Fondo patrimoniale costituito tra coniugi per atto notarile – Azione revocatoria – Atti compiuti in violazione della posizione creditoria dell’attore - Corte di Cassazione, sez. III, ordinanza n. 8107 del 23 aprile 2020.
Azione revocatoria ordinaria promossa per sentire dichiarare inefficaci sia l’atto di costituzione di fondo patrimoniale, sia quello, ad esso collegato, di vendita della metà della nuda proprietà di un immobile comune ai due coniugi dal marito, fideiussore del credito dell’attore, alla moglie - Corte di Cassazione, sez. III., ordinanza n. 8107 del 23 aprile 2020, a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. Una banca, premesso che i due atti (di vendita della nuda proprietà di un immobile comune dei coniugi dal marito, fideiussore di un ingente credito di essa banca e di costituzione di un fondo patrimoniale tra gli stessi) erano stati compiuti in violazione della sua posizione creditoria, ne domandava giudizialmente la dichiarazione di inefficacia.
Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello respingevano la domanda, ritenuta l’applicabilità del disposto di cui all’art. 2901 c.c., alla controversia.
I convenuti, quali soccombenti, quindi, hanno proposto ricorso per cassazione avverso quest’ultima sentenza, rilevando che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto: che il credito della banca attrice fosse anteriore agli atti dispositivi colpiti dall’azione revocatoria; che fosse sussistente e sufficiente nella specie il requisito soggettivo della consapevolezza del pregiudizio (da ritenersi per il solo fatto dell’anteriorità del credito rispetto agli atti dispositivi); che, comunque, tale conoscenza della precaria condizione economica della società garantita dalla fideiussione non era stata dimostrata.
Decisione. La Suprema Corte, trattando i motivi del gravame congiuntamente, in quanto strettamente collegati tra loro, ha respinto il ricorso perchè infondato.
Infatti, come correttamente rilevato dai giudici del merito, i due ricorrenti, non solo erano coniugi, ma anche rispettivamente amministratore e consigliere d’amministrazione della società per la quale il marito aveva dato la fideiussione, (società posta in liquidazione solo pochi giorni dopo la costituzione del fondo e della vendita dell’immobile essendo, quindi, sicuramente a conoscenza del precario stato di stabilità economica, che ne avrebbe causato il fallimento, praticamente coevo alla sua messa in liquidazione) ed ha, altresì precisato che “l’azione di revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicchè, prestata la fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione ex art. 2901 n. 1 c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, anche del terzo) di arrecare pregiudizio al creditore (scientia damni) ed al solo fattore oggettivo dell’accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto” e che “l’atto di costituzione di un fondo patrimoniale, pur se posto in essere tra gli stessi coniugi, costituisce un atto a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, quando ricorrano le condizioni dell’art. 2901 cit., in quanto la nozione lata di credito di cui alla norma va estesa fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito, non perseguendo la revocatoria scopi specificamente restitutori, ma mirando a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori”.