responsabilità per mobbing ai sensi dell’art. 2087 c.c.
Rapporto di lavoro – Conversione della malattia in ferie – Compatibilità – Mobbing lavorativo – Requisiti – Responsabilità ex art. 2087 c.c.. Corte di Cassazione, sez. Lav, ordinanza n. 10725 del 17 aprile 2019, commento a cura della Dott.ssa Ilaria Gonnellini.
Fatto. La AAA S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano che ha accertato il diritto della sig.ra BBB all’inquadramento nel II livello del CCNL di categoria, l’illegittimità del licenziamento intimatole il 23 agosto 2011 per violazione del periodo di comporto e condannato la società datrice al risarcimento dei danni per mobbing in favore della lavoratrice. In particolare, la AAA S.r.l. ha dedotto la violazione degli artt. 2109 c.c., 36 Cost., 1175, 1176 c.c., per erronea interpretazione e falsa applicazione della normativa denunciata, laddove ha disposto l’erronea conversione del periodo di malattia in ferie in contrasto, tra l’altro, con il principio della tendenziale non convertibilità della malattia in ferie, nonché la violazione degli artt. 132, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., per error in procedendo e motivazione apparente e contraddittoria in riferimento alla giustificazione della condanna risarcitoria per condotte vessatorie da parte della Corte territoriale in base, non già ad una volontà mobbizzante dolosa (come ritenuto dal Tribunale), ma ad una responsabilità colposa in violazione dell’art. 2087 c.c..
La sig.ra BBB ha resistito con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c..
Decisione. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e, richiamando i consolidati principi di diritto in materia, ha ribadito che il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie in quanto non sarebbe costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie in ragione delle condizioni psico-fisiche inidonee al loro pieno godimento rendendosi, altrimenti, impossibile l’effettiva fruizione delle ferie.
A tal fine, il lavoratore deve presentare, prima della scadenza del periodo di comporto – onde evitare il possibile esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2110 c.c. da parte del datore di lavoro – l’apposita richiesta di fruizione delle ferie contenente l’indicazione del momento a decorrere dal quale egli intende ottenere la conversione del titolo dell’assenza, affinché il datore di lavoro gli possa concedere di beneficiarne durante il periodo di malattia dopo aver valutato il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro. La Corte, infatti, ha precisato che a tale facoltà del lavoratore non corrisponde un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, potendo egli rifiutarla ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa: in un’ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è tuttavia necessario che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive, spettando in ogni caso al datore di lavoro dimostrare di aver tenuto conto, nell’assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto.
Sotto altro profilo, la Corte ha ricondotto alle condotte vessatorie integranti mobbing quei comportamenti datoriali sostanziatisi in continue e pressanti richieste di chiarimenti alla lavoratrice sulle sue assenze per malattia e sulle cure mediche, in privazione della parte più rilevante delle mansioni al rientro dalla malattia e in richiesta di dimissioni (rifiutate dalla medesima) in quanto, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, l’elemento qualificante – che deve essere provato da chi assuma di avere subito la condotta vessatoria – va ricercato non nell’illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell’assenza dell’elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata.
Pertanto, la responsabilità per mobbing deve essere inquadrata nell’ambito applicativo dell’art. 2087 c.c., in quanto ricollegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento siccome in violazione dell’obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dal citato art. 2087 c.c..