6.2 La rappresentanza legale
2. La rappresentanza legale - MANUALE GIURIDICO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO - CAPITOLO SESTO - RAPPRESENTANZA E RESPONSABILITA’ DELL’AMMINISTRATORE a cura dell’Avv. Adriana Nicoletti
2. La rappresentanza legale
La rappresentanza processuale dell’amministratore trova fondamento nell’art. 1131 c.c., (norma inderogabile ai sensi dell’art. 1138 e rimasta immutata rispetto alla versione precedente), secondo cui egli è titolare, per le questioni riguardanti il condominio, di una rappresentanza attiva e passiva.
Il primo aspetto è regolato dal primo comma, in virtù del quale l’amministratore ha, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130, ovvero dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, «la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini che contro i terzi».
Quanto al secondo profilo (comma 2), egli «può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto».
L’ultimo comma, infine, stabilisce che «qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini» e che «l’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni».
La legittimazione, che si esplica nel potere del rappresentante di intervenire nelle azioni giudiziarie nell’interesse dell’ente condominiale, richiede l’investitura dell’assemblea a seconda che l’oggetto della controversia rientri o meno nelle attribuzioni proprie dell’amministratore come previste dall’art. 1130.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dopo aver osservato che dal quadro normativo – anche precedente al Codice Civile in vigore – emerge che l’amministratore non è organo necessario del condominio, là dove l’organo principale, depositario del potere decisionale è l’assemblea dei condomini – hanno composto un contrasto giurisprudenziale affermando che:
«l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’Assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131 commi 2 e 3 c.c., può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione» (Cass. 18331/2010).
2.1 Legittimazione attiva
Nell’ambito delle attribuzioni proprie dell’amministratore, come ampliate dalla nuova versione dell’art. 1130 c.c., si esaminano alcuni casi concreti di legittimazione attiva dell’amministratore alla luce delle determinazioni della giurisprudenza.
Quanto all’osservanza del regolamento di condominio, la rappresentanza si riferisce alla violazione di tutte le clausole che ne costituiscono l’essenza, siano esse meramente regolamentari che contrattuali.
Quando le norme del regolamento incidono su diritti esclusivi, che hanno rilevanza concreta su interessi comuni la legittimazione dell’amministratore sussiste per l’azione che miri ad ottenere una pronuncia di condanna del soggetto che tali norme abbia violato. L’amministratore, pertanto, potrà agire in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca l’immobile ad una attività vietata dal regolamento (Cass. 21841/2010).
Allorché il condominio agisca in giudizio nei confronti del conduttore per chiedere la cessazione di una attività abusiva rispetto al regolamento si configura una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario, mentre se sia stato citato solo il proprietario il litisconsorzio non sussiste. Sarà interesse del condomino chiamare in giudizio il conduttore, notoriamente soggetto terzo rispetto al condominio (Cass. 16240/2003).
L’amministratore è ancora legittimato ad agire per la salvaguardia del decoro architettonico, in relazione all’apertura abusiva di una finestra sulla facciata dell’edificio (Cass. 14626/2010), nonché per chiedere la cessazione di comportamenti reiterati e rilevanti che arrechino disturbo ai condomini quali, ad esempio, la battitura dei tappeti al di fuori degli orari regolamentari (Cass. 14735/2006).
In tema di abuso della cosa comune la legittimazione dell’amministratore sussiste anche se l’illecito si risolve in un danno limitato ad uno o ad alcuni soltanto dei partecipanti al condominio, poiché oggetto della tutela è l’uso corretto del bene comune.
In materia di riscossione dei contributi relativi alle spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio, il problema più interessante concerne l’esistenza o meno di un rapporto diretto tra condominio e conduttore in relazione alla possibilità dell’amministratore di agire direttamente verso quest’ultimo per ottenere il pagamento delle spese poste a suo carico.
La legge n. 392/1978, con l’art. 9 (norma non abrogata dalla legge n. 431/1998) ha posto interamente a carico del conduttore, «salvo patto contrario», le spese di gestione e manutenzione ordinaria della cosa comune, il 90% di quelle di portierato, nonché quelle di riscaldamento e condizionamento d’aria.
Ancora oggi il conduttore è considerato parte estranea rispetto al condominio (pur avendo diritto a partecipare alle assemblee condominiali ed a votare in vece del locatore solo per quanto riguarda la gestione del riscaldamento) e, nella specie, l’art. 9 cit. disciplina i rapporti contrattuali tra locatore e conduttore senza interferire nei confronti del condominio.
Quindi, nessuna azione diretta dell’amministratore nei confronti del conduttore (Cass. 2467/1994).
Peraltro il legislatore del 2012 non si è neppure posto il problema di mutare la posizione giuridica del conduttore, considerato che la responsabilità solidale è stata prevista solo tra usufruttuario e nudo proprietario.
Per quanto concerne le azioni dirette alla tutela dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, la Suprema Corte ha affermato che nella categoria degli atti di cui al n. 4 dell’art. 1130 rientra anche l’azione proposta ai sensi dell’art. 1669 c.c. contro l’appaltatore e tendente ad ottenere la rimozione di gravi difetti della costruzione, che possono porre in pericolo la sicurezza dell’edificio, l’esecuzione dei lavori di ripristino a cura e spese della ditta appaltatrice ed, ove ne sussistano i presupposti, una eventuale richiesta risarcitoria strettamente legata a detti inadempimenti (Cass. 17038/2007).
In tale ambito, inoltre, l’amministratore può, senza autorizzazione dell’assemblea, proporre il «procedimento di accertamento tecnico preventivo finalizzato ad acquisire tempestivamente elementi di fatto sullo stato dei luoghi o sulla condizione e qualità di cose, da utilizzare successivamente nel giudizio di merito introdotto con la domanda ex art. 1669 citato, posto che tale accertamento è strumentale all'esercizio stesso dell'azione di responsabilità anzidetta» (Cass. 23693/2009).
E’, altresì, atto di conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dello stabile l’azione promossa contro il singolo condomino e rivolta a conseguire la rimozione di opere abusivamente realizzate su parti di proprietà comune (lastrico solare, terrazza condominiale). Allo stesso modo si è ritenuto che l’amministratore sia legittimato ad agire in giudizio per ottenere la demolizione di una sopraelevazione che, costruita in violazione del regolamento condominiale, minacci la statica dell’edificio (Cass. 13611/2000).
Per quanto concerne, infine, l’azione contrattuale di garanzia per vizi della cosa venduta, la giurisprudenza ha escluso costantemente una legittimazione attiva generale dell’amministratore, richiedendosi per ciò uno specifico mandato dell’assemblea.
La Cassazione (7527/1983) ha ritenuto, infatti, che «l’amministratore del condominio – salvo che ne abbia ricevuto specifico mandato – non è legittimato a promuovere un giudizio quando, sia pure in correlazione alle parti comuni dell’edificio, si controverta sull’adempimento di obbligazioni derivanti dai singoli contratti stipulati con i venditori e che impegnano i singoli condomini ed i loro diretti contraenti. (Nella specie era stata esercitata dall’amministratore l’azione contrattuale di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 e ss. c.c., con riferimento a vizi attinenti ad elementi accessori della costruzione – rivestimenti, piastrellature, pitturazioni, pavimentazioni)».
2.2 Legittimazione passiva
L’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione riguardante le parti comuni dell’edificio ed il medesimo è il destinatario dei provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto (art. 1131, co. 2).
Nel silenzio della norma si presume che se la questione rientra nell’ambito delle attribuzioni proprie dell’amministratore l’autorizzazione dell’assemblea non è necessaria.
La decisione delle Sezioni Unite della Cassazione a momenti richiamata, anche in una parte della sua motivazione, che riguarda proprio la posizione dell’amministratore come legittimato passivo non è stata considerata dal legislatore nella novella del 2012, mentre inserire nell’art. 1131 un elemento chiarificatore sarebbe stato sicuramente utile.
Il termine «parti comuni», richiamato dal comma 2 dell’art. 1131, è stato unanimemente interpretato da dottrina e giurisprudenza in maniera estensiva, ricomprendendosi in esso non solo elementi meramente e tipicamente materiali, ma anche tutte le situazioni obiettive che nascono e si sviluppano intorno alle parti comuni di un condominio.
Si veda sul punto quanto affermato dalla Corte di Cassazione secondo la quale nel concetto di parti comuni devono essere ricomprese «da un lato, tutte le parti materiali, comunque destinate all’uso dei condomini, anche se appartenenti in proprietà esclusiva ad un solo condomino o ad un terzo e sin’anche se ubicate all’esterno dello stabile condominiale e, dall’altro, tutti i vari rapporti giuridici che sorgono dall’esistenza delle dette parti comuni, attenendo all’organizzazione, all’amministrazione del condominio ed al regime dei servizi comuni». Da ciò consegue che «legittimazione passiva ad processum dell’amministratore ricorre ogni qualvolta sia in gioco l’interesse comune dei partecipanti alla comunione e, cioè, un interesse che costoro possono vantare solo in quanto tali, in antitesi con l’interesse individuale di un singolo condomino, ovvero di un terzo estraneo alla comunione» (Cass. 3366/1995).
Ed ancora nel concetto di parte comune deve essere ricompreso qualsiasi bene, anche se non condominiale, rispetto al quale venga in considerazione un interesse che i condomini vantino o ritengano di poter vantare in quanto tali (Cass. 2091/1982).
A titolo meramente esemplificativo l’amministratore del condominio è legittimato passivamente:
- a rappresentare processualmente l’ente nei giudizi relativi alla ripartizione delle spese per le cose ed i servizi comuni conseguenti alla contestazione della relativa delibera assembleare da parte del condomino dissenziente;
- all’azione di spoglio esperita da un terzo, in riferimento ad un terreno ubicato all’esterno dello stabile a fronte di lavori intrapresi dai condomini sullo stesso, in attuazione del loro interesse alla sistemazione dell’area verde vicina al suddetto edificio;
- alla domanda del condomino che abbia impugnato la delibera assembleare con la quale sia stata approvata la trasformazione dell’impianto di riscaldamento;
- all’azione del condomino che lamenti danni dall’occlusione di una colonna di scarico dello stabile;
- all’azione «negatoria o confessoria servitutis» tutte le volte in cui sorga controversia sull’esistenza di servitù prediali costituite a favore (o a carico) dello stabile condominiale nel suo complesso o di una parte di esso;
- all’azione per responsabilità extracontrattuale promossa dal conduttore dei locali dell’edificio che abbia sopportato danni a causa di infiltrazioni di acqua dal tetto dello stabile;
- alla domanda giudiziale avente per oggetto pretese creditorie dipendenti da rapporti di portierato.