Consorzi di urbanizzazione – Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 28611 del 3 ottobre 2022 - commento
Diritto di recesso dal vincolo consortile – condizioni – divieto - Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 28611 del 3 ottobre 2022 a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento
Il PRINCIPIO: «I consorzi di urbanizzazione – consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi – sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità, derivante dal vincolo di accessorietà necessaria sussistente tra gli impianti o servizi curati dal consorzio e le singole unità immobiliari incluse nel comprensorio edilizio. [1]
L’obbligo dell’associato di provvedere al pagamento degli oneri consortili discende non già dall’essere proprietario e, dunque, da un’obbligazione propter rem tipica, ma dall’apposizione del vincolo nel regolamento contrattuale e nel contratto di acquisto, con relativa accettazione della convenzione da parte del proprietario associato che è tenuto al pagamento degli oneri consortili per la sua volontaria adesione al contratto aperto, per effetto del quale il consorzio è stato costituito[2]».
IL CASO: Oggetto del contendere era costituito dalla domanda di alcuni consorziati che avevano chiesto al Tribunale, territorialmente competente, di accertare il loro diritto di recedere dal consorzio, con conseguente dichiarazione dello scioglimento del vincolo consortile. Il tutto al fine di ottenere la dichiarazione di insussistenza dell’obbligo di partecipare alle spese di gestione dei beni comuni compresi nel consorzio medesimo.
Entrambi i giudici del merito rigettavano la domanda ed i soccombenti proponevano ricorso in Cassazione avverso la sentenza di appello secondo la quale, in particolare, nei consorzi di urbanizzazione finalizzati alla gestione dei beni comuni, è esclusa la possibilità di recesso degli associati se non per effetto del trasferimento a terzi del diritto di proprietà sugli immobili, in applicazione dell’art. 1118 cod. civ. A tal fine, inoltre, del tutto irrilevante si era dimostrato l’esito della CTU, che aveva evidenziato il minor utilizzo dei beni comuni da parte dei consorziati appellanti.
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte suprema.
LA DECISIONE: Nel pronunciare i due principi di cui sopra (dei quali il secondo richiama un orientamento più recente) la Corte ha ribadito che nei consorzi di urbanizzazione l’adesione alla compagine trova origine in un meccanismo predisposto dall’autonomia privata, che si attua attraverso la stipulazione del contratto di compravendita di una unità immobiliare ricadente nel comprensorio. Tale adesione in pratica deriva da due fattori: l’esistenza di una clausola statutaria dalla quale risulti che gli acquirenti preventivamente assentono di partecipare al consorzio e l’atto di trasferimento immobiliare, nel quale si riproduce la volontà di tale partecipazione con l’assunzione dei corrispondenti obblighi dell’aderente.
In mancanza di norme specifiche, che dispongano la regolamentazione degli interessi comuni, quali – come nel caso specifico – la gestione dei beni comuni, ai consorzi di urbanizzazione si applicano le norme in materia di condominio. Quanto al recesso dalla comunità consortile assume specifica rilevanza l’art. 1118 cod. civ., che vieta al condomino di rinunciare al proprio diritto sulle cose comuni e di sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la loro conservazione (commi 2 e 3). Tutto ciò in considerazione del nesso di funzionalità che unisce proprietà comune ed esclusiva.
[1] Conf. Cass. n. 9401/2005; Cass. n. 4125/2003
[2] Conf. Cass. n. 1468/2021; Cass. 14440/2019