Riscatto agrario – Rigetto della domanda da parte dei giudici del merito – Accoglimento del ricorso per cassazione dei retraenti soccombenti - Corte di Cassazione, sez. III, ordinanza n. 3316 dell’11 febbraio 2020
Domanda di riscatto agrario dei proprietari confinanti con un terreno agricolo, alienato dai vicini con regolare atto pubblico senza però allegare i necessari certificati di destinazione urbanistica – Appezzamento accatastato come pertinenza di immobili urbani di estensione superiore a mq. 5.000 - Violazione del disposto di cui all’art. 30, commi n. 1 e 2 del d.p.r. n. 380/2001 – Nullità della vendita – Corte di Cassazione, sez. III, ordinanza n. 3316 dell’11 febbraio 2020 - A cura del dott. Riccardo Redivo, già Presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. Il Tribunale competente respingeva la domanda di riscatto proposta dai proprietari confinanti con un terreno agricolo nei confronti dei vicini, i quali avevano alienato a terzi il loro fondo, senza allegare all’atto pubblico, come dovuto, il certificato di destinazione urbanistica (reso obbligatorio dall’art. 30, commi I e II del d.p.r. n. 380/2001), trattandosi nella specie, peraltro, di fondi accatastati come pertinenze di immobili urbani, di estensione superiore a mq. 5.000.
I retraenti soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo la violazione e/o la falsa applicazione della normativa di cui sopra e rilevando, in particolare, che i giudici del merito non avevano considerato che le particelle vendute avevano una superficie complessiva superiore ai mq. 5.000, ovvero superiore all’estensione che, secondo la legge, avrebbe consentito l’esenzione dall’allegazione della predetta documentazione.
Decisione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata. La Corte, premesso che i ricorrenti hanno affermato la nullità dell’atto di vendita dei terreni, frazionati per renderli enti urbani, allegando un certificato di destinazione urbanistica di due sole particelle e non anche di quella maggiore e che il giudice “a quo” ha erroneamente affermato che l’allegazione di detto certificato non era nella specie rilevante e necessaria, talchè la compravendita doveva considerarsi legittimamente stipulata, in quanto la normativa riguardava i singoli appezzamenti di terreno (uno dei quali, nella specie, era di poco superiore a mq. 4.000 e l’altro di poco superiore a mq. 1.000).
Per contro il giudicante ha affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, “la lettera della legge (art. 30, commi 1 e 2 d.p.r. n. 380/2001) è chiara nel considerare, ai fini dell’esenzione dall’allegazione del detto certificato, l’estensione complessiva dell’area di pertinenza degli immobili urbani, che non deve superare la misura di mq. 5.000, al fine di evitare la realizzazione di abusi edilizi, integrando la mancata allegazione un’ipotesi di nullità del contratto per contrarietà a norma imperativa ex art. 1418 c.c.”, precisando che “deve affermarsi la nullità di vendite di terreni costituenti pertinenze di immobili urbani la cui superficie complessiva sia superiore a mq. 5.000, non valendo in questo caso alcuna esclusione dall’obbligo di allegazione del certificato ai sensi dell’art. 30 cit.”