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Delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita – Trasferimento degli aiuti comunitari al settore agricolo

Delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita – Trasferimento degli aiuti comunitari al settore agricolo – Configurabilità come beni aventi contenuto economico – Impiego consapevole di diritti di aiuto di provenienza delittuosa ha capacità di alterare il sistema economico – Sussistenza e ragioni – Cassazione penale, sez. II, sentenza n. 21712 del 17/05/2019 (ud. 12/02/2019) Commento a cura dell’Avv. Marco Grilli

Fatto. Il giudice per le indagini preliminari di Enna, con decisione condivisa e confermata dal Tribunale in sede di appello cautelare avanzato dal pubblico ministero, aveva accolto la richiesta di sequestro per equivalente nei confronti di C.P.S., indagato per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640 bis c.p., per aver ottenuto, mediante artifici, il “diritto all’aiuto” previsto dalla normativa europea per gli operatori del settore agricolo. Contestualmente veniva rigettata analoga richiesta di sequestro nei confronti di M.A., nei confronti della quale era stato ipotizzato il delitto di cui all’art. 648 ter c.p., in quanto titolare della società agricola a cui erano stati successivamente ceduti i diritti all’aiuto illecitamente ottenuti.

Il Tribunale, facendo proprie le considerazioni del G.i.p., confermata la sussistenza delle condotte artificiose del C.P.S., riteneva che i successivi trasferimenti dei “diritti all’aiuto” alla M.A. non potessero integrare la nozione di reimpiego di quei titoli in attività produttive, richiesta dal delitto di impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita, ex art. 648 ter c.p..

Avverso la detta decisione presentava ricorso per Cassazione il pubblico ministero presso il Tribunale di Enna, il quale, con cinque articolati motivi, lamentava: la violazione dei regolamenti dell’UE in tema di “diritti all’aiuto”; la violazione dell’art. 648 ter c.p. per aver escluso la sussumibilità, nella fattispecie incriminatrice, della condotta realizzata con il reimpiego dei diritti all'aiuto nella conduzione di terreni agricoli regolari, nonché per l’erronea individuazione delle nozioni di attività economica e finanziaria, della nozione di imprenditore agricolo e delle attività connesse a quello specifico statuto imprenditoriale; la violazione di norme processuali in materia di utilizzabilità degli atti; il vizio di motivazione in ordine ai punti dedotti nei precedenti motivi.

Decisione. Il ricorso è fondato nei primi tre motivi, attinenti alla violazione di legge relativa ai regolamenti in materia di diritti all’aiuto ed all’art. 648 ter c.p., il cui accoglimento assorbe le ulteriori considerazioni e impone l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Enna per un nuovo esame.

Osserva la Corte come, in primo luogo, vada indagata l’esatta individuazione della natura giuridica dei “diritti all’aiuto” ed il loro eventuale inquadramento nell’esercizio di attività economiche e finanziarie.

La disciplina comunitaria in materia indica i diritti all’aiuto come una misura di sostegno al reddito dei soggetti che svolgono attività agricola non più collegata al prodotto ottenuto ma alla produzione in astratto conseguibile dalla titolarità di un dato terreno.

Il meccanismo della trasferibilità di tali diritti, che permette a chi non è titolare di acquisire il diritto all’aiuto da chi ne è titolare, rappresenta lo strumento per consentire l'accesso alle misure di sostegno a soggetti che, pur non avendo ottenuto forme di sostegno al reddito, siano titolari di superfici potenzialmente ammissibili alle domande di pagamento.

Tale caratteristica conduce a riconoscere ad essi la qualifica di beni aventi contenuto economico, nella misura in cui i diritti possono essere utilizzati come strumento per accedere alle misure di sostegno previste dall’Unione Europea che legittimano la percezione di erogazioni in favore dei soggetti che svolgono attività organizzate nel settore dell'agricoltura.

Conseguentemente, i diritti all’aiuto si qualificano come beni mobili soggetti a regime di pubblicità interna, riportati in un apposito registro in cui sono annotati sia la titolarità originaria dei diritti, sia i loro trasferimenti successivi.

Tali peculiari proprietà, unite all’esistenza di un mercato in cui i titoli vengono scambiati ed al conseguente valore economico riconosciuto agli stessi, implicano che tali beni concorrano a formare il patrimonio dell'azienda in cui essi sono impiegati, al pari delle immobilizzazioni diverse da quelle materiali.

Pertanto, la Corte ritiene che la componente patrimoniale costituita dai diritti all'aiuto sia funzionalmente collegata allo svolgimento dell'attività d'impresa agricola, nella misura in cui essa rappresenta uno degli strumenti principali per assicurare all'imprenditore le risorse finanziarie necessarie a sostenere l'attività d'impresa e, di conseguenza, la ricezione di quei particolari beni giuridici e la loro utilizzazione può costituire modalità di impiego in attività economiche dei beni stessi, ai sensi dell'art. 648 ter c.p..

Inoltre, l’esposta descrizione dell’attività di utilizzazione dei diritti in discorso nell’attività di impresa, impone di verificare se quella condotta, astrattamente inquadrabile nella fattispecie tipica del reimpiego prevista dall’art. 648 ter c.p., possa essere idonea a raggiungere l'effetto considerato dalla norma incriminatrice, ossia l'occultamento della provenienza delittuosa di quella particolare categoria di utilità non attraverso operazioni, materiali o giuridiche, messe in atto sulle utilità stesse, ma mediante il mero reimpiego delle utilità in attività economiche o finanziarie.

A tal proposito, la Corte, pur rilevando che nella stessa giurisprudenza di legittimità si riscontra un contrasto (tra chi ritiene necessaria per la sussistenza del fatto tipico sanzionato che la condotta di reimpiego sia caratterizzata dall’effetto dissimulatorio, volto ad ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità e chi non ritiene necessario tale carattere nell'attività di reimpiego, in quanto ciò che rileva è l'alterazione dei meccanismi di corretto funzionamento del mercato, indotti appunto dall'introduzione nel circuito economico di elementi patrimoniali di provenienza delittuosa che apprestano un vantaggio competitivo illecito a discapito degli altri operatori del mercato), afferma che la condotta considerata nel caso in esame possiede in astratto le caratteristiche che conducono a ritenere integrata la fattispecie di reato.

Infatti, l'impiego dei diritti di aiuto, ove risulti dagli atti di indagine che sia stato effettuato mediante utilizzazione nell'ambito di un'attiva d'impresa agricola, mediante atti di trasferimento ripetuti e ravvicinati, in favore di soggetti che operano solo nominalmente come imprenditori agricoli, o comunque mediante operazioni rivolte a dotare di apparente legittimità le caratteristiche dei beni stessi, rappresenta strumento di dissimulazione della provenienza delittuosa, proprio grazie alla peculiarità del sistema di sostegno c.d. disaccoppiato, che può facilmente nascondere l'effettiva provenienza dei titoli, una volta immessi nel mercato e trasferiti attraverso successivi passaggi.

Alla luce di quanto detto, è evidente che l'impiego consapevole di diritti di aiuto di provenienza delittuosa nell'esercizio di attività d'impresa ha quale effetto quello di alterare il sistema economico dell'imprenditoria agricola, assicurando a taluni un vantaggio competitivo illecito e privando i competitori onesti delle risorse che il sistema nazionale e comunitario intende garantire agli stati membri ed ai loro agricoltori.

La decisione integrale è consultabile al seguente indirizzo:

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190517/snpen@s20@a2019@Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.