Diritto delle locazioni - La destinazione dell’immobile nella locazione
Diritto delle locazioni - La destinazione dell’immobile nella locazione a) La normativa. Cambiamenti legislativi: ratio. b) Norme comuni (artt. 7 e 11) e norme abrogate per l’abitativo (art. 79). c) Condominio e appartamento del portiere. d) le destinazioni ad altre attività. Cenni (art. 42 l. n. 392/1978) a cura di Riccardo Redivo - Magistrato in quescienza
a) La normativa. Cambiamenti legislativi. Cenni.
Fino al 1978 la locazione costituiva un contratto basato sull’intuitus personae”, regolato sostanzialmente dalla volontà delle parti e dal codice civile.
Alla fine della guerra (ma anche parzialmente in precedenza), tuttavia, per gravissime esigenze sociali, legate alla distruzione di molta parte del patrimonio edilizio esistente ed all’impoverimento delle famiglie, era subentrata la c.d. “legislazione vincolistica”, che aveva di fatto portato al totale blocco degli sfratti e dei canoni, comportando un’inaccettabile differenza tra i canoni di mercato (del tutto liberi e possibili per i contratti nuovi) e quelli c.d. vecchi, con conseguenze molto pesanti sia per i locatori (che in quest’ultima ipotesi, non potevano sfrattare gli inquilini, godendo di una pigione bassissima, che di frequente non bastava a pagare tasse ed oneri condominiali relativi all’immobile locato), sia per i conduttori (oberati da un canone difficilmente sostenibile, in una situazione peraltro di scarsissima offerta di immobili in affitto, causata dal blocco degli sfratti).
Pur consapevole della problematica, il legislatore non è riuscito a modificare la situazione fino al luglio 1978, date le pressioni delle categorie dei proprietari e degli inquilini, che rappresentavano interessi contrapposti.
Finalmente nel luglio 1978, essendo stato formato un governo di unità nazionale, fu possibile un intervento innovativo ed efficace in materia, grazie alla legge n. 392/1978, con la quale, servendosi di norme imperative, venivano fissate regole ben precise per la stipula dei contratti, nell’ambito degli immobili destinati sia ad uso abitativo, sia ad uso diverso.
La ratio che ha ispirato il legislatore è legata alla tutela dell’abitazione primaria delle famiglie nel primo caso e nella protezione delle attività imprenditoriali e, in ogni caso, di lavoro nella seconda ipotesi.
In particolare, per i contratti adibiti ad abitazione, il legislatore ha stabilito che l’entità del canone, determinato con dei coefficienti precisi dovesse consentire un reddito netto del 3,85%; che gli oneri accessori fossero per la gran parte a carico dei conduttori; che alcuni contratti fossero esclusi dalla nuova normativa e regolati dal codice civile, con la massima autonomia delle parti (ci si riferisce, principalmente alle seconde case, alle ville, ai palazzi ed ai contratti conclusi per esigenze transitorie del conduttore, sempreché non legate ai rapporti di lavoro); che ogni pattuizione contrattuale contraria alla legge non favorevole al conduttore dovesse ritenersi nulla (art. 79), come nullo doveva ritenersi il contratto concluso verbalmente (art. 1, n. 4) e che la durata del contratto non potesse essere inferiore ad un quadriennio (con rinnovo tacito alla scadenza per eguale periodo, ove non fosse pervenuta al conduttore disdetta almeno sei mesi prima della scadenza dello stesso).
Diversa è la situazione relativa ai contratti ad uso diverso dall’abitazione, ispirati da una “ratio”, come detto, del tutto diversa.
Per questi contratti la normativa tutela, infatti, sia i locatori (attraverso l’applicazione di un canone di mercato libero), sia, soprattutto, i conduttori, in relazione alla durata del rapporto (di 6 anni più sei, ovvero di 9 anni più 9 per le locazioni alberghiere), con rinnovo tacito obbligatorio, salva la possibilità di diniego di rinnovo da parte del locatore alla sola prima scadenza per necessità abitativa o lavorativa propria o dei prossimi congiunti.
Inoltre, per le locazioni commerciali (ove vi sia il contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori), è prevista un’ulteriore tutela per gli inquilini, attraverso gli istituti dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale al termine del rapporto, nonché dei diritti di prelazione e riscatto in caso di alienazione dell’ immobile ovvero di nuova locazione del bene.
Come si vede la normativa, per esigenze sociali è tutta improntata al “favor conductoris”, soprattutto nell’ipotesi di locazioni non abitative, tanto che la disciplina è rimasta la stessa fino ad oggi.
Per contro i contratti ad uso abitativo sono stati modificati, prima con la possibilità di una liberalizzazione del canone (cfr. legge n. 359/1992, nota come “patti in deroga) e, quindi, in modo definitivo, con la nota legge n. 431/1998 (con la quale si è liberalizzato il canone; si è previsto per la prima volta il rinnovo tacito del contratto per uguale periodo alla sola prima scadenza e si è consentito il diniego di rinnovo ad essa per motivi analoghi a quelli stabiliti per le locazioni ad uso diverso, con l’aggiunta anche dell’ipotesi di vendita del bene locato.
b) Norme comuni e norme abrogate per l’abitativo
Non è questa, comunque, la sede per un esame analitico e dettagliato delle due discipline.
Appare, in ogni caso, utile per restare in tema, evidenziare le norme comuni ai due regimi locatizi e le norma abrogate con la legge n. 431 cit., caratterizzate queste ultima, da un lato, da una liberalizzazione della disciplina (con maggiore spazio, come richiesto dalle parti da tempo), sempre più derogabile, e dall’altro, dal carattere prevalentemente fiscale della nuove norme.
--Norme comuni: si tratta degli articoli da 7 a 11 della legge sull’equo canone, riguardanti la nullità della clausola che prevede la risoluzione del contratto di locazione in caso di vendita del bene locato (art. 7 che tutela per tutta la durata contrattuale il conduttore, in caso di alienazione del bene locato); la ripartizione in parti uguali tra le parti delle spese di registrazione del contratto (art. 8); la ripartizione degli oneri accessori (art. 9, tale norma è ormai divenuta derogabile dalla volontà dei contraenti in virtù della legge n 431/1998); l’art. 10 successivo, ove è prevista la partecipazione del conduttore alle assemblee condominiali, con o senza diritto di voto, in ordine alla gestione dei servizi comuni e, infine, l’art. 11, che prevede la misura del deposito cauzionale, produttivo di interessi legali, in misura non superiore a tre mensilità del canone.
--Norme abrogate dalla legge n. 431/1998: vengono abrogati, anzitutto, i patti in deroga di cui alla citata legge finanziaria n. 359/1992 e, inoltre, sempre nell’ambito abitativo, le norma sulla determinazione dell’equo canone (di cui agli artt. da 12 a 26 della stessa); le disposizioni relative alla durata del contratto ed al rinnovo tacito (art. 1 e 3 della legge 392); l’art. 54 che dichiara la nullità della clausola compromissoria (oggi, invece, ammessa dalla legge); gli artt. da 60 a 66 riguardanti la disciplina transitoria sempre delle locazioni abitative; gli artt. da 75 a 78 concernenti il fondo sociale; l’art. 79, con esclusione delle locazioni ad uso diverso, parzialmente reintrodotto dalla legge di riforma del 1998, con l’art. 13, riguardante la nullità dei patti contrari alle legge, che stabilisce la nullità delle sole clausole che prevedono un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato ovvero una durata inferiore a quella stabilita dalle norme imperative della legge.
La grossa novità della legge di riforma delle locazioni abitative è data dall’obbligo di forma scritta per i contratti locatizi di immobili adibiti ad abitazione e della registrazione di esso, a pena di nullità.
c) Condominio a appartamento del portiere
Il tema dell’alloggio del portiere è stato trattato molto di frequente dalla giustizia di merito, ma anche dal giudice di legittimità, che ha fissato alcuni principi generali che hanno consentito nel tempo di dare soluzioni certe e condivisibili in relazione alle varie problematiche controverse sorte in materia.
Vanno, in particolare, esaminate vari argomenti attinenti: alla destinazione del locale condominiale; al licenziamento del portiere ed alle modalità di rilascio dell’alloggio al termine del rapporto lavorativo.
--La destinazione dell’alloggio del portiere
L’art. 1117 n. 2 c.c. dispone una presunzione legale di condominialità, stabilendo che sono di proprietà comune dei condomini, se il contrario non risulta dal titolo, oltre alle aree destinate a parcheggio, “i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune”.
La giurisprudenza ha sempre affermato in tema che per stabilire se un locale indicato da detta norma sia comune, “occorre accertare se, prima della costituzione del condominio (conseguente all’alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario proprietario del fabbricato), vi sia stata, espressamente o di fatto, una destinazione del bene al servizio comune o se questa gli sia stata sottratta” (Cass. 14 giugno 2017 n. 14796: nella specie, la Corte ha affermato che la contestuale messa in vendita del locale adibito a portineria e dei singoli appartamenti comportava la sottrazione alla sua destinazione al servizio comune).
In senso conforme cfr. Cass. n. 26766/2014 (ove si è precisato che la presunzione legale di proprietà comune dei condomini vale purchè dal titolo non risulti una chiara volontà di riservare esclusivamente ad un condomino la proprietà del bene, con esclusione degli altri), nonché Cass. n. 7459/2015 e n. 17397/2004 (ove si chiarito che, in caso di trasformazione del bene comune in bene esclusivo, con esclusione dei frutti per alcuni condomini, deve deliberarsi dall’assemblea all’unanimità e non a maggioranza); Cass. n. 11195/2010 (ove si afferma che non basta per superare la presunzione il frazionamento-accatastamento e la relativa trascrizione eseguiti dal venditore-costruttore (trattandosi di atto unilaterale inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale e dovendosi riconoscere tale effetto solo ad un regolare contratto di compravendita).
Infine va ricordato che la soppressione del servizio di portierato nell’ambito condominiale richiede la maggioranza qualificata (giurisprudenza costante).
--Licenziamento e alloggio del portiere
E’ piuttosto raro il caso in cui il portiere sia titolare, quale conduttore, dell’immobile condominiale adibito ad alloggio del portiere o del pulitore.
In tal caso, anche se viene a cessare (per volontà dei condomini o per raggiunti limiti di età) il rapporto di lavoro il titolare, ha diritto a rimanere nell’alloggio, quanto meno fino alla scadenza del contratto, senza che detto rapporto possa incidere in alcun modo sull’immediato rilascio dell’immobile.
Diverso è il caso, ben più frequente, in cui il godimento dell’alloggio sia strettamente connesso allo svolgimento del servizio di portineria, in quanto, in tale ipotesi, venuto a cessare il servizio anzidetto, il portiere, con la sua eventuale famiglia convivente, è costretto a rilasciare l’appartamento.
In particolare, ove il portiere non provveda in tal senso, l’amministratore è legittimato ad agire nei suoi confronti con intimazione di sfratto (ed anche con licenza, se il dipendente abbia manifestato l’intenzione di non rilasciare l’immobile occupato) e contestuale citazione per la relativa convalida ai sensi dell’art. 659 c.p.c. (applicabile nell’ipotesi di godimento del bene quale corrispettivo parziale della prestazione d’opera venuta a mancare). Tale azione, peraltro, non deve essere preceduta da disdetta e vale anche nei confronti dei familiari conviventi del lavoratore.
Va ricordato che, per giurisprudenza costante (da ultimo Cass. n. 26670 del 10 novembre 2017), l’erede non convivente del conduttore non gli succede nella detenzione dell’alloggio, poiché il contratto si estingue con la morte del titolare e legittima la richiesta da parte del proprietario (nel caso trattato del Condominio) rilascio del bene occupato senza titolo dall’erede stesso.
Spesso, anche per evitare cause e in considerazione di un servizio reso correttamente per molti anni, senza particolari controversie, l’amministratore del condominio può sostituire il portiere con la moglie più giovane o con un figlio conviventi e conosciuti dai condomini, anche per evitare uno sfratto della famiglia, che spesso resterebbe altrimenti senza alloggio.
Si noti che, comunque, venuto a cessare il rapporto lavorativo, il portiere e i suoi familiari, diventano automaticamente occupanti senza titolo del locale o dei locali condominiali.
Inoltre, se il lavoratore ha impugnato il provvedimento di licenziamento, richiedendo la riassunzione o, in mancanza, il risarcimento dei danni, non ricorrendo la fattispecie di natura reale di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970, non vi sono ostacoli all’applicazione dell’art. 659 c.p.c. del provvedimento di rilascio, che – va ricordato - non deve contenere la fissazione dell’esecuzione di cui all’art. 56 della legge n. 392/1978.
d) Le destinazioni ad altre attività. Cenni
L’art. 42 della legge n. 392/1078 equipara parzialmente i contratti di locazione di immobili adibiti ad attività ricreative, assistenziali (ovvero finalizzate a prestare i mezzi idonei per soddisfare il minimo di esigenze vitali e per difendere gli individui contro i principali rischi dai quali possono essere colpiti nella loro vita sociale), culturali, scolastiche, nonché a sedi di partiti e i sindacati e quelle stipulate dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, a quelli destinati alle attività di cui all’art. 27.
Le norme applicabili sono quelle concernenti la durata dei contratti, il rinnovo tacito del contratto, salvo diniego di rinnovo (artt. 28 e 29), la misura dell’aggiornamento del canone (art. 32); le norme di rinvio di cui agli artt. da 7 a 11 (uguali per i due regimi locatizi) e tutte le norme processuali.
Non sono, invece, applicabili le norme che stabiliscono la piena tutela dei conduttori di cui agli artt. 34 (avviamento), 38, 39 e 40 (attinenti alla prelazione, in caso di vendita e di nuova locazione ed il riscatto).
Il denominatore comune di questo tipo di locazioni è l’assenza di ogni attività imprenditoriale svolta con carattere lucrativo, per le quali debbono applicarsi ad esse le regole di cui all’art. 27 e non 42 (giurisprudenza costante).
Ciò accade spesso per le attività scolastiche, ricreative culturali, quando finalizzate alla realizzazione di un lucro e, più precisamente, quando l’attività viene svolta avvalendosi di un complesso di beni organizzati in forma di azienda. In questo caso, pertanto, spetterà, alla fine del rapporto al conduttore, la piena tutela prevista per le attività commerciali di cui agli artt. 34, 38, 39, 40 citati.