Gravi indizi di colpevolezza – Valenza indiziante del riconoscimento fotografico operato dalla persona offesa
Presupposti applicativi delle misure cautelari – Gravi indizi di colpevolezza – Valenza indiziante del riconoscimento fotografico operato dalla persona offesa – Sussistenza dell’esigenza cautelare del rischio di recidiva nonostante il lungo lasso di tempo intercorso tra l’esecuzione della misura e l’ultima condotta contestata – Valutazione di merito sottratta al vaglio di legittimità – Cassazione penale, sez. VI, sentenza n. 16586 del 16/04/2019 (ud. 13/11/2018) Commento a cura dell’Avv. Marco Grilli
Fatto. Il Tribunale del Riesame di Catanzaro, pronunciandosi in sede di rinvio, disponeva gli arresti domiciliari nei confronti di B.M. ravvisando i presupposti applicativi della misura cautelare in ordine ai reati di estorsione aggravata e rapina aggravata. Nello specifico, venivano rilevati gravi indizi desumibili dalle dichiarazioni della persona offesa che eseguiva un riconoscimento fotografico dell’indagato. Proprio la Suprema Corte aveva annullato la precedente decisione del Tribunale del Riesame che aveva considerato inattendibile il riconoscimento effettuato a nove mesi dai fatti e senza alcuna descrizione dell’aspetto dell’agente da parte della vittima.
Ricorre per Cassazione il difensore dell’indagato il quale deduce due motivi.
Con il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla gravità indiziaria insistendo sulla fragilità e labilità dell’indizio costituito dal riconoscimento fotografico e sugli errori tipici riconducibili alle procedure di individuazione fotografica.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari. Infatti, non ricorrerebbe alcun reale pericolo di reiterazione di reati della stessa indole in quanto alcun comportamento criminoso era stato posto in essere successivamente all’ultimo episodio contestato fino all’esecuzione della misura cautelare, né successivamente alla scarcerazione dovuta al primo provvedimento del Tribunale del Riesame che aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare.
Decisione. Il ricorso viene rigettato.
La Suprema Corte, preliminarmente, ribadisce la necessità che il vaglio di legittimità sulla motivazione dell’ordinanza si limiti alla valutazione circa la tenuta logica e l’intrinseca coerenza e congruità delle ragioni giuridiche poste a fondamento dell’atto impugnato. In alcun caso, specialmente con riferimento all’ordinanza cautelare, il controllo di legittimità può attenere alla ricostruzione dei fatti, rimessa al giudice di merito.
Con riferimento alle censure mosse con il primo motivo di ricorso, a parere della Corte, le stesse si sostanziano nella prospettazione di elementi volti ad indebolire la valenza indiziaria del riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa.
Tuttavia, come già detto in via preliminare, il vaglio a cui la Corte si attiene non può riguardare le ragioni che portano la difesa a ritenere l’inattendibilità del materiale probatorio raccolto nella fase delle indagini. Inoltre, in termini generali con riferimento alla valenza del riconoscimento fotografico, la giurisprudenza fonda l'affidabilità di tale atto, inteso come manifestazione riproduttiva di una percezione visiva, non sull’atto di identificazione di un soggetto nella relativa effige, ma sulla credibilità del soggetto che nella deposizione manifesta la certezza di riconoscere un determinato individuo nella foto. Peraltro, trattandosi di una prova atipica, la cui affidabilità non deriva dal riconoscimento in sé, ma dalla credibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo dell’identificazione, non si richiede che l'atto debba essere preceduto dalle formalità proprie del mezzo di prova di cui all'art. 213 c.p.p. (ricognizione di persone).
In conclusione, le modalità dell'individuazione fotografica, consistenti fondamentalmente nella scelta delle immagini da sottoporre al dichiarante da parte della P.G., non riguardano la legalità della prova, ma si riflettono sul suo valore, che richiede l'apprezzamento, in sede di scrutinio di legittimità, della congruenza del percorso argomentativo utilizzato dal giudice di merito a fondamento dell'affidabilità del riconoscimento e, quindi, del giudizio di colpevolezza.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte osserva che la prognosi di possibile reiterazione delle condotte contestate è espressa dal Tribunale del Riesame sulla base di: una pluralità di condotte; la loro reiterazione in un dato arco temporale; il concorso di più indagati con ruoli e compiti ben delineati; la conoscenza e frequentazione tra i predetti.
A fronte di tali indici sono stati considerati recessivi gli opposti elementi allegati dalla difesa e richiamanti nell’atto di ricorso.
La decisione su tale aspetto rappresenta, pertanto, un giudizio complesso che non può prescindere dalla piena valutazione di tutte le circostanze e modalità del fatto. Tale valutazione, effettuata puntualmente dal giudice del riesame con argomentazioni corrette e lineari, si sottrae al giudizio di legittimità per le medesime ragioni già esposte e, soprattutto, rende generiche le critiche mosse dalla difesa che sollecita una conclusione diametralmente opposta sulla base di elementi considerati evidentemente recessivi dal giudice di merito e non altrimenti valutabile in sede di legittimità.