Skip to main content

Appello - Domande nuove - Causa petendi e petitum - Usucapione speciale ex art. 1159 bis cod. civ - Requisiti - Proposizione della domanda in appello Corte di Cassazione, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7543 del 31/03/2011

Appello - Domande nuove - Causa petendi e petitum - Usucapione speciale ex art. 1159 bis cod. civ. - Requisiti - Proposizione della domanda in appello - L'usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, disciplinata dall'art. 1159 bis cod. civ., richiede l'accertamento di un diritto che postula requisiti specifici quali la classificazione rurale del fondo, l'annessione di un fabbricato, l'insistenza in un territorio classificato montano ovvero un'attribuzione reddituale non superiore a determinati limiti stabiliti dalla legge. Ne consegue che la domanda di usucapione speciale non può ritenersi immanente in ogni domanda di usucapione ordinaria; sicché, ove proposta per la prima volta in appello, la domanda di usucapione speciale può reputarsi ammissibile se le condizioni costitutive del diritto siano state oggetto di specifiche allegazioni e prove già introdotte, ritualmente, in causa, dovendosene altrimenti ritenere la tardività. Corte di Cassazione, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7543 del 31/03/2011

 Corte di Cassazione,  Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7543 del 31/03/2011

RITENUTO IN FATTO

che Ca.. GIUSEPPE ha chiesto nei confronti di Le.. ANTONINO l'accertamento dell'avvenuto acquisto per usucapione di un fondo seminativo, con annesso fabbricato rurale, ubicato nel territorio di Bronte, contrada Sciarotta, della estensione complessiva di circa are settanta e centiare cinquantaquattro;
che, nella resistenza del Le.., l'adito Tribunale di Ca.. - Sezione distaccata di Bronte, disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di Lombardo Giuseppe, titolare del diritto di usufrutto su detto fondo, ha accolto la domanda di usucapione ordinaria;
che la Corte d'appello di Ca.., con sentenza n. 1111 del 2009, depositata il 6 agosto 2009, ha accolto l'appello di Le.. Antonino, condannando il Ca.. al rilascio del fondo in favore dell'appellante;
che la Corte d'appello ha ritenuto, innanzitutto, che l'appellante correttamente non aveva notificato il gravame agli eredi di Lombardo Giuseppe, i quali risultavano privi di titolo che li legittimasse a partecipare al giudizio per non essere succeduti al loro dante causa nel diritto di usufrutto sul fondo oggetto di causa, trattandosi di diritto che si era estinto con la morte del Lombardo;
che il Giudice del gravame ha poi ritenuto che le risultanze della prova testimoniale non fossero idonee a dimostrare il possesso ultraventennale in capo all'attore, e ha escluso che all'appellato potesse giovare l'istituto della successione nel possesso, giacché il Lombardo possedeva il detto fondo a titolo di usufrutto;
che la Corte d'appello ha quindi ritenuto infondata la domanda in via subordinata di usucapione decennale, in quanto il titolo invocato dall'appellato - denuncia di successione - non era idoneo a trasferire la proprietà e l'usufrutto si era estinto con la morte del titolare;
che, quanto alla domanda di usucapione speciale ex art. 1159 bis cod. civ., la Corte ne ha poi dichiarato la inammissibilità, perché tardivamente proposta all'udienza di precisazione delle conclusioni, senza considerare, peraltro, che l'appellato neanche aveva tentato di provare i fatti costitutivi della sua subordinata pretesa;
che per la cassazione di questa sentenza ricorre Ca.. Giuseppe sulla base di quattro motivi; resiste, con controricorso, Le.. Antonino;
che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.
Rilevato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:
"(...) Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 331 cod. proc. civ., si duole del fatto che la Corte d'appello non abbia rilevato la carenza di contraddittorio determinato dalla mancata citazione nel giudizio di appello dei soggetti già citati nel giudizio di primo grado. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto non tiene conto della ragione in base alla quale la Corte d'appello, che pure si è posta il problema, ha ritenuto che, nel caso di specie, non ricorresse un litisconsorzio necessario, posto che i soggetti pretermessi erano bensì successori di Le.. Giuseppe (recte:
Lombardo), ma non nel diritto di usufrutto che questi aveva sul fondo oggetto della domanda di usucapione, diritto estintosi con la morte del Le.. (recte: Lombardo) stesso. In tale contesto, la Corte d'appello ha anche affermato che il contraddittorio non avrebbe dovuto essere integrato nei confronti di detti soggetti nel giudizio di primo grado.
Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando il vizio di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione e violazione dell'art. 116 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto non provato il decorso del tempo utile all'usucapione, senza procedere alla valutazione dell'insieme delle risultanze probatorie, ma utilizzando solo parzialmente il materiale di prova acquisito senza che dalla motivazione della sentenza si evincano, anche implicitamente, le ragioni che hanno determinato il convincimento del decidente.
La semplice lettura del motivo rende evidente che il ricorrente si duole in realtà di come la Corte d'appello abbia apprezzato le risultanze istruttorie piuttosto che censurare specifiche lacune o incongruenze della sentenza impugnata, che peraltro non appaiono in alcun modo esistenti, posto che la Corte d'appello ha compiutamente dato conto delle ragioni per le quali, alla luce delle risultanze istruttorie complessivamente acquisite, non poteva ritenersi provato il possesso ultraventennale.
Con il terzo motivo, il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 1146 cod. civ., lamenta che la Corte d'appello non abbia ritenuto applicabile la continuazione nel possesso di Lombardo Giuseppe, sulla base del mero rilievo contrattuale che il Lombardo possedeva il detto fondo a titolo di usufrutto. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte d'appello ha escluso che il ricorrente potesse cumulare al proprio possesso quello maturato da Lombardo Giuseppe, sul rilievo che il possesso di quest'ultimo era avvenuto a titolo di usufrutto, laddove quello del ricorrente era finalizzato all'usucapione. Da qui la diversità di titoli del possesso che giustifica la impossibilità di cumulo. Il ricorrente, peraltro, non indica neanche il titolo in base al quale egli sarebbe succeduto al Lombardo e quindi non specifica quale avrebbe potuto essere il fondamento della invocata successione nel possesso.
Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 1159 bis cod. civ. e art. 345 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto tardiva la domanda di accertamento dell'usucapione speciale ex art. 1159 bis cod. civ., perché formulata all'udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado. Il motivo appare manifestamente fondato.
Nella giurisprudenza di legittimità è consolidato l'orientamento per cui nelle azioni a difesa del diritto di proprietà e degli altri diritti reali di godimento, che sono individuati solo in base al loro contenuto (con riferimento cioè, al bene che ne costituisce l'oggetto), la causa petendi si identifica con il diritto stesso e non, come nei diritti di credito, con il titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione, usucapione etc.), la cui deduzione, necessaria ai fini della prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda; ne consegue che l'allegazione in appello dell'acquisto per usucapione abbreviata non costituisce domanda nuova rispetto a quella di usucapione ordinaria inizialmente proposta con riferimento allo stesso bene, poiché -
indipendentemente dalla necessità di provare ulteriori elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva - viene rivendicato il medesimo diritto (Cass., n. 11293 del 2007; Cass., n. 19544 del 2009, con specifico riferimento ad un'ipotesi di usucapione speciale ex art. 1159 bis cod. civ.).
Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto la domanda subordinata non tempestiva ed in ciò va ravvisata la ratio decidendi, che non può ritenersi integrata dalla successiva proposizione "a tacer del fatto che il Ca.. non ha neppure tentato di provare i fatti costitutivi di tale ancor più subordinata pretesa.
Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio";
che la richiamata relazione è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.
Rilevato che il Pubblico Ministero ha fatto pervenire conclusioni scritte, nelle quali dissente dalla relazione con riferimento alla proposta di decisione relativamente al quarto motivo di ricorso, del quale chiede il rigetto;
che entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ., comma 3;
che, in particolare, il ricorrente ha insistito per l'accoglimento di tutti i motivi del proposto ricorso, mentre il resistente ha contestato la soluzione proposta in ordine al quarto motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio condivide la soluzione proposta nella relazione solo per quel che concerne i primi tre motivi di ricorso;
che, quanto al primo motivo, si deve rilevare che le critiche svolte dal ricorrente non appaiono idonee ad indurre a una soluzione diversa da quella proposta;
che, invero, la Corte d'appello, avendo escluso la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con riferimento agli eredi del Lombardo, dal momento che in relazione all'usufrutto del quale questi era titolare non era ipotizzabile una successione, correttamente ha rilevato che il contraddittorio non doveva essere esteso agli stessi nel giudizio di primo grado e altrettanto correttamente ha ritenuto di prescindere dalla integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello;
che le osservazioni del ricorrente sul punto, all'evidenza, non tengono conto della situazione sostanziale di inesistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario, affermata dalla Corte d'appello, e non colgono, quindi, la ratto decidendi della sentenza impugnata;
che infondato risulta anche il secondo motivo di ricorso, dal momento che anche le argomentazioni svolte dal ricorrente nella memoria si risolvono in una censura all'apprezzamento delle risultanze istruttorie, sulle quali la Corte d'appello ha svolto una congrua, logica e motivata ricostruzione, in base alla quale ha escluso il possesso ultraventennale del terreno oggetto della domanda di usucapione;
che non colgono nel segno neanche le censure svolte con riferimento agli atti interruttivi del possesso utile ai fini dell'usucapione, atteso che, all'evidenza, la sentenza impugnata si fonda sull'accertata mancanza di prova del possesso ultraventennale, sicché le argomentazioni sulla erroneità della configurabilità come atti interruttivi della costituzione di parte civile in un procedimento penale ovvero della presentazione della denuncia di successione di Lombardo Giuseppe, espressamente qualificato come usufruttuario, appaiono del tutto inidonee ad inficiare la vera ratio decidendi della sentenza impugnata, consistente in ciò che il ricorrente non ha fornito la prova di un possesso ultraventennale;
che del pari infondato è il terzo motivo di ricorso, atteso che, in aggiunta alle condivisibili ragioni esposte sul punto nella relazione, deve rilevarsi che le osservazioni svolte dal ricorrente nella memoria, da un lato, non censurano il fatto che il Lombardo fosse usufruttuario del terreno; dall'altro, presuppongono un accertamento di fatto in ordine all'esistenza in capo al Lombardo di una situazione non riconducibile alla posizione di usufruttuario, ma a quella di effettivo proprietario: accertamenti di fatto che non risultano essere stati effettuati nei giudizi di merito e che pertanto rimangono sul piano delle mere allegazioni di parte, prive di riscontro probatorio;
che il Collegio dissente, invece, dalla proposta di decisione concernente il quarto motivo di ricorso;
che, infatti, deve rilevarsi, come esattamente osservato nelle conclusioni scritte della Procura Generale, che dal principio generale in tema di diritti autodeterminati non può trarsi l'automatica conseguenza processuale della ammissibilità incondizionata della domanda di usucapione speciale, in qualsiasi momento;
che, invero, le decisioni richiamate nella relazione, cosi come le altre in materia, precisano che l'autodeterminazione del diritto reale sta nella identificazione del diritto in base al suo contenuto e cioè con riferimento al bene che ne costituisce l'oggetto;
che nell'usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, l'oggetto del diritto è un bene che presenta connotati del tutto specifici, materiali e giuridici: classificazione rurale del fondo, annessione di un fabbricato, insistenza in un territorio classificato montano ovvero attribuzione reddituale non superiore a determinati limiti stabiliti dalla legge speciale (L. n. 346 del 1976; L. n. 97 del 1994);
che, quindi, se il rapporto tra usucapione ordinaria e abbreviata autorizza a istituire tra le due previsioni una relazione di differenziazione degli istituti, e perciò anche delle rispettive domande, esclusivamente per il titolo (possesso ultraventennale;
possesso decennale e acquisto in buona fede in base a titolo idoneo), non altrettanto può affermarsi nel rapporto tra usucapione generica (ordinaria o abbreviata che sia) e usucapione speciale di cui all'art. 1159 bis cod. civ., non potendosi affatto sostenere che in ogni domanda di usucapione di un immobile sia immanente anche quella di usucapione speciale di una piccola proprietà rurale;
che, pertanto, l'enunciato di principio, di ammissibilità della domanda formalmente tardiva di usucapione speciale, trova il proprio limite nella condizione della identità del bene che rappresenta l'oggetto del diritto, giacché altrimenti ne risulterebbe violato, prima ancora che l'art. 345 cod. proc. civ., il regime delle preclusioni processuali in tema di contenuto della domanda e relative allegazioni e prove;
che, in sostanza, la domanda di usucapione speciale può dirsi ammissibile, anche se tardiva, in quanto essa costituisca una mera specificazione o qualificazione giuridica di elementi di fatto e di argomenti e mezzi di prova già acquisiti al processo e al contraddittorio, in quanto solo così potrebbe sostenersi la semplice variazione di titolo che permette di considerare indifferente tale mutamento ai fini del giudizio di novità, o no, di una domanda giudiziale;
che, del resto, in questo ordine di idee deve essere letta la giurisprudenza più recente di questa Corte, laddove essa, nel ribadire il principio relativo ai diritti autodeterminati, afferma che il giudice può bensì accogliere la domanda apparentemente nuova, ma solo se le condizioni costitutive del diritto siano state oggetto di specifiche allegazioni e prove ufficialmente introdotte in causa (Cass., n. 12617 del 2010; nonché Cass., n. 6238 del 2010, secondo cui l'usucapione abbreviata, per i suoi peculiari requisiti rispetto all'usucapione ordinaria, deve essere specificamente invocata e la sua deduzione non può considerarsi compresa in quella concernente l'usucapione ordinaria, sicché non può essere invocata per la prima volta nel giudizio di cassazione, e sentenze ivi richiamate);
che, come ancora esattamente rilevato dalla Procura Generale, l'ulteriore affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l'appellante non ha "neppure tentato di provare i fatti costitutivi di tale ancor più subordinata pretesa", contrariamente a quanto sostenuto nella relazione, appare tutt'altro che superflua e si presta a fondare il giudizio conclusivo di infondatezza del quarto motivo di ricorso;
che, invero, la riportata affermazione registra il deficit probatorio e di allegazione, non più colmabile neppure in sede di rinvio restitutorio, sulle condizioni tutte della richiesta applicazione dell'istituto speciale e attesta la impossibilità di poter considerare la domanda tardiva, nel suo oggetto e nel suo contenuto, come già ricompresa in quella iniziale;
che, dunque, nella richiamata affermazione deve ravvisarsi, contrariamente a quanto ipotizzato nella relazione, una ratio autonoma, se pur connessa, della decisione, conforme ai richiamati principi;
che da ciò discendono due conseguenze: da un lato la irrilevanza di una impugnazione che, in presenza di una duplice ratio della pronuncia, si limiti a censurarne una soltanto; dall'altro, la mancanza di interesse all'impugnazione, dal momento che, tenuto fermo e non contestato il difetto di allegazione e di prova, dall'eventuale accoglimento in astratto della questione, sollevata in ordine alla ipotetica violazione dell'art. 345 cod. proc. civ., non potrebbe comunque prodursi alcun concreto assetto favorevole al ricorrente;
che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
che, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.
 P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 settembre 2010. Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011