Investigazioni difensive – Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore (art. 391-bis, c.p.p.)
assunzione di informazioni da persona detenuta – sulla richiesta di autorizzazione del difensore all’assunzione di informazioni da persona detenuta, il giudice ha un potere di valutazione del titolo di legittimazione, costituito non dal mero mandato difensivo ma dall’indicazione dell’addebito per il quale si procede e dal legame della persona da sentire con il tema di indagine, in modo da consentire al giudice stesso, e prima ancora al pubblico ministero e al difensore della persona detenuta, di apprezzare l’esistenza di un interesse concreto, diretto ed attuale al compimento dell’atto. Cassazione Penale, Sez. I, sent. n. 28216-19 dep 27.6.2019. Commento a cura dell’Avv. Emanuele Lai.
Il difensore di A.M: si vedeva rigettare dal magistrato di sorveglianza di Avellino l’istanza di autorizzazione all’accesso presso la casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi, al fine di assumere informazioni nell’ambito di indagini difensive a favore del proprio assistito da A.N., ivi detenuto.
Il giudice ad quem, infatti, non riteneva di poter autorizzare l’accesso in quanto l’istanza suddetta non avrebbe specificato l’oggetto, le ragioni e la necessità dell’attività istruttoria al cui compimento la richiesta era finalizzata.
In tal senso, anche il parere della DDA di Napoli, che ribadiva come un tale onere incombesse sull’istante sulla base del dato letterale dell’art 391-bis c.p.p.
Avverso l’ordinanza di diniego, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione la difesa di A.M., evidenziando come, a dispetto da quanto sostenuto dal magistrato di sorveglianza, la pur necessaria autorizzazione ad accedere al luogo di detenzione della persona da cui si vogliono ottenere informazioni non potrebbe mai essere subordinata a una valutazione di utilità dell’atto istruttorio da parte dell’autorità giudiziaria, utilità che, infatti, ricade nell’apprezzamento esclusivo del difensore che un tale atto intenda compiere.
L’ordinanza in parola, rappresenta il difensore, sarebbe affetta da abnormità strutturale in quanto la stessa sarebbe frutto dell’esercizio, da parte del magistrato emittente, di un potere discrezionale non previsto dalla legge.
I Giudici della I sezione onerati del ricorso, non hanno ritenuto di accogliere la doglianza dell’interessato sulla base degli argomenti che seguono.
Anzitutto, premette la Corte, il provvedimento di diniego di autorizzazione a ricevere informazioni da persona detenuta, nel silenzio del legislatore, è inoppugnabile.
Nello specifico, sarebbe preclusa altresì la via del ricorso per Cassazione per abnormità, in quanto, si precisa, il provvedimento in oggetto non ne sarebbe affetto.
Il comma 7 dell’art. 391-bis, c.p.p. prevede l’obbligatorietà dell’autorizzazione di cui sopra, che va rilasciata dal giudice che procede, ovvero dal magistrato di sorveglianza se la pena è già in fase di espiazione, dopo aver sentito il pubblico ministero e il difensore del detenuto.
Una richiesta in tal senso, priva di specifiche circa l’oggetto dell’attività da svolgere, le ragioni e la sua necessità non consentirebbe al difensore del detenuto e al pubblico ministero di valutare l’opportunità di intervenire né, soprattutto, consentirebbe al giudice di adottare il provvedimento richiesto in piena consapevolezza. In altre parole, la disposizione normativa disciplinerebbe un iter del tutto privo di senso.
S’intuisce, allora, che il predetto comma 7 stabilisca implicitamente un potere valutativo in capo al giudice; se così non fosse, con tutte le probabilità il legislatore avrebbe affidato non già al magistrato, bensì al direttore del penitenziario il compito di ricevere le richieste.
Detto potere del giudice, peraltro, non lede le prerogative difensive in quanto deve essere volto solo all’accertamento del titolo di legittimazione per lo svolgimento dell’attività difensiva, non interessando, invece, il merito dell’atto per cui la richiesta sia stata fatta.
A differenza, però, da quanto sostenuto dal ricorrente, tale titolo di legittimazione sta non solo nell’esistenza di un mandato difensivo: l’istante dovrà piuttosto indicare gli addebiti mossi al proprio assistito nonché la connessione a essi della persona da sentire, così da consentire al giudice di valutare l’effettiva utilità (e la conseguente meritevolezza di tutela) del colloquio richiesto.
Tale sindacato, peraltro, si rende necessario ai fini di una maggior tutela della persona detenuta la quale si trova in un naturale stato di soggezione nei confronti del difensore/inquirente.
Terminato il ragionamento, i giudici evidenziano come, nel caso sottoposto alla loro attenzione, la richiesta avanzata dalla difesa di A.M. fosse priva di qualsiasi indicazione nel senso sopra indicato.
Tuttavia, nel richiedere altresì le ragioni per le quali l’istante ritenesse utile l’audizione del detenuto, il magistrato di sorveglianza sembra essersi in parte discostato dal controllo di legittimazione come sopra delineato, arrogandosi un potere di sindacato sulle indagini difensive che non gli appartiene.
Tale criticità resta, tuttavia, assorbita dalla valutazione di inammissibilità della richiesta, salva la possibilità, in capo all’interessato, di riproporre la medesima istanza al magistrato di sorveglianza in modo da renderne apprezzabile lo scrutinio circa la legittimazione.
Proprio la possibilità di riproposizione, osservano i giudici, preclude la valutazione di abnormità del provvedimento impugnato (seppur limitatamente alla parte in cui, motivando, il magistrato sembra pretendere che vengano indicate le ragioni per cui si ritenga utile compiere l’atto istruttorio).
Link sentenza: http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/28216_06_2019_no-index.pdf