendendo poi, comunque, possibile il terzo mandato consecutivo ove uno dei due precedenti mandati non abbia raggiunto la durata di due anni».

Questa lettura della disposizione farebbe sì che in presenza di un penultimo o un ultimo mandato di durata inferiore ai due anni, la terza elezione sarebbe consentita, nonostante cursus molto lunghi nella carica di Consigliere. Così ragionando, dunque, il mandato infrabiennale varrebbe ad interrompere la consecutività sanzionata dalla disposizione di divieto; non sarebbe computabile come mandato rilevante ai fini del divieto essendo di durata ritenuta non significativa, ma sarebbe comunque rilevante ai fini di rielezioni future, consentendo, dunque, altri due successivi mandati quadriennali.

Tale interpretazione, sicuramente rispettosa del disposto normativo e della lettera della sentenza della Consulta, renderebbe irrilevanti esperienze molto lunghe di esercizio della funzione consiliare, permettendo la rielezione in presenza di un ultimo (o penultimo) mandato infrabiennale al quale verrebbe attribuita una valenza interruttiva della consecutività. In buona sostanza, quest’ultimo avrebbe una sorta di capacità sterilizzante del corso dei mandati, restituendo la qualità di neofita anche a soggetti che abbiano per tanti anni ricoperto la carica.

Tuttavia, un tale esito appare a questo Consiglio non soltanto incompatibile con la ratio del sistema, per come quest’ultima emerge dalle pronunzie della Cassazione e della Consulta, ma potrebbe considerarsi forse anche una forzatura del dato testuale. Ove la legge statuisce che dei mandati infrabiennali «non si tiene conto ai fini del rispetto del divieto di cui al secondo periodo del comma 3”, l’art. 3, comma 4, L. n. 113/2017», afferma semplicemente che i mandati troppo brevi non sono utili ad integrare la preclusione alla ricandidatura, e non anche gli stessi interrompano la consecutività e debbano essere considerati utili a integrare una soluzione di continuità. La consecutività è un fatto (storico e giuridico insieme) del tutto incontrovertibile, e la legge, nel sancire che i consiglieri non possano «essere eletti per più di due mandati consecutivi» preclude non solo il terzo mandato, ma ovviamente anche l’eventuale ulteriore mandato pur se preceduto da un mandato infrabiennale. 

4. Superate le preliminari questioni interpretative, occorre ora occuparsi (su specifico stimolo della difesa dei controinteressati) dell’aspetto relativo alla modalità di calcolo della durata dei mandati espletati in regime ordinario, ovvero svolti nella durata biennale prevista dalla normativa prima della nuova legge professionale (art.1 D.L. 26 febbraio 1948 n.174): si tratta, in sostanza, di valutare se la durata vada riferita alla previsione generica della legge (1 gennaio/31 dicembre dell’anno successivo) o se si renda necessario valutare caso per caso il decorso del tempo dall’(elezione o) insediamento effettivo del consiglieri all’Ordine sino alla scadenza effettiva o a quella dell’eventuale (ma inevitabile) prorogatio.

A parere del Giudicante, l’unica interpretazione in grado di dare un significato al riferimento biennale considerato rilevante dalla normativa applicabile è quella di aver a mente e prendere in considerazione la durata legale del mandato, quella cioè indicata dalla legge e da questa prevista per i trascorsi incarichi di consigliere (e così più volte ricordata agli artt. 1 e 2 D.L. 174/1948); diversamente ritenendo, tutti i mandati precedenti (eccezion fatta per quelli prorogati dalla Legge n. 247/2012) o sarebbero di durata infrabiennale o l’eventuale maggior durata deriverebbe da vicende fattuali del tutto casuali, quali la data di effettivo svolgimento delle elezioni o quella dei giorni di effettivo svolgimento, vicende inadeguate a giustificare una disparità di trattamento tra soggetti aventi tutti ricoperto analogo ruolo ed in periodi consiliari contemporanei. A tale dirimente considerazione si aggiunga ancora che la dizione della legge («durata di due anni») sembra più appropriata ad una previsione legale che non volta a richiedere al Giudicante un effettivo calcolo e una specifica misurazione.

5. Nel caso di specie l’Avv. P.D. T. ha ricoperto la carica di Consigliere per le consiliature 2008/2009; 2010/2011; 2012/2013 prorogata al settembre 2017; ed infine dal 28/09/2017 a tutto il 2018.

Alla luce di tale ricostruita vicenda consiliare e delle considerazioni Interpretative sopra richiamate, il ricorso presentato dall’Avv. Massimiliano Cesali risulta fondato in quanto I’Avv. D.T. ha ricoperto l’incarico di Consigliere dell’Ordine dal 2008 e cioè per tre mandati biennali (l’ultimo prorogato), a tacer dell’ultimo mandato infrabiennale da non computarsi nel calcolo per tale sua breve durata, ma insuscettibile peraltro di interrompere la consequenzialità. Da ciò consegue l’accoglimento dello spiegato reclamo, respinta ogni diversa argomentazione o istanza.

Quanto alle conseguenze della declaratoria di ineleggibilità, l’art.16 della L. 113/2017 - nello statuire la regola del subentro del primo dei non eletti in caso di «morte, rinunzia, dimissioni, decadenza, impedimento permanente per qualsiasi causa» di uno o più consiglieri - adotta una soluzione volta a comprendere tutte le ipotesi di impedimento a ricoprire l'ufficio senza più distinguere, come invece poteva ritenersi nel sistema previgente, tra ipotesi da decadenza dell’incarico ex nunc per morte e dimissioni, ed ex fune per ineleggibilità (Cass. S.U., 24.11.2011, n. 24812).

L’ampio riferimento alle ipotesi di «decadenza» utilizzato dall’art. 16 della L. n. 113/2017, disponendo in ogni caso lo scorrimento della graduatoria atteso il sistema plurinominale di espressione delle preferenze, offre una soluzione ispirata ai principi di economicità dell’azione amministrativa e più funzionale a garantire l’immediato ripristino della legittima composizione dell’ente.

Ai sensi dello stesso art. 16 L. 113/2017, ogni conseguenza derivante dalla dichiarazione di ineleggibilità spetta al COA, che deve provvedere all’integrazione improrogabilmente nei trenta giorni successivi al verificarsi dell'evento, i.e. alla notificazione della decisione sul reclamo.

P.Q.M.

Il Consiglio nazionale forense, visti gli artt. 36 L. n. 247/2012; 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113 e 11 quinquies del Decreto Legge 14 dicembre 2018, n. 135 (come inserito dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n.12), accerta e dichiara l’ineleggibilità dell’Avv. P.D. T. e ne annulla la proclamazione alla carica di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 19 settembre 2019.