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2.1 Le parti comuni dell’edificio necessarie all’uso comune

1. Le parti comuni dell’edificio necessarie all’uso comune - MANUALE GIURIDICO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO - CAPITOLO SECONDO - LE PARTI COMUNI E LA PRESUNZIONE DI COMUNIONE a cura dell'Avv. Adriana Nicoletti

CONDOMINIO

PARTI COMUNI

Premessa

Come si è accennato, si può parlare di condominio quando, in un medesimo edificio o complesso immobiliare (condominio orizzontale e super condominio), vengano a coesistere distinte unità immobiliari di proprietà esclusiva unitamente a parti di edificio che, per ubicazione e struttura funzionale, rimangono in comunione in quanto destinate a soddisfare i bisogni generali dei condomini.

Il singolo condomino, pertanto, è proprietario esclusivo del suo appartamento e al contempo comproprietario, pro indiviso, di alcune parti di edificio in virtù di una comunione forzosa sulle stesse.

A differenza della comunione ordinaria, pertanto, dove ciascun comproprietario può in ogni momento chiedere lo scioglimento della situazione comune, nel condominio i partecipanti non possono, di norma, chiedere la divisione delle parti comuni, a meno che la divisione non possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e sempre con il consenso unanime dei partecipanti.

La distinzione tra i due tipi di comunione, ordinaria e forzosa, non è di poco conto se si considera che, in virtù del nuovo ambito di applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 1117 e ss. del codice civile anche al c.d. condominio orizzontale, le norme sul condominio potranno applicarsi a quei complessi residenziali (es. ville a schiera) in cui sia riscontrabile un rapporto di pertinenzialità e di accessorietà tra le parti comuni e ciascuna villa; viceversa, laddove manchi tale rapporto, si parlerà di comunione generale per le parti che sono comuni a tutti i proprietari delle ville, e di comunione parziale tra le ville bi o plurifamiliari.

Il tutto con evidenti differenze in ordine al regime giuridico anche in tema di modifiche alla cosa comune.

1. Le parti comuni dell’edificio necessarie all’uso comune

Rif.: art. 1117 c.c.

Cosa è cambiato: mantenuta inalterata la tripartizione originaria (parti necessarie dell’edificio, locali per i servizi comuni ed opere, installazioni e manufatti destinati all’uso comune), sulla scorta dei consolidati orientamenti giurisprudenziali, sono stati aggiunti, per ciascuna delle tre categorie, alcuni elementi nell’elenco delle parti comuni.

L’elenco non ha carattere tassativo ed esaustivo, in quanto i beni non specificamente indicati potrebbero essere riconducibili, per effetto della loro funzionalità, nell’ambito condominiale (Cass. 248/1975).

Rif: art. 1117, c.c. n. 1

Suolo e sottosuolo: il legislatore comprende fra le parti comuni il solo suolo su cui sorge l’edificio, quale porzione di terreno in cui sono infisse le fondazioni e sulla quale poggia l’edificio, omettendo di inserire nella categoria il sottosuolo.

La giurisprudenza, tuttavia, ha affermato che il sottosuolo su cui sorge l'edificio condominiale, ancorché non menzionato espressamente dall'art. 1117 c.c., in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, rientra tra i beni di proprietà comune, tenuto anche conto della funzione di sostegno che esso svolge per la stabilità del fabbricato; il singolo condomino non può, pertanto, senza il consenso degli altri condomini, procedere a scavi del sottosuolo al fine di ricavarne nuovi locali o di ingrandire quelli esistenti, giacché, con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà degli altri condomini sul bene comune (Cass. 17141/2006). In tale ipotesi il comportamento del singolo integra gli estremi di uno spoglio cui può conseguire azione di reintegrazione in favore del condominio (Cass. 6154/2016).

Fondazioni: non sono costituite solo dalle porzioni dei muri maestri poste al di sotto dell’area su cui sorge l’edificio ma comprendono anche tutte le opere poste nel sottosuolo, in quanto destinate ad elevare e reggere l’intero stabile (scavi, opere di consolidamento e sostegno, ecc.).

Intercapedini (spazi esistenti tra il piano di posa delle fondazioni e la superficie del piano terra e finalizzati all’aereazione e coibentazione del fabbricato), terrapieni e vespai (altro sistema di isolamento del fabbricato) rientrano nella più ampia nozione di fondamenta.

Muri maestri: sono quei muri, interni come esterni dell’edificio, con funzione di sostegno dello stesso. Nella nozione del termine fanno parte, per giurisprudenza, prima, per legge, ora per effetto della novella del 2012, tutti quegli elementi che rappresentano l’ossatura dell’edificio in cemento armato quali pilastri, travi portanti ed architravi, nonché i pannelli esterni di riempimento fra i pilastri in quanto facenti parti della struttura e della linea architettonica dell’edificio.

La giurisprudenza ha chiarito che i muri perimetrali, genericamente definiti quali muri che “delimitano la superficie coperta e determinano la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delimitano la sagoma architettonica, - sono da considerarsi comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici” (Cass. 4978/2007).

La comunione pro indiviso dei muri consente il loro uso da parte di ogni singolo condomino, il quale, ai sensi dell’art. 1102 c.c. ne può trarre benefici in proprio favore, anche apportandovi modificazioni che gli garantiscano una utilità aggiuntiva rispetto agli altri comproprietari, a condizione che:

1) non venga limitato il diritto all’uso del muro da parte degli altri condomini i quali non devono neppure essere concretamente danneggiati;

2) non ne venga alterata la normale destinazione;

3) tali modificazioni non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio” (cfr. Cass. 1708/1998; Cass. 4314/2002).

A titolo meramente esemplificativo il condomino potrà sostituire un tratto di muro con porte scorrevoli (giurisprudenza costante); apporre targhe; appoggiare tende da sole; installare tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas; aprire – quando si tratti di un esercizio commerciale – anche bacheche per l’esposizione della merce e così via.

Il tutto nel pieno rispetto, sempre, del regolamento di condominio.

Costituisce, invece, per la giurisprudenza, uso illegittimo del muro perimetrale l'apertura, da parte di un condomino, di un varco che consenta la comunicazione tra il proprio appartamento ed altra unità immobiliare attigua, sempre di sua proprietà, ma ricompresa in un diverso edificio condominiale, in quanto esso varco si traduce nella creazione di una servitù a carico del fabbricato (Cass. 3265/2005).

Facciate: il legislatore della riforma ha, per la prima volta, espressamente incluso tra le parti necessarie all’uso comune le facciate, rappresentate appunto dall’involucro esterno dell’edificio e costituite dai muri perimetrali.

Sulle facciate dell’edificio si trovano i balconi che, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, sono considerati elementi accidentali del fabbricato e, in quanto privi di funzione portante e non di uso comune, sono oggetto di godimento esclusivo del proprietario dell’appartamento dal quale si accede.

La giurisprudenza ha, infatti, precisato che “in tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti, costituendo un "prolungamento" della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole”.

In applicazione dell'enunciato principio, quindi, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto appartenenti al condominio, con le dovute conseguenze sulla ripartizione delle relative spese, alcune fioriere in cemento armato poste all'esterno delle ringhiere delimitanti i balconi con funzione di parapetto, senza che le stesse rivelassero un qualche pregio artistico, né costituissero parte integrante della struttura dello stabile (Cass. 6624/2012).

Tetti e lastrici solari: nel concetto di tetto (rappresentato da uno o più piani inclinati e/o convergenti) rientrano tutte le opere volte a dare copertura alla costruzione - comprese le strutture di sostegno quali solette, travatura, rivestimento esterno e vari accessori tipo lucernari, abbaini comuni - svolgenti una funzione di protezione comune e destinate a preservare l’interno dell’edificio nella sua parte superiore. Il lastrico solare è costituito, invece, da una superficie piana, che interessa la sommità dello stabile, totalmente o parzialmente (in questo caso vi potrebbe essere una copertura mista), e che esercita anche la funzione di piano di calpestio.

Il lastrico solare può essere rappresentato anche da una terrazza a livello di proprietà esclusiva o condominiale.

Merita attenzione l’uso che i condomini possono fare di tali strutture che, in quanto parti comuni, possono essere utilizzate da tutti i condomini nel rispetto della loro destinazione e senza ledere il pari diritto degli altri partecipanti al condominio (art. 1102 c.c.).

Ciò significa che non si potrà procedere con la trasformazione parziale o totale del tetto in terrazza di pertinenza di una determinata unità immobiliare perché si andrebbe così a sottrarre il bene all’uso comune consistente nella copertura del fabbricato (ex multis, Cass. 2500/2013), con palese violazione dei limiti dettati dall’art. 1102 cit.

Scale, portoni di ingresso, vestiboli, anditi e portici: le scale sono le strutture che consentono l’accesso ai diversi piani dell’edificio e, in quanto tali, sono necessariamente beni comuni a tutti i condomini, senza distinzione tra i proprietari dei piani superiori e del piano terra. Del pari, sono sottoposti al medesimo regime anche i pianerottoli che possono essere utilizzati dal singolo condomino solo nel rispetto dell’art. 1102, con esclusione di qualsivoglia incorporazione degli stessi nelle proprietà esclusive, salvo sempre il titolo contrario.

Cortili: tecnicamente, per giurisprudenza costante, sono definiti quali “area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare aria e luce agli ambienti circostanti" e, ex lege, sono annoverati fra le parti comuni del condominio, salvo che sia inidoneo all’uso comune nel qual caso viene meno la presunzione di comproprietà.

Secondo recente giurisprudenza, invece, il giardino “adiacente l'edificio condominiale, se non è occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali, né destinato al servizio delle unità che vi si affacciano, non costituisce il "suolo su cui sorge l'edificio", né, rispettivamente, un "cortile", sicché la sua natura comune non può essere presunta a norma dell'art. 1117, n. 1, c.c., ma deve risultare da un apposito titolo” (Cass. 11444/2015).

Sarà, dunque, un giardino privato quello di cui solo un condomino o un gruppo di condomini abbia la disponibilità esclusiva, sarà comune quello che costituisce pertinenza dell’edificio (Cass. 7889/2000, che aveva sostanzialmente equiparato i giardini ai cortili, superando così la mancanza dei primi nell’elenco di cui all’articolo 1117).

L’uso del giardino, inoltre, al pari di quello di altre parti comuni, deve essere garantito ad ogni condomino, al quale è permesso anche di farne un utilizzo particolare, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di usufruirne e goderne in pari misura.