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l’apertura del fallimento incide sul termine di decorrenza della prescrizione presuntiva

Prescrizioni presuntive – Natura giuridica – Dichiarazione di apertura del fallimento – Rilevanza ai fini del decorso del termine legale. Corte di Cassazione, sez. 1, sentenza n. 16123 del 14 giugno 2019, commento a cura della Dott.ssa Ilaria Gonnellini.

Fatto. La Corte d’appello di Ancona confermava la sentenza con cui il Tribunale di Fermo aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo del fallimento della società XXX proposta dalla dott.ssa A.R., ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione presuntiva formulata dal curatore.

Avverso la predetta sentenza la A.R. ha presentato ricorso per cassazione, articolato in tre motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2956 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2709 c.c., dell’art. 2960 c.c. e dell’art. 210 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., dell’art. 54 d.l. n. 83/2012, nonché dell’art. 46, comma 18 e dell’art. 58 comma 2, L. n. 69/2009 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c..

Il Fallimento (già non costituito in appello) non ha svolto difese.

Decisione. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo, non avendo il ricorrente indicato in quali luoghi e secondo quali modalità ha sollevato nel giudizio di merito la contestazione relativa al mancato perfezionamento della fattispecie della prescrizione presuntiva prima della dichiarazione di fallimento della società assunta come debitrice: la relativa questione, quindi, deve essere considerata “nuova” e, come tale, inammissibile.

Ciononostante, il Collegio è entrato nel merito della questione sollevata dalla ricorrente relativa alla natura della prescrizione presuntiva – se istituto di diritto sostanziale, partecipe della stessa natura della prescrizione ordinaria e vòlto ad incidere direttamente sul diritto del creditore, oppure se figura di carattere processuale che dà vita ad una presunzione iuris tantum di “avvenuto pagamento” –, sotto il profilo della rilevanza o meno della sopravvenuta pendenza della procedura fallimentare ai fini della formazione di una prescrizione presuntiva, trattandosi di una questione di particolare importanza attesa la frequenza in cui la situazione appena descritta può verificarsi nella prassi.

In tale contesto, riconoscendo l’insussistenza di precedenti giurisprudenziali allineati sul punto, la Corte di Cassazione ha ritenuto di dover condividere l’orientamento tradizionale prevalente, secondo il quale “la prescrizione estintiva e la prescrizione sostitutiva sono antologicamente differenti, logicamente incompatibili e fondate su fatti diversi: elementi costitutivi della prima sono il decorso del tempo e l’inerzia del titolare del diritto; la seconda è fondata su una presunzione iuris tantum ovvero mista di avvenuto pagamento del debito” e va pertanto inserita nell’ampio fenomeno della prova presuntiva (cfr., di recente, Cass., 5 luglio 2017, n. 16486). Ragionando in questi termini – a differenza dell’orientamento minoritario che non considera la prescrizione presuntiva un mezzo di prova in quanto, al pari della prescrizione ordinaria (seppur con minori effetti), incide direttamente sul diritto sostanziale del creditore limitandone la protezione giuridica e conclude quindi per l’irrilevanza dell’apertura della procedura concorsuale ai fini del decorso del termine legale –, la conclusione della Suprema Corte è quella della idoneità dell’apertura del fallimento a bloccare la costruzione di una simile dinamica presuntiva: se la legge suppone avvenuto il pagamento di certi crediti (quali quelli dettagliatamente indicati nelle norme degli artt. 2954, 2955 e 2956 c.c.), perché normalmente così accade allorché sia trascorso un dato periodo di tempo senza che quel certo “tipo” di creditore sia andato a esigere in modo formale la prestazione dovutagli, l’apertura del fallimento comporta, ex art. 44 legge fall., l’inefficacia dei pagamenti effettuati dal debitore fallito e rende necessario l’accertamento di ogni credito che aspiri a ricevere pagamenti dal sopravvenuto fallimento del debitore (artt. 52 e 93 ss. legge fall.).

A sostegno di tale conclusione, la Corte espone due ordini di considerazioni: il primo si sostanzia nel rilievo che il tenore della norma dell’art. 2959 c.c. pretende, per la costruzione in concreto di una prescrizione presuntiva, che il comportamento del debitore sia non disforme da quello di un soggetto che ha effettivamente prestato il pagamento dovuto, dovendo il giudice rigettare l’eccezione se chi oppone la prescrizione ha comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta; il secondo si condensa nel rilievo per cui, nella prescrizione presuntiva, la dimensione del tempo viene in considerazione come dimensione sufficientemente lunga per far ragionevolmente ritenere che, se nel trascorrere di quel dato periodo di tempo il tipo di creditore non ha ancora formulato richieste formali di pagamento o di messa in mora, è perché presumibilmente egli ha già ricevuto il pagamento che gli spettava.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “le prescrizioni presuntive di cui agli artt. 2954 ss. c.c. sono fenomeni di natura probatoria, sostanziandosi in presunzioni di “avvenuto pagamento”; non dà perciò luogo a prescrizione presuntiva la fattispecie in cui una frazione del tempo stabilito dalla norma di legge fondante la stessa sia decorsa dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, pur se prima che il creditore abbia presentato domanda di insinuazione nel relativo passivo”.

Parimenti inammissibile è stato ritenuto il secondo motivo di ricorso, articolato in tre censure, in quanto: 1) in mancanza di data certa delle fatture presentate dal ricorrente non può ritenersi assolta la prova dell’avvenuta interruzione della prescrizione presuntiva. È, infatti, orientamento consolidato della giurisprudenza della Suprema Corte che le scritture private – fatture ricomprese – debbano essere munite di data certa per poter essere opposte al curatore fallimentare (cfr., da ultimo, Cass., 18 gennaio 2019, n. 1389); 2) va considerato apprezzamento di mero fatto quello attinente al carattere esplorativo di una richiesta di esibizione documentale, in quanto tale non sindacabile in sede di legittimità (Cass. 21 febbraio 2017, n. 4504); 3) nel giudizio di opposizione allo stato passivo, al curatore – in quanto terzo rispetto al fallito e privo della capacità di disporre del diritto controverso – non può essere deferito il giuramento decisorio con riferimento a vicende solutorie attinenti all’obbligazione dedotta in giudizio (cfr., da ultimo, Cass., 3 agosto 2017, n. 19418).

È stato invece accolto il terzo motivo di ricorso, con conseguente cassazione della sentenza d’appello in relazione a tale profilo, in quanto essendo stato il procedimento di primo grado definito con sentenza depositata in data 27 maggio 2009 e quindi prima dell’entrata in vigore della legge n. 69/2009, come fissata alla data del 4 luglio 2009, la facoltà di produrre nuovi documenti nel giudizio di appello non incontra le decadenze di cui all’allora vigente disposizione dell’art. 184 c.p.c. (cfr. Cass., 10 giugno 2011, n. 12731), sebbene debba ritenersi concentrata e limitata alla fase iniziale del procedimento.

La sentenza:

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20190614/snciv@s10@a2019@Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.