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Atto amministrativo collegiale - Sostituzione dei componenti titolari CONSIGLIO DI STATO, Sezione V – Sentenza 25 gennaio 2003 n. 344

Atto amministrativo collegiale - Sostituzione dei componenti titolari con quelli supplenti - Concorso - Commissione giudicatrice

Atto amministrativo collegiale - Sostituzione dei componenti titolari con quelli supplenti - Concorso - Commissione giudicatrice (CONSIGLIO DI STATO, Sezione V – Sentenza 25 gennaio 2003 n. 344)

FATTO

1. L’attuale appellante ha partecipato al concorso pubblico, per titoli ed esami, ad un posto di primario di chirurgia generale presso il Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero di Gaeta, ma avendo conseguito alla prova scritta un punteggio di soli 4/20 non è stato ammesso alla successiva prova pratica.

2. Ha, pertanto, proposto ricorso dinanzi al TAR di Latina, impugnando, oltre il giudizio di non ammissione alla prova pratica emesso nei suoi confronti, tutti gli atti della procedura concorsuale, anche successivi alla sua esclusione tra i quali, in particolare, le deliberazioni di approvazione della graduatoria e di nomina del dott. Rebonato, quale vincitore del concorso.

3. Il TAR adito, dopo aver giudicato infondata, ed in parte inammissibile per difetto di interesse, la lunga sequela di motivi di censura (nel numero di dodici), ha respinto il gravame con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata.

4. Avverso la prefata pronunzia il dott. Sxxxxxxxxxxx ha interposto l’appello in trattazione, articolato su otto mezzi di censura, con il quale ha riproposto l’impianto di doglianze del gravame introduttivo e contestato le argomentazioni rese in proposito dai giudici del TAR di Latina.

5. Il controinteressato, vincitore del concorso, si è costituito in giudizio per resistere all’appello, ed ha controdedotto.

Le parti hanno depositato memoria.

Alla pubblica udienza del 9 luglio 2002 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello non merita accoglimento.

Occorre prendere le mosse dal primo mezzo di censura.

Con il primo motivo del ricorso introduttivo il dott. Sxxxxxxxxxxx si doleva della mancata nomina di un nuovo componente della commissione esaminatrice, e quindi dell’illegittimo subentro - a partire dal 22 ottobre 1992, a lavori non ancora iniziati - di un membro supplente (prof. Speranza), a seguito delle dimissioni rassegnate il 7 ottobre 1992 dal componente universitario, prof. Nocentini.

In questo modo il supplente sarebbe divenuto illegittimamente un titolare fisso, con l’ulteriore conseguenza che egli sarebbe rimasto, a sua volta, privo del supplente (come nuovo "titolare senza supplente"), con evidente violazione dell’art. 9 della l. 207/85.

Quest’ultima disposizione, rappresenta il dolente, stabilisce che deve essere designato oltre al titolare un membro supplente per ciascun componente "per la sostituzione del titolare nel caso di assenza o impedimento del medesimo".

Ad avviso del Sxxxxxxxxxxx, dunque, il membro supplente dovrebbe essere chiamato ad intervenire solo ed esclusivamente qualora, in corso di procedura, il titolare sia assente o impedito a partecipare, ovvero qualora il titolare abbia un impedimento momentaneo ("assenza o impedimento"), non anche laddove il titolare abbia rassegnato le dimissioni, estraniandosi definitivamente dalla procedura concorsuale, e per di più prima dell’inizio dei lavori.

I giudici di prime cure hanno, dapprima, evidenziato che l’eventualità della sostituzione del componente titolare della commissione esaminatrice che si è dimesso con il supplente già previamente individuato è tutt’altro che esclusa dalle disposizioni richiamate dal ricorrente (in particolare gli artt. 6 e 26 del d.m. 30 gennaio 1982), ed è pacificamente ammessa dalla giurisprudenza.

Ha rilevato, ad ogni modo, il Tribunale, aderendo alle deduzioni del controinteressato resistente in giudizio, che l’espressione "assenza o impedimento del titolare", utilizzata nel d.m. sopracitato per indicare le ipotesi in cui il supplente è abilitato a partecipare ai lavori della commissione, in mancanza di ulteriori specificazioni normative, risulta comprensiva di tutti i casi in cui il titolare stesso, per qualsiasi ragione, non possa (o non voglia) svolgere la funzione affidatagli, con la conseguente necessità di sostituirlo affinché l'organo collegiale possa, come necessario, continuare ad operare.

D'altra parte, continuano i primi giudici, qualora fosse, per ipotesi, effettivamente necessario interpretare le disposizioni sopra indicate nel senso proposto dal ricorrente, esse risulterebbero quantomeno incomplete, in quanto indicherebbero il rimedio per l'inconveniente minore, rappresentato dalla solo temporanea assenza di un membro della commissione, mentre lascerebbero senza disciplina proprio la situazione più rilevante e meritevole di considerazione, evidentemente costituita dalla definitiva cessazione di un componente dalla funzione.

In effetti, pare al Collegio che le censure dedotte dall’appellante non colgano nel segno, in quanto affette da una visione troppo riduttiva e formale delle funzioni del supplente. Se è, infatti, principio generale connaturale al funzionamento dei collegi amministrativi che alla qualifica del "supplente" vada ricondotta una posizione funzionale vicaria, di modo che esso può entrare in gioco legittimamente solo se e quando il titolare (ed esclusivamente quello individuato) non possa esplicare la sua attività perché assente o impedito, non può d’altra parte accettarsi la limitazione delle potenzialità funzionali del supplente ad impedimenti meramente temporanei, e comunque non duraturi, occorsi al medesimo componente titolare.

A volte anzi, al contrario, un impedimento del tutto temporaneo del titolare può giustificare la mancata convocazione del supplente e quindi la posizione di attesa della Commissione finché non sia in grado di riunirsi di nuovo, a breve termine, con tutti i suoi originari titolari.

E’ così condivisibile l’orientamento della sentenza avversata, che ha richiamato all’uopo pronunzie giurisprudenziali di primo grado, per il quale ai sensi dell’art. 9 della legge 20 maggio 1985 n. 207, in caso di assenza o di impedimento del componente titolare della commissione giudicatrice di concorso nelle Unità sanitarie locali, questo deve essere automaticamente ed ineludibilmente sostituito col membro supplente (con l’effetto, ad esempio, che è illegittima la sostituzione dell’originario componente effettivo deceduto mediante la nomina di un nuovo titolare, tenendo ferma la precedente designazione del membro supplente: cfr. Tar Lombardia, Milano, III, 10 gennaio 1995, n. 31).

Diversamente opinando, e portando alle estreme conseguenze i ragionamenti dell’appellante, si giungerebbe, come suggerisce la difesa del controinteressato, e visto che quello che in fondo si lamenta è che il supplente è divenuto nuovo titolare, ma senza a sua volta supplente, alla doverosa nomina, a catena, di più "supplenti dei supplenti".

Non può, in definitiva, escludersi, anche per ragioni di correntezza ed economia procedimentale, un subentro a titolo non meramente temporaneo del supplente nella posizione del titolare, definitivamente impedito, per motivi gravi e documentati ma anche per cessazione volontaria dalle funzioni, ad esercitare le attribuzioni spettantigli.

La circostanza che la commissione non aveva iniziato ad operare non può risultare decisiva, nel senso di precludere con certezza l’utilizzabilità del supplente, atteso che era già comunque intervenuta, in data 29 luglio 1992, la valida costituzione della medesima.

Il motivo è, in definitiva, infondato.

2. Le riportate argomentazioni valgono, a fortiori, come ha rilevato il Tribunale territoriale, a confutare anche la prima parte del secondo motivo di censura, attinente alla sostituzione mediante supplente e non con un nuovo titolare - in data 19 gennaio 1993 e quindi a lavori della commissione già in corso - di un componente (questa volta) collocato a riposo (dott. Fochi).

Peraltro, come riconosciuto dallo stesso istante nell’atto introduttivo, il componente da ultimo citato è stato successivamente reintegrato, con delibera del 2 marzo 1993, e quindi ha continuato a svolgere le funzioni affidategli in virtù dell’ottenuto differimento della data di collocamento a riposo (67° anno).

Quanto al profilo della sostituzione del segretario della commissione, avvenuta in base a delibera del 1° luglio 1993, e che sarebbe ad avviso del reclamante illegittima in quanto intervenuta allorquando la commissione esaminatrice avrebbe dovuto provvedere alla valutazione dei titoli, il Sxxxxxxxxxxx insiste, in questo grado di giudizio, nella lamentela, rilevando che la motivazione del TAR non può essere convincente laddove attribuisce alla "importantissima figura del Segretario un ruolo talmente marginale, da ritenere quasi inutile la continuità della funzione che questi è chiamato a svolgere".

Ma hanno ragione i primi giudici quando affermano che non merita sorte favorevole nemmeno tale secondo profilo di censura contenuta nel secondo motivo perché, secondo le previsioni del d.m. 30 gennaio 1982, il segretario non è anche "componente" della commissione giudicatrice di concorso.

Tale funzionario, infatti, pur rivestendo senza dubbio un ruolo tutt’altro che marginale, espleta in piena neutralità funzioni serventi e certificatorie, che si concretano essenzialmente nella stesura e nella cura della sottoscrizione dei verbali, nonché nella conservazione degli elaborati, ma non concorre alla formazione dei giudizi tecnico-valutativi che sono propri della commissione, con salvezza dei casi in cui in cui tali funzioni certificatorie, di custodia e di stesura degli atti siano assunte da un componente della commissione esaminatrice per espressa disposizione di portata generale.

Ne consegue che, in relazione alla sostituzione del segretario, non è ipotizzabile il vizio di violazione delle disposizioni che si occupano espressamente dei soli membri della commissione d’esame.

3. In relazione al terzo profilo di lagnanza, occorre dare effettivamente atto, come ha fatto anche l’Organo di prime cure, che il sesto comma dell'art. 9 del decreto ministeriale più volte citato ribadisce che ciascun commissario ha "l'obbligo della firma dei verbali di concorso".

Il TAR ha osservato che tale "obbligo", però, risulta esplicitamente riaffermato nel menzionato decreto non tanto per reprimere con una ineludibile sanzione di invalidità le operazioni della commissione che siano riportate in verbali non sottoscritti da tutti indistintamente i commissari, ma più semplicemente al fine, peraltro esplicitamente dichiarato, di indicare la forma che ciascun commissario deve necessariamente osservare per "far inserire" nei verbali "tutte le osservazioni in merito a presunte irregolarità nello svolgimento del concorso ed il proprio eventuale dissenso circa le eventuali decisioni adottate dagli altri componenti della commissione".

In assenza di una norma speciale che sic et simpliciter commini l’invalidità delle operazioni verbalizzate, le conseguenze della mancata osservanza dell’obbligo in questione - che pure sicuramente esiste - debbono essere, pertanto, valutate, ad avviso del Tribunale, dando applicazione al principio generale della "strumentalità delle forme", secondo il quale, tra l’altro, il raggiungimento dello scopo cui un atto sia preordinato rappresenta il criterio differenziale fra invalidità e mera irregolarità dell'atto stesso.

Da ciò consegue che la mancata osservanza di regole procedurali o formali, salvo che non sia a priori ed espressamente individuata da una specifica norma come causa di invalidità, ha giuridico rilievo solo se oggettivamente impedisce il conseguimento del risultato verso cui l'azione amministrativa è diretta.

Ragionando in termini ancor più generali, la Sezione, sulla scorta anche di un recentissimo precedente giurisprudenziale del Consiglio particolarmente conferente all’ipotesi de qua (Cons. Stato, VI, 4 dicembre 2001, n. 6058), osserva in questa sede che l’apprezzamento, nella sua esatta valenza, della prescrizione di obbligatoria sottoscrizione (si veda anche l’art. 8 del DPR 686/57 e l’art. 15 del DPR 487/94), da parte di tutti i commissari e del segretario, del processo verbale riportante le operazioni di esame e di valutazione e le decisioni prese dalla commissione esaminatrice, anche nel giudicare i singoli elaborati, non può prescindere dalla considerazione che il verbale stesso (unico documento probatorio dello svolgimento delle operazioni e del contenuto degli atti concorsuali), anche se preordinato a riprodurre l’attività di un organo collegiale (quale è la commissione giudicatrice), non è per sua natura un atto collegiale, ma solo il documento materiale che attesta, con le garanzie di legge, il contenuto di una volontà collegiale, la cui invalidità, stante il carattere insostituibile della prova, si risolve, tuttavia, nella concreta impossibilità di dimostrare la formazione di detta volontà.

La non ascrivibilità del verbale alla categoria degli atti collegiali comporta, come conseguenza, che la sottoscrizione di tutti i componenti del collegio, della cui attività in esso venga dato atto, non può considerarsi elemento essenziale per la sua esistenza ed intrinseca validità, che possono essere incise solo dalla mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale che svolge la funzione di redattore del verbale, ovvero dalla mancata indicazione delle persone intervenute.

Può, allora, affermarsi che la specifica previsione della sottoscrizione del processo verbale da parte di tutti i componenti della commissione esaminatrice, non essendo preordinata ad integrare né l’esistenza né l’efficacia probatoria del documento, è chiamata ad assolvere, più che altro, la funzione di tutelare il diritto di ciascuno di detti componenti di verificare la conformità del verbale alle operazioni svolte ed alle valutazioni espresse, così da consentire a ciascuno di loro di far constare il proprio dissenso.

Tale dissenso può anche esprimersi nel rifiuto di apporre la propria sottoscrizione, rifiuto che, anche in questo caso, non incide, evidentemente, sulla validità dell’atto, bensì esprime solo la dissociazione dell’autore dal contenuto di quest’ultimo.

Ne consegue, in definitiva, che la mancanza della firma di uno dei commissari di esame, ove non sia determinata dalla mancata partecipazione di questi alla seduta (nel qual caso, però, l’invalidità della procedura si ricollega alla natura di collegio perfetto della commissione giudicatrice e non al profilo formale), ovvero da un atto volontario di astensione esplicitamente fatto constare, concreta una irregolarità del verbale, ascrivibile a mero errore materiale.

Tali osservazioni di carattere generale sono avvalorate, con riferimento alla procedura concorsuale de qua, dal fatto che, pur a fronte della mancanza - nei tre verbali (nn. 3, 4 e 5) di concorso indicati dalla parte ricorrente - del dato formale della firma di uno dei componenti partecipanti alle riunioni, non è stato mai posto in dubbio, anche dallo stesso ricorrente (che, in effetti, si è ben guardato, almeno nell’atto introduttivo, dal sostenere che non vi era corrispondenza fra quanto effettivamente avvenuto e quanto riferito nei verbali), che siano stati sempre presenti tutti i componenti, come attestato dal segretario.

Anche il motivo in esame risulta, pertanto, infondato.

4. Con il quarto mezzo di censura l’appellante ripropone l’eccezione di illegittimità della procedura, sollevata in prime cure, in relazione alla partecipazione ai lavori concorsuali di un membro della commissione, primario di chirurgia, interessato da provvedimenti giudiziari per fatti di corruzione, ed in particolare da un procedimento penale che ha comportato a suo carico un ordine di cattura e la sottoposizione agli arresti domiciliari (procedimento poi conclusosi con condanna patteggiata, quando il suddetto si era già dimesso da primario ospedaliero).

Il Tribunale periferico ha ritenuto di poter notare che l’avvio di un procedimento penale e l’adozione di misure cautelari coercitive, anche se accompagnati da clamori di stampa, non comportano, come è noto, presunzioni di colpevolezza, e di certo non sono da soli idonei a rendere necessaria l’immediata espulsione dell’imputato da tutti gli organi collegiali di cui si trovi a far parte, soprattutto (e questo appare l’elemento chiave) in mancanza dell’adozione nei confronti del commissario in questione, da parte della U.S.L. di appartenenza, di provvedimenti di sospensione cautelare o di decadenza dall’impiego, che nella specie non risultano essere stati adottati.

Ciò nella considerazione che, in effetti, il commissario era stato a suo tempo nominato in quanto in possesso della qualifica e delle funzioni di primario ospedaliero.

Pur senza voler sminuire, quindi, la particolare delicatezza dell’accaduto, che tra l’altro ha anche, e non di poco, inciso sulla celerità dei lavori della commissione (la quale non si è potuta riunire per diversi mesi causa l’impedimento forzato interessante il componente in questione), possono essere sposate le argomentazioni dei primi giudici, con particolare riguardo alla rilevanza decisiva della mancata emissione, da parte dell’Amministrazione sanitaria di appartenenza, di provvedimenti di sospensione a titolo cautelare, o di decadenza dall’impiego, nei confronti del commissario in questione, destinato a dimettersi nel corso della procedura.

Anche il quarto motivo va pertanto disatteso.

5. Non merita, invero, miglior sorte il quinto profilo di doglianza, con il quale il Sxxxxxxxxxxx si è soffermato sulla carenza motivazionale che ha accompagnato l’attribuzione del punteggio numerico, peraltro particolarmente esiguo, al suo elaborato scritto.

Premesso che non possono trovare valido ingresso, siccome per lo più non attinenti ad aspetti sindacabili, le generiche considerazioni circa i profili di illogicità e di contraddittorietà del punteggio assegnato, alla stregua anche dei precedenti di carriera del reclamante (del resto una prova scritta concorsuale va valutata in sé stessa, potendosi ad esempio ricondurre un punteggio particolarmente basso a momenti di defaillance di carattere temporaneo e contingente, che esulano del tutto dalla valutazione complessiva della brillantezza della carriera, delle prove in precedenza sostenute e dei servizi espletati nel passato dal candidato), resta da affrontare la ben nota tematica della sufficienza, dal punto di vista motivazionale, dell’attribuzione di un voto meramente numerico, che non consentirebbe, lamenta l’istante, in quanto tra l’altro non ancorato a precisi criteri di valutazione, di ripercorrere l’esatto iter logico seguito dalla commissione esaminatrice per pervenire a quel determinato punteggio.

Dato atto che la formulazione dell’art. 13 del d.m. 30 gennaio 1982 non esclude, di per sé, che anche la valutazione di merito delle prove giudicate insufficienti possa essere validamente espressa per il tramite dell’attribuzione di un punteggio meramente numerico, il Collegio trova valido appoggio nell’orientamento giurisprudenziale decisamente prevalente, più volte fatto proprio anche dalla Sezione (ma non solo da essa), secondo cui in tema di concorso a posti di pubblico impiego, ed anche dopo l’entrata in vigore della l. 241/90, nell’attribuzione del punteggio numerico alle prove d’esame è da considerarsi insito il giudizio espresso dalla commissione esaminatrice, il quale non abbisogna di ulteriori motivazioni, né che venga riportato il voto assegnato da ciascun membro della commissione, anche a fronte di prove concorsuali valutate come negative o insufficienti (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 4 aprile 2002, n. 1859; IV, 26 aprile 2002, n. 2226 e 15 maggio 2002, n. 2600; VI, 29 marzo 2002, n. 1786; v. anche V, 27 febbraio 2001, n. 1059 e 20 marzo 2000, n. 1504), salvo che, ma non è il caso di specie, l’Amministrazione si sia vincolata, in sede di elaborazione dei criteri di massima, a dare conto in maniera puntuale di alcuni elementi di valutazione (Cons. Stato, VI, 8 aprile 2002, n. 1884).

L’attribuzione di un punteggio numerico si configura, infatti, come l’adozione di una formula sintetica, ma eloquente, che esterna compiutamente la valutazione tecnica della commissione esaminatrice, la quale è priva di valenza schiettamente provvedimentale (Cons. Stato, IV, 1° febbraio 2001, n. 367; VI, 4 giugno 2002, n. 3155, secondo cui, peraltro, una più specifica motivazione si giustifica quando vi sia contrasto talmente rilevante tra i punteggi attribuiti dai componenti della commissione che possa configurarsi una contraddittorietà intrinseca del giudizio complessivo).

La censura, dunque, va disattesa, né sussistono gli estremi per dare seguito alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della l. 241/90, già peraltro risolta dalla Corte Costituzionale (investita dal TAR Lombardia), con ordinanza del 3 novembre 2000, n. 466, nel senso della palese inammissibilità, in quanto questione non diretta in realtà a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, bensì traducentesi in "un improprio tentativo di ottenere l’avallo della Corte circa una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito, tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati".

6. Con il sesto mezzo di censura in appello, il Sxxxxxxxxxxx contesta la declaratoria di inammissibilità dei motivi sesto, settimo, ottavo ed undicesimo del ricorso introduttivo, formulata dal Tribunale amministrativo pontino sulla base della considerazione che essi investono atti appartenenti a fasi del procedimento concorsuale (espletamento della prova pratica - che si sarebbe tradotta, in realtà, in una prova scritta e colloquiale di certo non pienamente in linea con le specifiche capacità professionali (nel settore della chirurgia) da valutarsi - nonché di quella orale, redazione della graduatoria comprensiva dei punteggi assegnati per i titoli e approvazione della stessa) successive all'esclusione (rectius mancata ammissione alla fase successiva) del ricorrente.

L'accoglimento di tali censure non potrebbe, pertanto, risultare di alcun giovamento per il ricorrente stesso, in quanto l'eventuale annullamento degli atti in questione comporterebbe, non già il rinnovo dell'intero procedimento, ma solo la ripetizione di fasi dello stesso alle quali comunque il ricorrente non potrebbe partecipare per essere stato escluso, legittimamente, in un momento anteriore.

I suddetti principi sono ineccepibili e quindi anche la lagnanza in questione non merita adesione, dovendosi confermare l’inammissibilità delle richiamate censure per difetto di interesse.

7. Con il settimo profilo di doglianza del gravame d’appello, l’appellante ripropone, invece, il nono ed il decimo motivo del ricorso originario, circa la nomina ed i requisiti tecnico-professionali del Presidente e di alcuni componenti della commissione d’esame.

Anche tali profili non convincono il Collegio, essendo stata invocata una disposizione (art. 3, comma 21, l. 537/93) chiaramente inapplicabile, in mancanza di previsione espressa di retroattività, alla fattispecie in argomento (cfr., in tema, anche Cons. Stato, V, 4 aprile 2002, n. 1859), essendo i lavori della commissione giudicatrice, nominata nel formale rispetto della l. 111/91, da tempo in corso.

8. Da ultimo, anche l’ottavo motivo, riproducente la dodicesima lagnanza del ricorso introduttivo, e concernente la violazione e falsa applicazione dell’art. 25 della l.r. 18/94, è privo di pregio, sia, anche in questo caso, per inapplicabilità (retroattiva) delle norme regionali alla procedura in questione, in via di ultimazione.

9. Alla stregua del complesso delle considerazioni che precedono, il gravame in appello di cui in epigrafe non può sfuggire alla pronunzia di rigetto.

Le spese di lite, con riferimento al presente grado di giudizio, possono essere, nondimeno, compensate tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta.

Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti costituite.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale