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Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Cessazione di comodato precario – Questione della prova sull’”interversio possessionis” – Contestazione in merito alla prova dell’usucapione - Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 4483 del 20 febbraio 2020.

Dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per cassazione – Motivo del ricorso indicato come violazione di legge, ma riguardante l’interpretazione dei fatti di causa fornita dalla Corte territoriale - Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 4483 del 20 febbraio 2020.

Fatto. La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale, con la quale veniva accolta la domanda proposta da un Istituto scolastico al fine di accertare la cessazione del contratto di comodato precario concluso tra esso Istituto proprietario ed un privato e di ottenere la conseguente condanna di quest’ultimo al rilascio dell’immobile concesso in godimento.

I giudici del merito avevano, in particolare, ritenuto provata l’esistenza del comodato, escludendo, invece, che il soggetto comodatario avesse fornito la prova dell’avvenuto acquisto dell’immobile per usucapione (mancando la dimostrazione dell’avvenuta “interversio possessionis”).

Gli eredi del comodatario (nel frattempo deceduto) hanno, quindi, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale, censurandola per violazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), in quanto il giudice “a quo” aveva erroneamente ritenuto non adeguatamente comprovata l’avvenuta interversione del possesso da parte del comodatario, idonea a legittimare il possesso dell’immobile conteso ed il conseguente acquisto da parte del comodatariodello stesso per usucapione.

Decisione. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, poiché, al di là  del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, “l’ubi consistam della censure sollevate dai ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazioni fornita dalla Corte di merito del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti , dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti” precisando che l’argomentazione critica dei ricorrenti “è in sostanza diretta a censurare una tipica erronea ricognizione dei fatti di causa, essendo la censura diretta a denunciare un vizio di motivazione del provvedimento impugnato”.

Da ciò – ha concluso la Suprema Corte - deriva che il ricorso così proposto deve ritenersi inammissibile  “non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo neppure ritenersi soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art, 360 n. 5 c.p.c. ai fini della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti”.

Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 4483 del 20 febbraio 2020.