Accesso agli atti – accesso civico generalizzato
contratti pubblici – procedura di gara conclusa – soggetto non concorrente – ammissibilità. Cons. St., sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780, commento a cura dell’Avv. Silvia Albanese.
Fatto. Il TAR respingeva il ricorso proposto dal ricorrente per l’annullamento di una nota relativa al diniego dell’istanza di accesso civico generalizzato in relazione agli atti concernenti l’affidamento del servizio di manutenzione e riparazione di tutti gli automezzi in dotazione dell’Azienda.
Il rigetto del ricorso veniva motivato sul presupposto che agli atti di cui era richiesto l’accesso dovesse essere applicata la disciplina ordinaria dell’accesso agli atti di cui all’art. 22 e ss. della l. 241/1990 e ciò in virtù del combinato dell’art. 53 del d.lgs. 50/2016 con l’art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n.33/2013, che rinviano proprio alla disciplina della legge 241/1990.
Avverso tale decisione, il ricorrente proponeva appello, adducendo la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 5 bis del d.lgs. n. 33/2013 e dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 97 Cost.; nonché riproponendo le censure non esaminate in primo grado.
Decisione. Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso.
Il Collegio esamina il caso di richiesta di accesso civico generalizzato che riguarda gli atti di una procedura di gara ormai definita.
Sul punto, non vi è univocità di vedute e la giurisprudenza amministrativa di prime cure è divisa.
Secondo un primo orientamento, i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016 e restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013.
Al contrario, altra parte della giurisprudenza sostiene che dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici.
Il Collegio ritiene che si debba muovere dalla lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli art. 53 d.lgs. 50/2016 e dell’art. 5 bis, comma 3 d.lgs. 33/2013.
In particolare, l’art. 53 del codice dei contratti pubblici richiama al primo comma la disciplina contenuta nella l. n. 241/1990, mentre nel secondo comma elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara.
L’art. 5 bis, comma 3 del d.lgs. n. 33/2013 stabilisce, invece, che l’accesso civico generalizzato sia escluso fra l’altro nei casi in cui l’accesso sia subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti.
La norma non si riferisce all’intera materia relativa ai contratti pubblici, altrimenti dovrebbe essere esclusa da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto del principio fondamentale di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione.
Il Consiglio di Stato giustifica il richiamo contenuto nel primo comma dell’art. 53 Codice dei contratti alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della l. 241/90 sulla base dell’anteriorità del codice dei contratto pubblici rispetto al d.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 che ha modificato il d.lgs. 33/2013.
In particolare, il Collegio richiama due prioritari aspetti della riforma.
Il primo aspetto è la limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico.
Il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, infatti, si è dichiaratamente ispirato al c.d. “Freedom of information act” di origine statunitense, con la ratio di favorire forme diffuse di controllo del perseguimento delle funzioni istituzionali, riconoscendo ad ogni cittadino l’accesso generalizzato, con la sola definizione di alcuni limiti oggettivi a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013.
Questa limitazione comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte, vi possano essere “casi” in cui norme speciali possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”.
Secondo i giudici di secondo grado, il dlgs. n. 97/2016 sconta un mancato coordinamento con la legge 241/1990, a causa del difetto sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi in cui il legislatore incorre.
Ciò comporta che non possa ipotizzarsi un’interpretazione statica e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento.
Secondo il Collegio, l’unica interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. deve valorizzare l’impatto orizzontale dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti, ma soltanto dalle prescrizioni speciali e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno.
Il secondo aspetto rilevante è che la normativa sull’accesso civico non ha regolato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili a lui utili relativi ad ambiti di una impresa concorrente e coperti dalla ordinaria “segretezza aziendale”.
Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della par condicio dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ma vi è una esigenza specifica del perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.
Alla luce di tali osservazioni, il Consiglio di Stato ritiene che l’appellante abbia diritto ad accedere agli atti della procedura di appalto a cui non ha partecipato, per le seguenti ragioni:
- non rileva l’asserita voluminosità della documentazione di gara, perché l’appellante ha richiesto di accedere ad una specifica procedura, e poi perché il riferimento a disagi e lunghe tempistiche per l’ostensione degli atti configura proprio quel tentativo di “opaca schermatura” che l’accesso civico ha inteso eliminare per sempre;
- in secondo luogo, la natura degli atti da esibire esclude qualsiasi compromissione di segreti del processo industriale della società che esegue l’appalto;
- infine, osserva il Collegio, che l’oggetto dell’appalto in questione si configura come prestazione standardizzata e altamente ripetitiva, giacché la manutenzione e riparazione dei veicoli avviene con tecniche ed interventi che ciascuna ditta produttrice del veicolo indica con puntualità, a partire dai libretti di manutenzione consegnati all’atto della vendita.
In conclusione, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso e obbliga l’amministrazione all’ostensione della documentazione di gara e della fase esecutiva dell’appalto aggiudicato, per la procedura di gara in questione.