Skip to main content

Reati contro l’amministrazione della Giustizia – Delitto di false informazioni al pubblico ministero

Reati contro l’amministrazione della Giustizia - Delitto di false informazioni al pubblico ministero – Sospensione del procedimento in caso di informazioni false o reticenti – Condizioni e termini per il successivo esercizio dell’azione penale previste dal legislatore – Insufficienza della definizione parziale del procedimento – Cassazione penale, sez. VI, sentenza n. 19775 del 08/05/2019 (ud. 07/02/2019) Commento a cura dell’Avv. Marco Grilli

Fatto. La Corte di appello di Reggio Calabria riformava, esclusivamente in punto di pena, la sentenza di condanna a carico di C.C. e C.G. per il reato di false informazioni al pubblico ministero, con l’aggravante di agevolato il clan ndranghestico dei Piromalli, ex artt. 371 bis c.p. e 7 L.203/91, in merito alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini di un procedimento penale in cui veniva contestata un’associazione di stampo mafioso e numerosi episodi di usura.

Avverso la detta decisione presentavano ricorso gli imputati, i quali, con ricorsi sostanzialmente coincidenti, assumevano la violazione di legge, in relazione al II comma dell’art. 371 bis c.p., eccependo l’improcedibilità dell’azione penale in quanto il procedimento a carico dei ricorrenti avrebbe dovuto essere sospeso fino alla definizione in primo grado del procedimento in cui il pubblico ministero aveva disposto la loro audizione.

Inoltre, gli stessi lamentavano a vario titolo la violazione dell’art. 384 c.p.; la violazione delle garanzie previste dagli artt. 63 e 64 c.p.; il travisamento della prova in merito alla valutazione di credibilità di un collaboratore di giustizia, le cui dichiarazione avevano comportato la richiesta di informazioni agli imputati; la violazione dell’art. 7 L.203/91.

Decisione. I ricorsi sono fondati nel primo motivo, che è da ritenere assorbente rispetto a tutte le ulteriori doglianze accennate.

La Suprema Corte, partendo dal dato letterale contenuto nel secondo comma dell’art. 371 bis c.p., delinea la differenza tra il rifiuto di rendere informazioni al pubblico ministero o la circostanza di renderle in maniera reticente o mendace.

In proposito, il reato in discorso è integrato quando il pubblico ministero, in costanza di un procedimento penale, ai fini delle indagini, espliciti una richiesta di informazioni nei confronti di un soggetto a cui non sono riconosciute ragioni per rifiutare di renderle.

Tuttavia, mentre nel caso di rifiuto della dichiarazione, che rappresenta una completa omissione della stessa, deve ritenersi immediatamente integrata la violazione del precetto normativo, in quanto la condotta presenta profili di illiceità di chiara evidenza che trascendono dalla conclusione del procedimento in cui è richiesta la dichiarazione; nel caso di dichiarazione falsa o reticente il comma 2 dell’articolo in discorso prescrive la sospensione del relativo procedimento.

La Corte di Cassazione, facendo proprie le considerazioni di C. Cost. ord. 61/1998, ritiene che la disciplina della sospensione del procedimento sia ravvisabile nell’esigenza di garantire la libertà morale e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di false informazioni da forme di pressione esercitabili dal pubblico ministero nel momento in cui è interessato alla formazione della prova nel procedimento “principale”.

Peraltro, sempre sulla scorta dell’insegnamento della Corte Costituzionale, la sospensione in discorso ha carattere automatico (in quanto non necessità di esplicita pronuncia giudiziale), immediato (al verificarsi del presupposto della contemporanea iscrizione del procedimento per false dichiarazioni e di quello in cui le medesime sono rese), assoluto (non essendo possibile nel corso della sospensione l’adozione di alcun atto da parte dell’autorità giudiziaria, finanche un provvedimento di archiviazione), anomala rispetto alle figure di sospensione previste dal sistema (comportando una paralisi completa benché temporanea di tutta l’attività investigativa).

Allo stesso tempo, fin quando perdura l’effetto sospensivo del procedimento, resta sospeso il corso della prescrizione, ai sensi del I comma dell’art. 159 c.p.

Le cause di cessazione dell'effetto sospensivo sono tassativamente individuate dal legislatore e consistono: nella pronuncia della sentenza di primo grado nel procedimento nel corso del quale le informazioni sono state assunte, nella sua definizione con la sentenza di non luogo a procedete o con un decreto di archiviazione.

Di estrema importanza nell’individuazione della ratio legis è la considerazione secondo la quale, oltre al già citato intento di evitare qualsiasi forma di condizionamento psicologico da parte dell’inquirente della persona informata, vi è un interesse a non privarsi, nell'ambito del procedimento principale, dell'apporto conoscitivo proveniente dall'indiziato del reato di false informazioni, consentendogli di fruire dell'istituto della ritrattazione, il cui limite finale di operatività è stabilito, ex art. 376 c. p., non oltre la chiusura del dibattimento, quindi fino al momento in cui opera la sospensione in discorso.

Peraltro, il collegamento probatorio oggettivo tra i due distinti procedimenti consente di utilizzare nel procedimento per false informazioni gli elementi emersi nel procedimento cd. principale ed, in particolare, i verbali delle dichiarazioni rese al pubblico ministero, costituendo corpo del reato e come tali acquisibili al fascicolo del dibattimento.

Così ricostruito l’istituto in discorso, la Suprema Corte perviene alla soluzione del caso in esame sulla base delle seguenti considerazioni.

Entrambi gli imputati sono stati sentiti nell’ambito di un vasto procedimento per associazione di stampo mafioso e diversi episodi di usura, in quanto individuati come possibili soggetti informati sulla base di un contributo dichiarativo di un collaboratore di giustizia; che il giudice per le indagini preliminari aveva disposto l’archiviazione di un distinto procedimento, originatosi da uno stralcio, per delle fattispecie di usura aggravate dal metodo mafioso nei confronti di due degli stessi imputati contro cui i ricorrenti avrebbero dovuto rendere le informazioni; che il procedimento per il reato di cui all’art. 371 bis c.p. veniva instaurato a seguito della detta archiviazione ma che entrambi gli imputati erano stati chiamati a rendere le dichiarazioni nell’ambito del procedimento principale, e non di quello originatosi a seguito dello stralcio, essendo stati ascoltati su tematiche ben più ampie ed articolate di quelle di cui si occupava la porzione di procedimento oggetto di stralcio (e poi di decreto di archiviazione).

Di conseguenza si deve ritenere che il provvedimento di archiviazione non ha integralmente definito il procedimento penale nel corso del quale le informazioni sono state richieste, ma un procedimento diverso, più circoscritto e parziale.

L’instaurazione del procedimento a carico degli odierni ricorrenti, pertanto, è stato iniziato in costanza della condizione sospensiva che si riferiva naturalmente all’intero procedimento penale “principale” nel corso del quale le informazioni erano state richieste.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, la Suprema Corte, dichiara l’annullamento della sentenza impugnata e della sentenza di primo grado, in quanto l’azione processuale non poteva essere iniziata né proseguita in pendenza della condizione sospensiva, il cui venir meno dovrà essere accertata dall’autorità giudiziaria.

La decisione integrale è consultabile al seguente indirizzo:

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190508/snpen@s60@a2019@Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.