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Legittimi i compensi e gettoni di presenza  a favore dei componenti del CNF - Consiglio di Stato, sentenza n 1616 del 24.2.2021

La possibilità di prevedere compensi e gettoni di presenza a favore dei componenti del CNF può quindi considerarsi rientrante nell’ampio potere regolamentare riconosciuto allo stesso Organo dagli articoli 35, comma 1, lettera b), e 37 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, in relazione al “funzionamento” dell’organo medesimo, anche in correlazione con la maggiore ampiezza dei compiti “esterni” attribuitigli dal legislatore del 2012, come in precedenza evidenziato

 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Consiglio di Stato 

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

omissis

FATTO e DIRITTO 

1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per il Lazio, il Sindacato Avvocati di Bari unitamente ad alcuni avvocati iscritti all’Ordine professionale, impugnavano il Regolamento adottato dal Consiglio Nazionale Forense l’11 dicembre 2015, relativo a rimborsi spese e gettoni di presenza dei Consiglieri nazionali, nella parte in cui esso prevede un gettone di presenza forfettario annuale, oltre al rimborso spese, pari ad euro 90.000 per il Presidente, ad euro 50.000 per il Vicepresidente, ad euro 70.000 per il Consigliere segretario e ad euro 50.000 per il Tesoriere, oltre accessori di legge (art. 3); nonché un gettone di presenza per la partecipazione a ogni seduta amministrativa o udienza giurisdizionale del Consiglio pari ad euro 650, con un limite di 16 sedute o di 22 udienze all’anno, con le modalità di computo indicate nell’art. 4. 

Essi deducevano un unico, complesso motivo di ricorso incentrato sulla carenza di potere per assenza, nella legge n. 247 del 2012 (che reca la nuova disciplina dell’ordinamento forense) di una previsione che abiliti il Consiglio Nazionale Forense a determinare gli emolumenti in questione; sulla impossibilità di rinvenire la fonte di tale potere nell’art. 79 del R.D. n. 37 del 1934 (il quale prevede un gettone di presenza, per i componenti il Consiglio, pari a lire 1.000 per ogni giorno di adunanza), che risulterebbe, oramai, superato dalle successive disposizioni in materia di ordinamento forense, e che, ove ancora applicabile, ha già previsto un determinato importo del detto compenso, che, quindi, non sarebbe determinabile dal Consiglio; sulla violazione dell’art. 6 del decreto legge n. 78 del 2010, rubricato “Riduzione dei costi degli apparati amministrativi”. 

2. Nella resistenza del Consiglio Nazionale Forense il TAR dichiarava il ricorso inammissibile per carenza di interesse a ricorrere. 

3. La sentenza è stata impugnata dalle Associazioni e da alcuni degli avvocati originari ricorrenti, rimasti soccombenti. 

Essi hanno dedotto: 

Assoluta carenza di potere - Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione di legge (artt. 24, 35, 37 della legge 31.12.2012 n. 247; Artt. 18, 20, 21, 22 del D.Lgs. n. 1944 n. 382; Artt. 42, 43, 44, 45, 46, 79 del R.D. 22.1.1934 n. 37; artt. 52 e ss. del R.D.L.27.11.1933 n. 1578; art. 1, 2, 3, 6bis, 21septies della legge 7.8.1990 n. 241; art. 78 del D.Lgs. 18.8.2000 n. 267) – Violazione dei principi generali di correttezza, trasparenza imparzialità dell’azione amministrativa - Eccesso di potere per difetto di motivazione, di istruttoria, conflitto di interesse, ingiustizia manifesta. 

Il CNF sarebbe sfornito del potere di adottare il Regolamento impugnato che, pertanto, sarebbe nullo e comunque illegittimo, per violazione dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990 (difetto assoluto di attribuzione), in quanto in netto contrasto con le norme di legge attributive di funzioni e compiti al CNF. Ed invero: 

a) la legge professionale indica, negli articoli richiamati in rubrica, le materie in cui il CNF è titolare del potere regolamentare: trattasi di una elencazione tassativa, con la conseguenza che al di fuori delle materie ivi espressamente indicate non sussisterebbe alcun potere regolamentare del medesimo CNF; 

b) il potere regolamentare interno attribuito al CNF riguarderebbe espressamente solo il proprio funzionamento: ai sensi dell’art. 37 della legge n. 247/2012, in particolare, si fa riferimento alla funzione giurisdizionale, al controllo contabile e di gestione rimesso al Collegio dei revisori, all’attività non giurisdizionale per la quale è ammessa l’istituzione di Commissioni di lavoro. Si evincerebbe da tale disposizione che il potere regolamentare interno attribuito dalla legge al CNF, per il suo funzionamento, attiene esclusivamente alle regole di svolgimento delle udienze per l’esercizio dell’attività giurisdizionale, alle pronunce sui ricorsi, all’attività del Collegio dei revisori, allo svolgimento dell’attività amministrativa attraverso Commissioni di lavoro. Tra le regole e le modalità per assicurare il funzionamento del CNF non vi è la previsione di un compenso per i consiglieri che, a dire dei ricorrenti, esulerebbe dal funzionamento del Consiglio come descritto nello stesso art. 37 citato che risulterebbe così anch’esso violato; 

c) non rileverebbe, peraltro, la circostanza che il CNF sia autorizzato dalla legge a stabilire la misura del contributo annuale dovuto dagli avvocati ed i diritti per il rilascio di certificati e copie nella misura strettamente necessaria per coprire le spese della gestione. Neppure potrebbe ravvisarsi nell’art. 79 del R.D. n. 37 del 1934 la fonte normativa giustificativa della determinazione del CNF di autoliquidarsi il compenso per le funzioni esercitate. Il citato art. 79 deve ritenersi infatti del tutto superato e ormai incompatibile con il nuovo impianto normativo determinato dalla riforma dell’ordinamento della professione forense. Nel precedente sistema infatti i componenti del Consiglio erano nominati con decreto reale e le spese di gestione erano a carico del Ministero di Grazia e Giustizia. Il travolgimento di tale sistema (dapprima con il DLGT n. 382/1944 e poi con la legge n. 247/2012) e la sua sostituzione con il differente sistema dell’elezione dei componenti del CNF da parte dei Consigli dell’Ordine ha evidentemente travolto anche ogni disposizione accessoria e strettamente connessa ad esso. Ma anche qualora si volesse ritenere ancora applicabile la norma di cui al citato art. 79, il regolamento impugnato risulterebbe illegittimo. Ed invero tale norma ha previsto un importo definito del gettone di presenza: sicché ogni altra differente determinazione in ordine alla quantificazione di tale importo sarebbe illegittima per violazione di legge. 

Pure violati sarebbero i generali principi immanenti nell’ordinamento pubblicistico di imparzialità e di divieto di assumere determinazioni in situazioni di conflitto di interessi, codificati nelle disposizioni di cui agli artt. 1 e 6 bis della legge n. 241/1990 e dell’art. 78 del d.lgs. n. 267/2000, per avere i componenti del CNF adottato, a dire degli appellanti, una determinazione in una evidente situazione di conflitto di interessi. 

Il regolamento impugnato sarebbe altresì del tutto privo di motivazione e di istruttoria e quindi in contrasto con i principi che regolano l’azione amministrativa. 

Del pari violato sarebbe l’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, con il quale è stato disposto: 

- che la partecipazione agli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche e degli enti pubblici è onorifica; 

- che la stessa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute, ove previsto dalla normativa vigente; 

- che eventuali gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera. 

Sebbene tali disposizioni non sia direttamente applicabili al caso di specie, le stesse pongono dei principi dai quali si trarrebbe la conferma dell’illegittimità del regolamento impugnato. 

Sull’erroneità ed ingiustizia della sentenza appellata. 

I. La previsione che una parte del bilancio sia destinata all’erogazione di un compenso illegittimo è comunque in sé lesiva degli interessi dei ricorrenti sia perché in grado di incidere in futuro sull’andamento del contributo di ogni singolo avvocato in base a dinamiche oggi imprevedibili e comunque dipendenti esclusivamente dall’azione e dalla volontà del CNF, sia per le seguenti, ulteriori ragioni. 

Il regolamento impugnato in primo grado, entrato in vigore quanto agli effetti economici dal 1 gennaio 2016, ha già comportato la distrazione di parte delle risorse del CNF (costituite esclusivamente dai contributi degli iscritti) dall’impiego per le finalità istituzionali dello stesso e viceversa ora devolute al pagamento delle indennità. 

I ricorrenti, in quanto iscritti all’Ordine professionale, ritengono di avere interesse all’impugnativa di una norma regolamentare che preveda, con carattere di continuità, modalità di utilizzo del denaro attribuito al CNF e costituito dalle contribuzioni di ogni singolo avvocato, in violazione di legge e in difetto assoluto di potere. 

II. L’erogazione dei previsti compensi starebbe infatti determinando una sottrazione di risorse economiche che il CNF diversamente dovrebbe utilizzare per il perseguimento dei fini istituzionali indicati nel citato art. 35 e per il quale è imposto agli avvocati il pagamento di un contributo il cui ammontare è determinato dallo stesso CNF. 

Tale sottrazione inciderebbe direttamente e immediatamente sulla sfera giuridica di tutti gli appartenenti all’Ordine forense e ciò anche se l’introduzione del gettone di presenza non ha comportato ad oggi ovvero non dovesse comportare in futuro un aumento del contributo versato dagli iscritti agli Albi professionali. 

Gli avvocati subiscono già oggi e continueranno, comunque, a subire anche in futuro, atteso il carattere permanente della regolamentazione impugnata, le conseguenze negative derivanti da un minor impiego di risorse nell’espletamento delle attività volte al perseguimento dei fini istituzionali del CNF. 

Da ciò deriva il loro interesse alle iniziative intese ad assicurare che l’utilizzo delle risorse avvenga nel rispetto delle regole prescritte e per la realizzazione dei fini istituzionali dell’Organo medesimo. 

La legittimazione delle Associazioni di Avvocati ad agire a tutela degli iscritti all’Ordine, è stata peraltro già riconosciuta in giurisprudenza (ad esempio, dalla sentenza del TAR per il Lazio, n. 8333 del 2015 confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3414/2016). 

4. Si sono costituiti, per resistere, il Consiglio Nazionale Forense e l’avvocato Andrea Mascherin. 

5. Con memoria del 24 dicembre 2020, il CNF ha articolato, con dovizia di argomentazioni, le proprie difese. 

6. Gli appellanti hanno depositato una memoria di replica. 

7. L’appello è stato infine assunto in decisione alla pubblica udienza del 28 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020. 

8. In via preliminare va esaminato un profilo che - nell’evidenziare la carenza di interesse a ricorrere per mancanza di un vulnus attuale derivante dalle previsioni regolamentari impugnate - è stato lasciato in ombra dal TAR, ovvero quello della legittimazione dei ricorrenti a censurare le previsioni medesime. 

Tale verifica va anzitutto rapportata alla natura degli Ordini professionali i quali “risultando alimentati dai contributi degli iscritti ed essendo espressione autonoma delle comunità professionali - senza etero-direzione statale (cfr. anche Corte di giustizia 12 settembre 2013, in causa C-526/11) - assumono dei peculiari tratti: da un lato sono riconosciuti quali veri e propri enti pubblici, in grado di adottare atti incidenti in via autoritativa sulla sfera giuridica di altri soggetti; dall’altro mantengono le caratteristiche degli enti esponenziali di ciascuna delle categorie professionali interessate ed una natura associativa tipica di determinati appartenenti all’ordinamento giuridico generale” (TAR Lazio, sentenza n. 13446 del 14 dicembre 2020). 

8.1. Nel caso di specie, deve poi convenirsi con la parte appellata che mentre nell’ordinamento forense disegnato dalle normative degli anni Trenta (regio decreto legge n. 1578/1933; regio decreto n. 37/1934), il Consiglio nazionale forense veniva disciplinato essenzialmente quale organo di giurisdizione speciale, con limitate funzioni amministrative, nel nuovo attuale sistema esso è divenuto il perno di tutto l’ordinamento forense ed è stato onerato di numerose ulteriori funzioni da svolgersi non già nell’esclusivo interesse della categoria, ma più ampiamente, nell’interesse generale. 

In tal senso, l’art. 24, comma 3, della l. n. 247 del 2012, dispone che “Il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Essi sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, sono finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge, e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia”. 

Significativa è altresì l’attribuzione al CNF della potestà normativa, accanto alla tradizionale funzione di natura giurisdizionale e a quella amministrativa, nelle materie e per le finalità indicate, in particolare, agli articoli 35 e 37 della legge (ma vedasi anche l’art. 11, comma 3, in tema di assolvimento dell’obbligo formativo; l’art. 22, comma 2, in tema di Scuola superiore dell’Avvocatura; l’art. 29, comma 1, lett. c), in tema di Scuole forensi; l’art. 30, comma 3, in tema di Sportello per il cittadino; l’ art. 50, comma 2, in tema di elezione dei Consigli distrettuali di disciplina e il comma 5 della medesima disposizione in tema di procedimento disciplinare, etc.). 

Anche i contributi degli iscritti costituiscono non già dei meri corrispettivi, bensì delle prestazioni di natura tributaria funzionali alla “provvista dei mezzi finanziari necessari all’ente delegato dall’ordinamento al controllo dell’albo specifico nell’esercizio della funzione pubblica di tutela dei cittadini potenziali fruitori delle prestazioni professionali degli iscritti circa la legittimazione di quest’ultimi alle predette prestazioni” (Cass. civ., Sez. Un, 26 gennaio 2011, n. 1782). 

8.2. Poiché gli interessi pubblici curati dal CNF hanno (anche) carattere generale, non è possibile ravvisare, in capo ai singoli avvocati iscritti all’Ordine professionale, un interesse legittimo proprio ed individualizzato al corretto uso delle risorse a disposizione. 

8.3. Ad integrazione delle argomentazioni del TAR, in materia di insussistenza di un vantaggio attuale e concreto detraibile dall’eventuale annullamento del provvedimento impugnato, va altresì considerata la natura regolamentare di quest’ultimo. 

Come noto, i regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari (Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 2020, n. 665); a tal fine va valutata l’incidenza reale e non meramente ipotetica dell’atto sulla sfera giuridica del ricorrente (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2011, n. 2184; id., sez. V, 18 maggio 1998, n. 601). 

Nel caso di specie, il pregiudizio lamentato dai singoli avvocati ricorrenti in primo grado: 

- è indiretto: il regolamento impugnato, infatti, non ha per oggetto l’entità del contributo richiesto agli iscritti ma la spese di funzionamento del CNF. Pertanto, l’eventuale aumento dei contributi che dovesse rendersi necessario per coprire i “gettoni di presenza” introdotti dalle disposizioni impugnate, ne rappresenterebbe soltanto un potenziale effetto indiretto, al pari della possibile, potenziale riduzione delle risorse a disposizione per il perseguimento dei compiti attribuiti dalla legge al CNF e agli Ordini circondariali; 

- non è attuale, non avendo gli istanti smentito quanto ex adverso obiettato in relazione al fatto che nessun incremento dei contributi vi è effettivamente stato nell’immediato a seguito dell’entrata in vigore delle nuove norme regolamentari; 

- è ipotetico ed eventuale, non essendo possibile sostenere in termini di certezza che i maggiori costi (anch’essi peraltro eventuali) rivenienti dalle nuove disposizioni non siano coperti attraverso economie o misure di altro tipo, non direttamente incidenti sui contributi a carico degli iscritti. 

8.4. Resta ovviamente fermo il controllo che gli iscritti all’Ordine possono esercitare, sul piano politico-sindacale, con l’esercizio del diritto di voto ovvero attraverso l’attivazione degli strumenti di contestazione previsti dall’ordinamento in materia di gestione amministrativa e contabile degli enti pubblici (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 26 giugno 2019, n. 17118), ovvero ancora sollecitando l’esercizio dei poteri di vigilanza che competono al Ministro della Giustizia. 

8.5. Diversa, invece, è la posizione delle Associazioni di categoria ricorrenti. 

Ai fini del perseguimento dell’interesse collettivo di cui le Associazioni sindacali sono esponenziali, la giurisprudenza amministrativa riconosce infatti loro legittimazione e interesse anche ai fini del perseguimento di utilità strumentali, con il solo limite dettato dalla necessità che non vi sia una rottura dell’omogeneità dell’interesse di categoria, e che pertanto l’interesse azionato non sia tale da determinare conflitti fra gli interessi dei singoli esponenti della categoria di cui l’Associazione medesima è rappresentativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2013, n. 1654; T.A.R. Milano, sez. III, 8 ottobre 2013, n. 2242; T.A.R. Piemonte, sez. I, 26 ottobre 2009, n. 2330). 

In particolare, sulla questione concernente la legittimazione a ricorrere delle Associazioni sindacali, il Consiglio di Stato (cfr., ad es., sez. VI, 6 dicembre 2012, n. 6261) ha più volte ribadito l’orientamento secondo cui tale legittimazione è condizionata a rigorosi requisiti, così sintetizzabili: 

a) l’interesse dedotto in giudizio deve riguardare l’intera categoria rappresentata, di modo che il sindacato non si ponga in conflitto di interesse con alcuno dei suoi rappresentati (al riguardo, cfr. anche, da ultimo, Cons. St., sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2208; TAR Lazio, sez. II, 4 settembre 2012, n. 7516); 

b) i provvedimenti impugnati devono concretizzare anche una lesione dell’interesse collettivo statutariamente tutelato, risolvendosi, altrimenti, l’azione, in una non consentita sostituzione processuale. 

Più in generale, per quanto concerne la legittimazione attiva di Associazioni rappresentative di interessi collettivi, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (decisione n. 9 del 2 novembre 2015) ha statuito che la stessa obbedisce a regole stringenti, essendo necessario che: 

a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’Associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; 

b) l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’Associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati). 

Resta comunque preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia, essendo per contro necessario un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa Associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso. 

8.6. Alla stregua di tali coordinate giurisprudenziali, limitatamente alle posizioni del Sindacato degli Avvocati di Bari e dell’A.I.G.A. Sezione di Bari, potrebbe ravvisarsi, a differenza di quanto ritenuto dal TAR, l’interesse alla corretta gestione delle risorse rivenienti dai contributi degli iscritti – sebbene leso in via indiretta ed eventuale – poiché esso costituisce indubbiamente espressione dell’interesse collettivo perseguito dalle dette Associazioni (né sul punto si intravedono, o sono stati eccepiti, conflitti di interesse interni alla categoria). 

9. Tuttavia, pur potendosi riconoscere legittimazione e interesse ad agire alle Associazioni appellanti, il Collegio ritiene che le loro doglianze, articolate in primo grado e qui riproposte, siano infondate nel merito. 

Al riguardo si osserva quanto segue. 

9.1. In primo luogo, è destituita di fondamento la censura di nullità del Regolamento per difetto assoluto di attribuzione perché – in disparte il carattere testuale delle nullità dei provvedimenti amministrativi e la loro non estensibilità per analogia – nella specie il potere regolamentare pacificamente sussiste, essendone piuttosto contestato un esercizio al di fuori dei limiti fissati dalla legge. 

9.2. In secondo luogo, deve essere escluso che il CNF abbia esercitato la potestà normativa attribuitagli dall’ordinamento in maniera illegittima, esorbitando dai parametri predeterminati dal legislatore. 

L’istituzione e la disciplina di “gettoni di presenza”, ovvero di altre forme di compenso per i componenti del CNF è infatti uno dei possibili contenuti della potestà di “autoregolamentazione” attribuita agli Ordini professionali, la cui fonte è il già richiamato art. 24, comma 3, della l. n. 247/2012, che ha qualificato il Consiglio nazionale forense (e gli Ordini circondariali) come enti pubblici non economici, conferendo loro autonomia organizzativa e finanziaria, quest’ultima assicurata dalla contestuale istituzione di un apposito contributo a carico degli iscritti. 

Nello stesso senso l’art. 35, comma 1, lett. b), della legge annovera, tra i “compiti” propri del CNF, anche quello di adottare i “regolamenti interni” per il proprio funzionamento. 

La possibilità di prevedere compensi e gettoni di presenza a favore dei componenti del CNF può quindi considerarsi rientrante nell’ampio potere regolamentare riconosciuto allo stesso Organo dagli articoli 35, comma 1, lettera b), e 37 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, in relazione al “funzionamento” dell’organo medesimo, anche in correlazione con la maggiore ampiezza dei compiti “esterni” attribuitigli dal legislatore del 2012, come in precedenza evidenziato. 

9.3. Resta pertanto assorbita la violazione – peraltro dedotta in via subordinata – dell’art. 79 del R.D. n. 37 del 1934, disposizione ormai implicitamente abrogata in quanto incompatibile con la nuova configurazione assunta dal CNF. 

9.4. Pure infondata è la censura di violazione dell’articolo 6 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 

Il comma 1 dell’art. 6 è infatti applicabile - attraverso il richiamo all’articolo 68, comma 1, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ed all’articolo 29, comma 2-bis, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 - esclusivamente agli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, tra cui non rientra il CNF. 

Né, peraltro, può trovare applicazione il comma 2 della medesima disposizione, in quanto relativo agli enti “che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche” laddove, come in precedenza evidenziato, il CNF viene finanziato esclusivamente attraverso il contributo degli iscritti all’Ordine professionale. 

Tali rilievi risultano confermati, a contrario dal successivo articolo 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, il quale ha introdotto una disposizione specifica che impone agli “ordini”, ai “collegi professionali” e relativi “organismi nazionali” di adeguarsi ai “principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” nonché ai “principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa” (così il testo vigente, modificato, da ultimo, dall’art. 50, comma 3-bis, del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla l. 19 dicembre 2019, n. 157). 

Anche il testo precedente della disposizione testé richiamata, vigente al momento dell’adozione del Regolamento impugnato, recava un disposizione analoga, secondo cui “Gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, [...] e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanto non gravanti sulla finanza pubblica”. 

E’ interessante notare che anche tali disposizioni confermano l’esistenza di un potere di “autorganizzazione” dell’Ordine professionale, suscettibile di adeguamento non già alle norme, bensì ai soli “principi generali” vigenti in materia di spending review. 

9.4. E’ infine infondata anche la deduzione secondo cui gli emolumenti previsti dal Regolamento impugnato sarebbero stati determinati dai consiglieri in “conflitto di interessi”, poiché la stessa è inconciliabile con il riconoscimento all’ente della potestà di auto-organizzazione. 

La situazione di conflitto di interessi, e il conseguente obbligo di astensione, nei confronti dei componenti di un organo collegiale si ricollega infatti alla circostanza che essi siano portatori di interessi personali atti ad inverare una posizione di conflittualità o anche di divergenza rispetto all’interesse generale, di natura sostanziale, affidato alle cure della p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 aprile 2014, n. 1577). 

Essa non è pertanto ipotizzabile, almeno in astratto, rispetto all’adozione di disposizioni di carattere organizzativo, meramente strumentali rispetto alle finalità di interesse pubblico perseguite. 

L’ipotizzata situazione di conflitto non è peraltro nemmeno rinvenibile in concreto, in ragione della natura regolamentare del provvedimento impugnato, destinato quindi ad applicarsi a una generalità indifferenziata e futura di destinatari, e non già soltanto ai componenti attuali del CNF. 

10. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto. 

Sembra tuttavia equo – attesa la peculiarità della fattispecie - compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. 

P.Q.M. 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, n. 7565 del 2017, di cui in premessa, lo respinge. 

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto - con l’intervento dei magistrati: