SUBLOCAZIONE E CESSIONE NELLA LOCAZIONE a cura di Riccardo Redivo
FOROEUROPEO EDITORE - I QUADERNI GIURIDICI SUBLOCAZIONE E CESSIONE NELLA LOCAZIONE a cura di Riccardo Redivo
Sommario
Sublocazione e cessione nella locazione abitativa. 2
Presunzione di sublocazione. 4
Sublocazione e cessione nelle locazioni non abitative. 7
Roma, 14 Dicembre 2017
Riccardo Redivo
Il dott. Riccardo Redivo, magistrato dal 1967 al 2016, operativo quasi sempre nell’ambito civilistico, si è costantemente occupato, oltre che dell’intero settore immobiliare in generale (proprietà, comodato, affitto d’azienda, condominio, diritti reali, azioni cautelari e possessorie ecc.), anche, in particolare, di quello delle locazioni sin dal 1978 (anno d’entrata in vigore della legge sull’equo canone).
Ha presieduto, altresì, nell’ultimo decennio la I e la IV sezione civile della Corte d’Appello di Roma, mentre sin dagli anni settanta, ha collaborato con numerose case editrici, scrivendo numerose monografie e molti articoli nel campo delle locazioni, del condominio, dell’edilizia e dell’urbanistica.
Introduzione
Il settore delle locazioni immobiliari e, in specie, di quelle adibite ad abitazione, rivisitate, dopo la legge dell’equo canone, con la più recente normativa del dicembre 1998 (legge n. 431/1998) ha dato luogo sempre ad interventi chiarificatori della Suprema Corte, importanti e spesso decisivi sotto tutti i profili, contrattuali e normativi, tra i quali spicca il tema della sublocazione e della cessione del contratto, affrontato dal legislatore in modo diverso, come si vedrà, tra le due diverse tipologie di contratti, anche perché i contratti ad uso diverso da abitazione restano integralmente regolati, sempre con norme imperative, dalla legge n. 392/1978, mentre quelli ad uso abitativo sono stati, come è noto, nuovamente disciplinati dalla normativa del 1998, con la previsione di una maggior autonomia delle parti nel contrattare, rendendosi in senso innovativo molte norme derogabili dalla volontà delle parti.
Sublocazione e cessione nella locazione abitativa
La locazione posta in essere dal conduttore a favore di un terzo, con la creazione di rapporti diretti tra conduttore sublocatore e sub conduttore, non può in alcun modo pregiudicare i diritti del locatore nei confronti del conduttore originario, al quale, anzi, la normativa codicistica conferisce un’ azione diretta contro il subconduttore per esigere il prezzo della sublocazione di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda giudiziale e per costringerlo ad adempiere a tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione (cfr. art. 1595, I comma c.c.), mentre l’art. 1594 c.c. prevede la facoltà del conduttore di sublocare l’immobile, salvo patto contrario e, di converso, vieta la cessione del contratto senza il consenso del locatore.
La stessa disciplina codicistica, in particolare, stabilisce, al terzo comma del citato art. 1595, che senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, “la nullità e la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui”
La stretta e diretta dipendenza del contratto di sublocazione da quello principale ne evidenzia il carattere meramente derivato del primo, talchè la cessazione del contratto-base, determina , per il principio “resoluto iure dantis, risolvitur et ius accipientis”, sempre affermato dalla giurisprudenza, anche la cessazione di quello derivato.
La giurisprudenza ha, peraltro, più volte affermato la validità di una clausola contrattuale che preveda il divieto di sublocazione, precisando, tuttavia, che il patto espresso non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato terze persone per un periodo di tempo anche cospicuo, poiché la circostanza costituisce un mero indizio di violazione della clausola, che non è sufficiente a provare l’inadempimento del conduttore ove non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore abbia accordato agli ospiti facoltà proprie del comodatario ovvero, ancor più, del sub conduttore.
Si è, altresì, affermato che la violazione di detto divieto, pur costituendo inadempimento, non è sufficiente a giustificare la risoluzione della locazione, ove detta violazione non rivesta il carattere della gravità richiesto dall’art. 1455 c.c., da valutarsi dall’interprete con riguardo all’interesse della controparte ed alle circostanze del caso concreto (così Cass. n. 16111/2010).
In tema, la Suprema Corte, ha altresì, affermato: a) che non vi è pregiudizialità tale da giustificare la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., tra il giudizio pendente tra locatore e conduttore, relativo a sfratto per finita locazione e il giudizio di sfratto per morosità intrapreso da quest’ultimo nei confronti del subconduttore, data la parziale diversità delle parti nei rispettivi giudizi e tenuto conto che l’obbligo del subconduttore di pagamento del canone a favore del sublocatore persiste finchè dura l’occupazione dell’immobile, senza che rilevi l’intervenuta cessazione della locazione principale per scadenza contrattuale (così Cass. 17 luglio 2015 n. 15094); b) che è ammissibile la domanda di rilascio del bene locato da parte del locatore anche se, al momento della proposizione della domanda, detto bene risulti occupato da un terzo immessovi dal conduttore (Cass. 24 luglio 2012 n. 12895) e che la sentenza di condanna al rilascio (per qualunque motivo) pronunciata nei riguardi del conduttore esplica i suoi effetti di cosa giudicata anche nei confronti del subconduttore, pur rimasto contumace in detto giudizio, non solo in senso sostanziale, avendo il titolo esecutivo anche un’efficacia immediata anche nei confronti del medesimo subconduttore.
La cessione del contratto di locazione, per contro, a differenza dalla sublocazione, implica la sostituzione piena del conduttore con un altro nuovo conduttore, determinando automaticamente un rapporto tra locatore e cessionario.
Con il primo comma dell’art. 2 della legge n. 392/1978 (rimasto tuttora in vigore, non essendo stato abrogato dalla legge n. 431/1998), il legislatore ha introdotto una rilevante modifica del disposto di cui all’art. 1594 c.c., vietando espressamente, per la prima volta, oltre alla cessione del contratto, anche la sublocazione totale dell’immobile in mancanza di un espresso consenso del locatore, equiparando, così sostanzialmente il trattamento giuridico tra le due fattispecie (cessione e sublocazione totale).
La ratio della norma va ricercata nel fatto che il legislatore non ha ritenuto meritevole di tutela (pur nell’ambito di una disciplina ispirata prevalentemente al “favor conductoris”) il conduttore che non utilizzi e non abbia più bisogno dell’immobile locatogli, ravvisando, invece, l’opportunità di impedire a questi di introdurre nell’immobile soggetti estranei al rapporto locatizio.
Va, comunque, precisato che la violazione della norma non rende automaticamente nulla la sublocazione totale, poiché solo se il locatore intenda avvalersi del proprio diritto di risolvere il contratto originario, come consentitogli dal citato art. 2, dalla dichiarazione di risoluzione di questo, conseguirà il venir meno anche del rapporto derivato.
Si aggiunga che la legge n. 431/1998, pur non avendo abrogato l’art. 2 della legge n. 392/1978, concede alle parti una più ampia libertà di contrattazione, ammettendo la legittimità di patti in senso differente (con possibilità di deroga all’attuale disciplina), purchè questi risultino indicati e chiaramente espressi nel contratto scritto.
Presunzione di sublocazione
La legge n. 392/1978 aveva implicitamente abrogato, come emerge dall’art. 84 della stessa normativa, molte delle disposizioni legislative precedenti in materia, in quanto incompatibili con la legge sull’equo canone, lasciando, tuttavia, operativo l’art. 21 della legge n. 253/1950 (in quanto non cancellato per contrasto con la stessa legge n. 392/1978), che prevedeva la presunzione di sublocazione nei casi in cui l’immobile fosse occupato da persone che non sono a servizio o ospiti del conduttore o a questi legati da un rapporto di parentela o affinità entro il quarto grado e salvo che non si tratti di ospiti transitori“.
La validità della citata norma in esame è stata ribadita, ancora in tempi relativamente recenti, dalla Suprema Corte, che ha ribadito al riguardo che la presunzione di cui all’art. 21 cit. non può ritenersi abrogata a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 392/1978 ed è, quindi, applicabile anche con riferimento alla disciplina della sublocazione di immobile adibito ad uso abitativo dettata dall’art. 2 dell’ultima legge n. 431/1998 (così Cass. - ord. - 23 agosto 2013 n. 19486).
Il giudice di legittimità, inoltre, come già accennato sopra, ha chiarito che il divieto contrattuale di sublocazione o di comodato “non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato, sebbene per un cospicuo periodo di tempo (nella specie, tre anni), un prossimo congiunto (nella specie, sorella e nipote “ex fratre”), costituendo tale circostanza un mero indizio, privo di rilievo probatorio ai fini della dimostrazione dell’inadempimento, se non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore avesse accordato agli ospiti le facoltà proprie del comodatario” (così Cass. 16 giugno 2012 n. 9931).
La giurisprudenza, poi, ha ancora precisato che in dette ipotesi opera un’inversione dell’onere della prova a favore del locatore, giustificata dalla generale difficoltà della prova della sublocazione, mentre, comunque, la presunzione non opera ove l’immobile sia stato occupato sin dall’inizio da persona ivi trasferitasi con il conduttore.
Pertanto, sarà il conduttore a dovere dimostrare di aver ricevuto il consenso del locatore – che potrà trarsi anche da fatti concludenti - a sublocare.
Si è affermata, ancora, la nullità della clausola che oltre, a vietare la sublocazione, non consenta neppure un’ospitalità non temporanea di soggetti estranei al nucleo familiare del conduttore, in quanto contrastante con il principio costituzionale previsto dall’art. 2 Cost.. Ciò poiché tale patto risulta “configgente con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio, sia di una convivenza di fatto, tutelata in quanto formazione sociale o con l’esplicazione di rapporti di amicizia” (in tal senso cfr. Cass. 19 giugno 2009 n. 14343).
La sublocazione parziale
L’art. 2 della legge n. 431/1998, come già accennato, attribuisce al conduttore la facoltà di sublocare parzialmente l’immobile con il limite di un espresso divieto contrattualmente previsto ma, in ogni caso, con l’obbligo in capo all’inquilino di comunicare preventivamente al locatore, tramite raccomandata con avviso di ricevimento, il nome della persona del sub conduttore, la durata del contratto ed i vani sublocati.
Di sublocazione parziale, peraltro, può parlarsi anche ove sia sublocata l’intera superficie dell’immobile condotto in locazione, purché in senso solo temporale (limitatamente a determinate ore del giorno, ad alcuni giorni della settimana, ad alcune settimane del mese o ad alcuni mesi dell’anno). La soluzione, tuttavia, in concreto, può apparire discutibile e, quindi, formare oggetto di controversia tra le parti del contratto.
Mentre dalla lettura della norma sembrerebbe che, ormai, la sublocazione parziale costituisca la regola e la clausola che la vieta un’eccezione, nella prassi, invece, appare chiaro che il patto contrattuale di divieto della sublocazione parziale è assai comune, essendo inserito molto di frequente nei contratti scritti di locazione (ciò anche perché la giurisprudenza ha sempre affermato che la clausola in questione non riveste carattere vessatorio e non necessita, quindi, di un’approvazione specifica per iscritto).
Va rilevato, ancora, che l’onere di previa comunicazione al locatore della sublocazione parziale ha solo la funzione di consentire al proprietario un semplice controllo sulle persone che abitano nel suo immobile, tanto che l’omessa comunicazione non costituisce causa legale di risoluzione del rapporto locatizio, a differenza da quanto sancito della già citata legge n. 253/1980, artt. 21 e 23 (in tal senso cfr. Cass. n. 5923/1993).
Tuttavia, la mancata comunicazione può comportare ugualmente conseguenze rilevanti sotto il profilo dell’inadempimento, conseguenze che, in relazione all’interesse del locatore, debbono essere analizzate in concreto dall’interprete, con riferimento alla gravità dell’inadempimento, come disposto di cui agli artt. 1453 e ss. c.c..
Comunque va rilevato, che, a meno di una specifica clausola di risoluzione espressa del contratto per sublocazione parziale inserita nell’atto scritto, il giudice resta sempre arbitro nel valutare se la violazione del divieto di sublocazione parziale da parte del conduttore sia rilevante in relazione ai caratteri della gravità dell’inadempimento (sempre necessaria, salva l’ipotesi di risoluzione di diritto, per una pronuncia di risoluzione).
Sublocazione e cessione nelle locazioni non abitative
La disciplina di detti istituti è differente per i contratti destinati ad uso diverso dall’abitazione.
Infatti, l’art. 36 della legge n. 392/1978, consente al conduttore la sublocazione e la cessione del contratto anche senza il consenso del locatore, purchè insieme venga locata o ceduta anche l’azienda.
Il locatore potrà, comunque, sempre ai sensi dell’art. 36 cit., opporsi alla cessione e alla sublocazione totale, ma solo per gravi motivi (che debbono riguardare – per giurisprudenza pacifica - la persona del nuovo conduttore, la sua affidabilità e posizione economica ovvero il complesso dell’operazione progettata e non anche la situazione e le esigenze personali di esso locatore) entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione (e, quindi, anche nel corso di un giudizio, ove sia venuto a conoscenza dell’operazione di sublocazione totale o di cessione del contratto solo allora), mentre resta fermo che lo stesso, nel caso di cessione, se non ha liberato il conduttore cedente, può agire in giudizio direttamente contro il medesimo, qualora il cessionario non adempia alle obbligazioni assunte.
Va precisato, altresì, che, nell’ipotesi di affitto d’azienda con contestuale cessione della locazione dell’immobile ove è esercitata l’azienda stessa, il locatore, in caso di inadempimento del cessionario, può agire, in virtù della responsabilità sussidiaria prevista a suo carico, ex art. 36 della legge n. 392/1978, nei confronti del cedente per il pagamento del canone (salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo, senza che assuma alcun rilievo la dilatazione del vincolo obbligatorio, per l’intervenuta rinnovazione tacita del contratto). In tal senso di è espressa costantemente la Suprema Corte (cfr. da ultimo Cass. 23. 3. 2017 n. 4730 e Cass. 30. 9 2015 n. 19531).
In tal caso è necessaria la comunicazione con raccomandata a.r. del cedente al locatore ceduto, e questi, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione potrà opporsi per gravi motivi e, nell’ipotesi di cessione del contratto, lo stesso potrà agire direttamente verso il cedente se il cessionario non adempia alle sue obbligazioni, mentre l’indennità di avviamento, se spettante, dovrà essere versata a colui che, al momento della cessazione effettiva della locazione, risulti cessionario del contratto.
La formulazione della norma ha fatto pensare che il legislatore intendesse applicare la norma descritta alle sole locazioni commerciali ed industriali, in quanto esclusivamente per queste è possibile la cessione dell’azienda (da documentarsi, peraltro con atto pubblico scritto).
Tuttavia la Suprema Corte, rilevato che la “ratio” della norma va rinvenuta non solo nella tutela di tutte le attività produttive, ma anche, più genericamente, di ogni attività di lavoro, ha ritenuto, con una rilevante decisione recentissima (Cass. 16 ottobre 2017 n. 24278), che la disposizione esaminata sia applicabile anche ai contratti locati a professionisti ed adibiti a loro studio (architetti, avvocati, commercialisti, ingegneri, geometri, architetti ecc.)
La Corte si è così espressa: “pur se non è configurabile una prevalenza del momento organizzativo e la persona del professionista rimane predominante, è da ritenere valido il contratto avente ad oggetto il trasferimento dello studio professionale ad altro soggetto, intenzionato a proseguire l’attività, avvalendosi del complesso dei beni, materiali ed immateriali, appartenenti al proprio dante causa. In questi casi si ha un vero e proprio trasferimento dell’attività: accanto ad arredi, beni strumentali e rapporti contrattuali di fornitura, l’alienante cede per via indiretta, al professionista che subentra, la clientela (nella specie, infatti, va considerata l’esigenza di tutela e conservazione dell’azienda o dell’attività commerciale o professionale, coordinata con un ampliamento della categoria dei titolari del diritto a continuare l’attività – come disposto dall’art. 37 della legge n. 392/1978 -, estesa, nella fattispecie, a tutti gli eredi del conduttore defunto, senza necessità che in concreto esercitino l’attività, potendo cederla ai sensi dell’art. 36 della legge n. 392 citata)”.
Va ancora ricordato che l’art. 37 della legge n. 392/1978 prevede la successione, in caso di morte del conduttore, di coloro che hanno diritto di continuarne l’attività per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore all’apertura della successione stessa.
Il tema sarà approfondito nell’ambito dell’esame della successione nella locazione immobiliare.
Per finire si ritiene utile richiamare alcuni principi stabiliti di recente dalla Suprema Corte in tema di sublocazione e cessione del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo.
Si è affermato, in particolare, che:
-La cessione della locazione ex art. 36 cit. è possibile non solo nell’ipotesi di cessione contestuale dell’azienda, ma anche in quella di cessione integrale delle quote di una società di persone (Cass. 21. 6 2017 n. 15348);
-La liberazione del conduttore cedente è esclusa anche in caso di cessione plurima del contratto di locazione e dell’azienda (Cass. 31. 5. 2017 n. 13706);
-La successione nel contratto ai sensi dell’art. 36 cit. non è automatica, ma comporta la necessità di un apposito negozio di sublocazione o di cessione del contratto (Cass. 16. 5. 2017 n. 12016);
-La rinnovazione del rapporto locatizio con il cessionario non comporta la nascita di un nuovo contratto, ma solo la prosecuzione del precedente (Cass. 12 novembre 2015 n. 23111).