Condanna a Google - le motivazioni
"Non tutto è permesso su internet" - Google - Il giudice Oscar Magi spiega la sentenza contro tre dirigenti per il video del disabile picchiato "Privacy del tutto carente, non esiste la sconfinata prateria di Internet dove nulla è vietato" Rassegna stampa Data: 13/04/2010 Fonte: LA REPUBBLICA
Condanna a Google, le motivazioni - "Non tutto è permesso su internet" - Google - Il giudice Oscar Magi spiega la sentenza contro tre dirigenti per il video del disabile picchiato "Privacy del tutto carente, non esiste la sconfinata prateria di Internet dove nulla è vietato" Rassegna stampa Data: 13/04/2010 Fonte: LA REPUBBLICA
Condanna a Google, le motivazioni - "Non tutto è permesso su internet"
Il giudice Oscar Magi spiega la sentenza contro tre dirigenti per il video del disabile picchiato "Privacy del tutto carente, non esiste la sconfinata prateria di Internet dove nulla è vietato"
Il motore di ricerca: "Attacco ai principi della rete, faremo ricorso"
MILANO - "Non esiste la sconfinata prateria di internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato, pena la scomunica mondiale del popolo del web. Esistono invece leggi che codificano comportamenti che creano degli obblighi che ove non rispettati conducono al riconoscimento di una penale responsabilità". Lo scrive il giudice Oscar Magi per motivare la condanna inflitta il 24 febbraio dal tribunale di Milano a tre dirigenti di Google. La società annuncia ricorso, ribadendo che la condanna "attacca i principi stessi su cui si basa internet".La sentenza fa riferimento al caso del video, pubblicato sul motore di ricerca, nel quale un ragazzo disabile veniva picchiato da alcuni compagni di classe. I dirigenti dell'azienda di Mountain View sono stati condannati a sei mesi con sospensione condizionale della pena per violazione della legge sulla privacy, mentre sono stati assolti dall'accusa di diffamazione. "L'informativa sulla privacy", scrive il giudice Magi, "era del tutto carente o comunque talmente nascosta nelle condizioni generali del contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalla legge". La condanna dei dirigenti di Google, infatti, chiarisce il magistrato, "non viene qui costruita sulla base di un obbligo preventivo di controllo sui dati immessi", ma per "un insufficiente (e colpevole) comunicazione degli obblighi di legge", riguardo l'informativa sulla privacy. La responsabilità dolosa dei tre dirigenti è stata riconosciuta nel "fine di profitto" e del "interesse economico". Per accertare l'illecito trattamento di dati personali e sensibili (reato per cui sono stati condannati gli imputati), infatti, serve, come chiarisce il giudice, "il fine di profitto, richiesto dalla norma specificamente per la sussistenza del dolo". E nel caso concreto, prosegue il magistrato, tale fine "era, evidentemente, ricollegabile alla interazione commerciale ed operativa esistente tra Google Italy e Google Video". Google Italy, si legge ancora, "trattava i dati contenuti nei video caricati sulla piattaforma di Google Video e ne era quindi responsabile". Il giudice parla di "chiara accettazione consapevole del rischio", da parte degli imputati, "di inserimento e divulgazione di dati, anche e soprattutto sensibili", come quelli del video in questione, "che avrebbero dovuto essere oggetto di particolare tutela". In parole semplici, si legge nelle motivazioni, "la scritta sul muro non costituisce reato per il proprietario del muro. Ma il suo sfruttamento commerciale può esserlo, in determinati casi e determinate circostanze". "Come abbiamo detto nel momento in cui la sentenza è stata annunciata, questa condanna attacca i principi stessi su cui si basa internet", commenta Google in una nota. "Se questi principi non venissero rispettati, il web così come lo conosciamo cesserebbe di esistere e sparirebbero molti dei benefici economici, sociali, politici e tecnologiche che porta con sè. Si tratta di importanti questioni di principio", conclude la società, "ed è per questo che noi e i nostri dipendenti faremo appello contro questa decisione". La condanna aveva scatenato la reazione delle associazioni per la libertà di internet, ma soprattutto le proteste degli Stati Uniti che, attraverso l'ambasciatore in Italia David Thorne si erano detti "negativamente colpiti". Magi risponde anche a loro quando scrive: "Non sembra, a questo giudice, di aver alterato in modo sensibile i parametri valutativi e giurisdizionali che presiedono alle decisione" di casi simili. "In ogni caso - si legge ancora nelle motivazioni - questo giudice, come chiunque altro, rimane in attesa di una 'buona legge' sull'argomento in questione".
Data: 13/04/2010
Fonte: LA REPUBBLICA