Misure cautelari personali – Determinazione della pena ai fini dell’applicazione
Misure cautelari personali – Determinazione della pena ai fini dell’applicazione – Rilevanza della continuazione tra i reati – Rapporto tra le disposizioni di cui all’art. 275 comma 2 bis e 278 c.p.p. – Rispettivi ambiti di applicazione – Infondatezza della questione di legittimità costituzionale in merito al mancato coordinamento tra i limiti di pena previsti dall’art. 275 comma 2 bis e 656 comma 5 c.p.p. – Cassazione penale, sez. I, sentenza n. 9438 del 04/03/2019 (ud. 29/01/2019) Commento a cura dell’Avv. Marco Grilli
Fatto. Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha confermato, in sede di appello ex art. 310 c.p.p., la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di P.I., emessa all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto.
L’imputato, mentre si trovava in regime di arresti domiciliari, commetteva due volte nello stesso giorno il reato di evasione. Presentato al giudice monocratico, quest’ultimo stabiliva la sostituzione della misura cautelare in considerazione dei precedenti del prevenuto, di numerose segnalazioni per evasione e della prognosi di irrogazione di una pena superiore ad anni tre di reclusione, applicando la continuazione tra i due reati commessi e la recidiva.
Il ricorrente, innanzi la Suprema Corte, lamenta violazione di legge in relazione all’art. 275 comma 2 bis c.p.p., avendo il Tribunale confermato l’applicazione della misura massimamente afflittiva in ragione della prognosi dell’irrogazione di una pena superiore a tre anni, in asserita violazione dell’art. 278 c.p.p., che non consente di tenere conto della continuazione tra i reati ai fini della determinazione della pena per l’applicazione delle misure cautelari.
Il ricorrente solleva, inoltre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275 comma 2 bis c.p.p., nella parte in cui prevede il limite della pena superiore ad anni tre per applicare la custodia inframuraria, non essendo coordinato tale limite con quello previsto dall’art. 656 comma 5 c.p.p. che prevede la sospensione dell’ordine di esecuzione con una pena pari o inferiore ad anni quattro.
Decisione. Il ricorso viene rigettato in quanto infondato.
La decisione di sostituire la misura gradata con quella della custodia inframuraria, confermata dal Tribunale del Riesame, appare correttamente disposta con motivazione immune da vizi logici.
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte afferma che la custodia cautelare in carcere poteva essere applicata dal giudice in considerazione della pena complessiva irrogabile in concreto per più episodi di evasione avvinti nel vincolo della continuazione.
Invero, la disposizione dell’art. 278 c.p.p., secondo cui non si tiene conto della continuazione ai fini della determinazione della pena per l’applicazione della misura cautelare, si riferisce al computo dei limiti edittali di pena previsti in astratto dalle norme e non al limite di pena previsto dall’art. 275 comma 2 bis c.p.p., che invece riguarda la pena in concreto irrogabile tenendo conto anche del cumulo materiale o giuridico delle pene che si prevede saranno irrogate per tutti i reati cui si riferisce la misura.
La questione posta dal ricorrente con riguardo al rapporto esistente tra la disposizione di cui all’art. 278 c.p.p. e l’altra più volte richiamata è frutto di una errata delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione.
A parere della Corte, pertanto, si sarebbe confuso il piano della valutazione della gravità dei reati in rapporto alla determinazione della pena edittale prevista in astratto, con quello della valutazione della gravità in concreto, che deve tener conto di tutti gli elementi caratterizzante i fatti, ai sensi dell’art. 133 c.p., quindi completi di tutte le circostanze che incidono sulla pena irrogabile con la sentenza di condanna.
Allo stesso tempo è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo in discorso in rapporto al diverso limite di pena previsto dall’art. 656 comma 5 c.p.p., nella parte in cui prevede il dovere del pubblico ministero di sospendere l’esecuzione della pena detentiva non superiore a quattro anni.
Invero, afferma la Suprema Corte che non vi è alcuna necessaria correlazione tra il limite di pena considerato ai fini dell’applicazione della custodia cautelare in carcere e quello previsto per la sospensione dell’ordine di esecuzione.
Le due disposizioni non possono essere accomunate in alcun modo sul piano sistematico, attenendo fasi processuali e finalità del tutto differenti, tali da non permettere un immediato e necessario coordinamento tra le stesse.
Se infatti la prima è volta a limitare il ricorso alla custodia inframuraria per permettere di ridurne l'utilizzo anche per finalità dettate dal problema del sovraffollamento delle carceri, la seconda persegue finalità di salvaguardia della risocializzazione, proprie ed esclusive della fase esecutiva della pena.
Conseguentemente la mancata corrispondenza del limite di pena previsto per sospendere l'ordine di esecuzione della pena detentiva con il limite di pena previsto per l'applicazione della custodia cautelare in carcere, può esser considerato, al più, l'effetto di un mero difetto di coordinamento, cui il legislatore non ha inteso porre rimedio, ma non anche lesivo dell'art. 3 Cost., trattandosi di situazioni che non possono essere considerate uguali, stante la differente finalità intrinseca.