rituale - scadenza del termine per adire gli arbitri Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 10599 del 07/05/2013
arbitrato - Scadenza del termine per il deposito del lodo - Conseguenze - Differenze - Fondamento. Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 10599 del 07/05/2013
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Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 10599 del 07/05/2013
In tema di arbitrato rituale, l'instaurazione del procedimento arbitrale dopo la scadenza del termine all'uopo fissato dalle parti integra un vizio di incompetenza degli arbitri, in quanto detta scadenza implica il venir meno del loro potere decisionale ed il risorgere della competenza del giudice ordinario, al fine di assicurare il rispetto della volontà, manifestata dalle parti attraverso la fissazione di un termine, di circoscrivere temporalmente la facoltà di sollecitare l'intervento arbitrale; invece, la scadenza del termine per il deposito del lodo, causato dalla totale inerzia delle parti, non determina automaticamente la competenza del giudice ordinario, poiché, diversamente opinando, alla parte intenzionata a sottrarsi all'operatività della clausola compromissoria sarebbe sufficiente promuovere il giudizio arbitrale per rimanere, poi, del tutto inerte, onde precludere al collegio arbitrale la possibilità di decidere.
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Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 10599 del 07/05/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 2-4-1999 gli architetti Pe... Ugo, Tr..... Umberto e Tr...... Rosario convenivano in giudizio il Comune di Pordenone, per sentirlo condannare al pagamento delle competenze ad essi ancora dovute per l'attività professionale prestata in esecuzione degli incarichi di cui ai disciplinari n. 1713/91, 1714/91, 1925/92 e 2226/1995, relativi a lavori di ristrutturazione e ampliamento del Teatro Verdi di Pordenone, revocati dal committente, nonché al risarcimento dei danni arrecati al loro prestigio professionale.
Con sentenza del 19-2-2004 il Tribunale di Pordenone accoglieva l'eccezione del convenuto di inammissibilità della domanda relativa ai disciplinari d'incarico n. 1713/91, 1714/91 e 1925/92, per essere stata la questione devoluta agli arbitri in forza di clausola compromissoria; accoglieva la domanda relativa al disciplinare d'incarico n. 2226/1995; determinava il compenso professionale dovuto per tale disciplinare in Euro 168.372,10, detratta la riduzione prevista dalla L. n. 109 del 1994, art. 14, oltre agli oneri accessori e compresa la maggiorazione del 25% prevista dalla L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 10; rigettava la domanda di risarcimento danni, in quanto sguarnita di prova; compensava tra le parti le spese di lite.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale Tr...... Enzo, Tr...... Paolo e Decima Nadia, quali eredi di Tr...... Rosario, e appello incidentale il Comune di Pordenone. A seguito di ordinanza della Corte di Appello con la quale veniva disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Pe... Ugo e Tr..... Umberto, quest'ultimo si costituiva proponendo a sua volta appello incidentale.
Con sentenza depositata l'11-8-2009 la Corte di Appello di Trieste accoglieva parzialmente le impugnazioni proposte dagli eredi Tr...... e dal Tr....., nella parte relativa al disciplinare n. 2226/95 e, per l'effetto, condannava il Comune di Pordenone al pagamento del residuo credito solidale ai suddetti professionisti, nella misura di Euro 298.312,53, oltre agli oneri accessori e agli interessi dalla domanda al saldo; rigettava nel resto l'appello principale e gli appelli incidentali; compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Comune di Pordenone, sulla base di cinque motivi.
Hanno resistito con separati controricorsi il Tr..... e gli eredi Tr....... Questi ultimi hanno altresì proposto ricorso incidentale tardivo, affidato a due motivi.
Il Pe... (già contumace in appello) non ha svolto attività difensive.
Le parti costituite hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.. All'esito dell'udienza di discussione la difesa del ricorrente principale ha depositato brevi osservazioni scritte per replicare alle conclusioni del Pubblico Ministero.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
1) Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo. Deduce che la Corte di Appello è incorsa nella violazione del principio della domanda, in quanto ha riconosciuto in favore dei professionisti, per prestazioni rese in esecuzione del disciplinare n. 2226/995, un credito (Euro 298.312,53) più che doppio rispetto a quello (Euro 129.417,31) indicato nell'unica domanda accolta, cioè la terza proposta dall'architetto Tr...... Sostiene, inoltre, che il dispositivo della sentenza, nella parte in cui enuncia l'accoglimento parziale degli appelli proposti dagli eredi Tr...... e dal Tr....., contraddice la parte della motivazione con cui la Corte territoriale ha mostrato di dare accoglimento alla sola domanda proposta dal Tr....., radicando la sua pronuncia sulla solidarietà dell'incarico professionale.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione. Sostiene che la Corte di Appello, dopo aver rigettato in rito le domande riguardanti i compensi per le prestazioni previste dai disciplinari n. 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992, in modo contraddittorio ha determinato il compenso residuo dovuto ai professionisti sulla base della parcella liquidata dal Consiglio dell'Ordine, che non riguardava solo le competenze relative all'incarico conferito con disciplinare n. 2226M995, ma anche (per L. 204.821.773) l'onorario inerente all'incarico conferito con disciplinare 1925/1992.
Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1322 e 1372 c.c. e art. 6 del disciplinare n. 2226/1995, nonché dell'omessa e insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo. Deduce che nella parcella vistata dall'Ordine, alla quale il giudice ha fatto riferimento ai fini della determinazione del compenso professionale, era compresa la somma di L. 140.744.436 (voce 10), quale onere per richieste di soluzioni distinte e diverse, riferita alle modifiche richieste dall'Amministrazione per adeguare l'intervento alle indicazioni del piano particolareggiato. Sostiene che per tali prestazioni il primo periodo dell'art. 6 del disciplinare n. 2226/1995 escludeva la debenza di qualsiasi compenso aggiuntivo, trattandosi di modifiche progettuali che i professionisti, nell'esercizio dell'autonomia negoziale riconosciuta dall'art. 1322 c.c., avevano accettato di eseguire senza pretendere alcun compenso. Deduce che la Corte di Appello ha omesso di motivare sull'eccezione sollevata in corso di causa dal Comune di Pordenone (p. 28 della comparsa di risposta e appello incidentale) riguardo alla non spettanza di tale voce. Con il quarto motivo il Comune di Pordenone lamenta la violazione degli artt. 1322 e 1327 c.c., artt. 7 e 8 del disciplinare n. 2226/1995, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene che la Corte di Appello non poteva riconoscere in favore dei professionisti i compensi sub lett. E e F (relativi ai calcoli statici preliminari e ai calcoli per il contenimento dei consumi energetici ai sensi della L. n. 10 del 1991), essendo ciò escluso dagli artt. 9 e 10 del disciplinare. Deduce che la Corte di Appello ha disatteso l'eccezione sollevata al riguardo dal Comune di Pordenone con una motivazione illogica, in quanto il fatto che le predette prestazioni fossero necessarie ex lege non incide sulla rinuncia a pretendere il relativo compenso, formulata convenzionalmente dai professionisti nell'esercizio dell'autonomia negoziale riconosciuta dall'art. 1322 c.c..
Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione dell'art. 1301 c.c., comma 2, nonché dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene che la Corte di Appello, nel ritenere la legittimazione dell'architetto Tr..... ad agire per l'intero credito solidale, non ha tenuto conto del fatto che, come era stato dedotto in sede di appello incidentale (punto C delle conclusioni) e come risulta dalla Delib. Giunta Comunale 10 gennaio, n. 11 (documento 2 del fascicolo di appello), di accettazione della proposta irrevocabile del 20-12-2004 dell'arch. Pe..., quest'ultimo aveva rinunciato completamente alla quota parte di sua spettanza dei crediti azionati anche in relazione al disciplinare n. 2226/1995. Deduce, pertanto, che, ai sensi dell'art. 1301 c.c., il giudice del gravame, nel liquidare il debito residuo del Comune nei confronti dei professionisti non remittenti, avrebbe dovuto ridurre il quantum di 1/3, corrispondente alla quota parte spettante al Pe..., da presumersi uguale a quella degli altri creditori in solido, ex art. 1298 c.c..
2) Con il primo motivo di ricorso incidentale tardivo gli eredi Tr...... denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1363, 1366, 1367, 1418, 1419, 1421 e 2965 c.c., artt. 99, 112, 342 e 346 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostengono che la Corte di Appello, nel confermare il capo della sentenza di primo grado con cui era stata dichiarata l'improponibilità delle domande relative ai crediti professionali di cui ai disciplinari n. 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992 per mancata attivazione della procedura arbitrale nel termine di trenta giorni previsto nelle clausole compromissorie, di identico tenore, negli stessi inserite, ha applicato un principio valevole per l'arbitrato di natura "irrituale". Deducono che, al contrario, nella specie le clausole compromissorie previste nei tre disciplinari contemplano un'ipotesi di arbitrato "rituale", per il quale l'inutile decorso del termine per l'instaurazione del giudizio arbitrale fa risorgere la competenza del giudice ordinario. Rilevano che il giudice di appello, violando l'art. 112 c.p.c., ha omesso di pronunciare sulla natura rituale o irrituale dell'arbitrato previsto dalle parti, come, invece, era tenuto a fare in virtù dello specifico motivo di appello dedotto. Fanno presente che, nel caso in cui si volesse ritenere che la Corte territoriale abbia implicitamente optato per l'irritualità delle clausole compromissorie in questione, la stessa sarebbe incorsa nella violazione delle regole ermeneutiche di cui all'art. 1362 c.c. e segg., atteso che gli elementi testuali rinvenibili nelle predette clausole (quali "tutte le controversie", "giudizio" arbitrale) sono sintomi della natura rituale dell'arbitrato. Aggiungono che la motivazione è insufficiente anche nella parte in cui ha disatteso l'eccezione di nullità delle clausole compromissorie in esame per la notevole brevità del termine previsto per la instaurazione della procedura arbitrale.
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza di danni all'immagine e alla reputazione professionale derivati agli appellanti dalla revoca dell'incarico professionale. Sostengono che il danno subito dai professionisti doveva considerarsi in re ipsa, e che la Corte di Appello avrebbe dovuto procedere alla relativa liquidazione in via equitativa.
3) In primo luogo si osserva che non ha pregio l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata dal controricorrente Tr....., sul rilievo che la procura apposta a margine di tale atto sarebbe priva del carattere di specialità, non contenendo alcun riferimento ne' alla sentenza oggetto di impugnazione, ne' alla proposizione del ricorso per cassazione ne' alle parti.
Si richiama, al riguardo, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, qualora la procura per il giudizio di cassazione sia rilasciata in calce o a margine del ricorso, essa, costituendo corpo unico con l'atto cui inerisce, esprime necessariamente il suo riferimento a questo e garantisce il requisito della specialità, restando irrilevante sia la mancanza di uno specifico riferimento al giudizio di legittimità, sia il fatto che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al giudizio di merito (tra le tante v. Cass. 17-12-2009 n. 26504; Cass. Sez. Un. 24/11/2004 n. 22119; Cass. 5-12-2003 n. 18648; Cass. 29-4-1999 n. 4299).
4) Priva di fondamento si rivela altresì l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata dal Pubblico Ministero in ragione dell'asserita mancanza della delibera di Giunta di autorizzazione del Sindaco a stare in giudizio, richiesta dallo Statuto del Comune di Pordenone.
Come è stato rimarcato dalla difesa nelle brevi osservazioni scritte di replica depositate in udienza, infatti, il ricorrente principale ha depositato in atti, unitamente al ricorso, copia della Delib. Giunta Comunale 4 agosto 2010, n. 298, di autorizzazione alla lite. 5) Nel procedere all'esame dei due ricorsi, per ragioni di ordine logico-giuridico occorre trattare in via prioritaria il primo motivo di ricorso incidentale tardivo.
Tale motivo è fondato.
Con l'atto di appello (il cui contenuto, per la parte che qui viene in rilievo, è stato integralmente trascritto nel ricorso) gli eredi Tr...... avevano dedotto che le clausole compromissorie contenute nei disciplinari n. 1713/91, 1714/91 e 1925/92, di identico tenore ("Clausola arbitrale - Tutte le controversie che potrebbero sorgere relativamente alla interpretazione ed esecuzione della presente convenzione, ed in particolare alla liquidazione dei compensi e, in genere, quelle non definite in via amministrativa, saranno, nel termine di 30 giorni da quello in cui viene notificato il provvedimento amministrativo, deferito al giudizio di tre arbitri, due dei quali designati dalle parti ed un terzo scelto di comune accordo tra gli arbitri; in caso di mancato accordo il terzo arbitro sarà designato dal Presidente del Tribunale di Pordenone. In pendenza del giudizio arbitrale le parti non saranno esonerate da nessuno degli obblighi previsti nella presente convenzione"), prevedevano un arbitrato rituale. Essi avevano indicato gli elementi che, a loro avviso, deponevano per tale qualificazione (in particolare, i riferimenti testuali a "tutte le controversie" e a "un giudizio arbitrale", nonché il richiamo, per tutto quanto non previsto in ciascun disciplinare, alle norme del codice civile e alla T.P. architetti ed ingegneri, e quindi ad una regolamentazione dei rapporti "secondo diritto", ritenuto incompatibile con il ed. arbitrato irrituale). Ciò posto, gli appellanti avevano sostenuto che, essendosi in presenza di arbitrato di natura rituale, l'inutile decorso del termine per la instaurazione del giudizio arbitrale aveva fatto risorgere il potere del giudice ordinario di conoscere delle controversie relative ai predetti disciplinari, che invece erroneamente il Tribunale aveva negato.
La Corte di Appello, confermando la decisione di primo grado, ha escluso che l'inutile decorso del termine di trenta giorni stabilito per il ricorso agli arbitri potesse far risorgere la competenza del giudice ordinario; ma, nel pervenire a tali conclusioni, ha omesso di esaminare la specifica questione ad essa posta circa la natura, rituale o irrituale, dell'arbitrato previsto dalle parti, in tal modo incorrendo nella violazione dell'art. 112 c.p.c. o, quanto meno, nel vizio di omessa o insufficiente motivazione.
È opportuno sottolineare che le clausole compromissorie in esame sono contenute in contratti conclusi prima della novella introdotta, in tema di arbitrato, dalla L. n. 25 del 1994; e che, pertanto, ai fini della soluzione delle questioni prospettate nel presente giudizio, pur potendosi tener conto anche della normativa sopravvenuta, ove dalla stessa possano desumersi principi già insiti nel sistema, occorre far riferimento alla normativa vigente a quel tempo.
Va altresì evidenziato che la qualificazione dell'arbitrato come rituale o irrituale comporta un'indagine di fatto, al fine di ricostruire, mediante il ricorso alle ordinarie norme di ermeneutica contrattuale (art. 1362 c.c. e segg.), la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria. La relativa indagine, pertanto, rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in Cassazione, se motivato congruamente e immune da errori di diritto (tra le più recenti v.. Cass. 12-10-2009 n. 21285; Cass. 22-6-2005 n. 13436). Nella specie, di conseguenza, il giudice di appello non poteva esimersi dall'operazione interpretativa richiestale dagli appellanti;
nè al silenzio da esso mantenuto sulla relativa questione può sostituirsi questa Corte, priva dei necessari poteri di accertamento della volontà negoziale delle parti.
Deve osservarsi, peraltro, che, qualora avesse optato per la natura irrituale dell'arbitrato previsto dalle parti, il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare la nullità delle relative clausole e ritenere l'ammissibilità della domanda proposta dagli attori in relazione ai tre preliminari in esame.
Secondo un principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, alla Pubblica Amministrazione deve ritenersi consentita solo la stipulazione di clausole compromissorie per arbitrato rituale, essendo per contro ad essa preclusa la possibilità di avvalersi, nella risoluzione delle controversie derivanti da contratti conclusi con privati, dello strumento del c.d. arbitrato irrituale o libero (Cass. S.U. 16-4-2009 n. 8987). Nella menzionata decisione è stato evidenziato, in particolare, che, benché la P.A., nel suo operare negoziale, si trovi su un piano paritetico a quello dei privati, ciò non significa che vi sia una piena ed assoluta equiparazione della sua posizione a quella del privato, in quanto l'Amministrazione è comunque portatrice di un interesse pubblico cui il suo agire deve in ogni caso ispirarsi, e che, anche se incanalato nell'alveo di strumenti di tipo privatistico, è destinato a conformare il comportamento del contraente pubblico secondo regole e principi - particolarmente in tema di pubblicità e di trasparenza - che per il privato non hanno invece ragion d'essere. Orbene, nel caso in cui alla P.A. fosse consentito il ricorso all'arbitrato irrituale, il componimento della vertenza verrebbe ad essere affidato a soggetti (gli arbitri irrituali) individuati, nell'ambito di una pur legittima logica negoziale, in difetto di qualsiasi procedimento legalmente determinato e, perciò, senza adeguate garanzie di trasparenza e pubblicità della scelta.
Come è stato esattamente rilevato dagli eredi Tr...... nella memoria ex art. 378 c.p.c., pertanto, l'eventuale qualificazione, da parte del giudice di merito, delle clausole compromissorie in questione in termini di arbitrato irrituale, avrebbe comportato inesorabilmente la nullità delle stesse, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento; dal che sarebbe conseguita la piena ammissibilità delle pretese azionate dagli attori dinanzi al Tribunale in relazione ai menzionati disciplinari n. 1713/91, 1714/91 e 1925/92.
Ma, a ben vedere, la Corte territoriale non avrebbe potuto negare l'ammissibilità della domanda nemmeno nel caso in cui avesse optato per la natura rituale delle clausole in oggetto.
Secondo un principio più volte affermato dalla giurisprudenza, infatti, in caso di clausola compromissoria per arbitrato rituale, la scadenza del termine eventualmente fissato dalle parti per adire gli arbitri integra un vizio di incompetenza degli arbitri, implicando il venir meno del loro potere decisionale ed il risorgere della competenza del giudice ordinario (v. Cass. 11-10-1999 n. 11383; Cass. 3-9-1998 n. 8739; Cass. 15-11-1984 n. 5771; Cass. 29-10-1979 n. 5662).
Nella specie, di conseguenza, essendo stata la domanda attrice pacificamente proposta dopo la scadenza del termine di trenta giorni previsto nelle clausole compromissorie inserite nei tre disciplinari, quando era ormai venuto meno per le parti il vincolo ad adire il giudice arbitrale, vi era stata la reviviscenza dei pieni ed esclusivi poteri di cognizione del giudice ordinario in ordine alle pretese azionate dagli attori.
Non appare conferente il diverso precedente citato dal Comune di Pordenone e richiamato nella sentenza impugnata (Cass. 22-1-2001 n. 890), il quale si riferisce ad un caso in cui, azionata la procedura arbitrale, era decorso il termine prefissato per il deposito del lodo a causa della totale inerzia delle parti. La Corte Suprema, nell'occasione, ha ritenuto che la competenza a conoscere della relativa controversia non poteva ritenersi attribuita, in via successiva ed automatica, al giudice ordinario, poiché, diversamente opinando, alla parte intenzionata a sottrarsi all'operatività della clausola compromissoria sarebbe sufficiente promuovere il giudizio arbitrale per rimanere, poi, del tutto inerte in ordine alla determinazione della domanda ed alla formulazione delle prove (onde precludere al collegio arbitrale la possibilità di decidere), realizzando, così, il proprio intento di devolvere la controversia al giudice ordinario. Di qui la conclusione secondo cui l'esaurimento del potere decisorio del collegio arbitrale in ordine alla definizione della lite deve, in tal caso, ritenersi preclusivo di ogni possibilità di trasferire la controversia dinanzi al giudice ordinario, essendosi il procedimento arbitrale svolto (e concluso) con un provvedimento esaustivo della funzione decisoria degli arbitri.
Ben diversa è la vicenda dedotta nel presente giudizio, in cui non si è in presenza di un procedimento arbitrale tempestivamente attivato dalle parti ma non sfociato in un atto decisorio, bensì di un caso di mancata instaurazione della procedura arbitrale entro il termine stabilito nella clausola compromissoria. Orbene, è evidente che nella fattispecie, data la diversità dei presupposti, non viene in rilievo l'esigenza di evitare possibili condotte di "aggiramento" della convenzione arbitrale, bensì quella di assicurare il rispetto della volontà, manifestata dalle parti attraverso la fissazione di un termine, di circoscrivere l'esercizio della facoltà di sollecitare l'intervento degli arbitri entro un ben preciso limite temporale, senza rinunciare, in caso di inutile decorso del termine stabilito, alla ordinaria tutela giudiziaria.
Per le ragioni esposte, s'impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, la quale, alla luce dei principi innanzi enunciati, dovrà procedere all'esame del merito della domanda proposta dagli appellanti in relazione ai disciplinari 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992.
6) L'accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale, implicando la necessità di rideterminare il credito dei professionisti nei confronti del Comune anche in relazione ai menzionati disciplinari 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992, comporta l'assorbimento dei primi due motivi di ricorso principale, che investono questioni attinenti al quantum non circoscritte al disciplinare 2226/1995, al quale il giudice del gravame ha limitato il suo esame di merito. 7) Il terzo motivo di ricorso principale è fondato.
Deve premettersi che la formulazione del motivo in esame contiene una sintetica ed esauriente esposizione del contenuto della pattuizione contrattuale che si assume violata e delle parti degli altri atti e documenti rilevanti ai fini della decisione, accompagnata da una puntuale indicazione della sede processuale in cui reperire gli atti richiamati. Non ha pregio, pertanto, l'eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, sollevata dai controricorrenti eredi Tr.......
Ciò posto, si osserva che effettivamente la Corte di Appello non ha esaminato la questione, prospettata dal Comune di Pordenone a pag. 28 della comparsa di costituzione di appello, inerente alla non debenza, ai sensi dell'art. 6 del disciplinare 2226/95, della somma di Euro 140.744.436 prevista nel punto 10 della parcella quale onere per richieste di soluzioni distinte e diverse.
Il giudice del gravame ha del tutto ignorato le censure mosse al riguardo dall'appellante avverso la sentenza di primo grado, incorrendo quindi in un palese vizio di motivazione. 8) Anche il quarto motivo di ricorso principale resiste all'eccezione di inammissibilità sollevata dai contoricorrenti, contenendo una sufficiente esposizione del contenuto delle clausole 7, 9 e 10 del disciplinare, sulle quali si fondano le censure mosse. Tanto premesso, si osserva che il motivo in esame appare meritevole di accoglimento.
Nella comparsa di costituzione di appello il Comune di Pordenone aveva dedotto la non spettanza degli onorari E) e F) indicati nella parcella dell'Ordine Professionale, in quanto relativi a prestazioni non comprese nell'elenco di cui agli artt. 9 e 7 del disciplinare. A conforto della sua tesi, esso aveva invocato, in particolare, l'art. 10 del disciplinare, il quale stabilisce espressamente che "null'altro è dovuto ai professionisti oltre al rimborso delle spese di cui al precedente articolo e alla corresponsione dell'onorario come sopra stabilito".
La Corte di Appello ha disatteso l'eccezione, sul rilievo che gli onorari sub E) e F) si riferivano a prestazioni (relative ai calcoli statici preliminari e ai calcoli per il contenimento dei consumi energetici ai sensi della L. n. 10 del 1991) che, come chiarito dal C.T.U., non potevano considerarsi compensabili nella generale tariffazione relativa al progetto, ma dovevano essere compensate a parte, in quanto necessarie ai sensi della legge sui Lavori Pubblici. Tale motivazione non appare soddisfacente e logica, in quanto il fatto che si trattasse di prestazioni necessarie per legge non comportava affatto che le stesse dovessero essere remunerate a parte, avendo i professionisti espressamente rinunciato, ai sensi dell'art. 10 del disciplinare, a pretendere, "a qualsiasi titolo", onorari ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti nel contratto. L'obbligatorietà delle prestazioni in questione, pertanto, non poteva di per sè implicare il diritto al relativo compenso, a fronte dell'espressa rinuncia formulata dai professionisti nell'esercizio della loro autonomia privata.
9) Il quinto motivo di ricorso principale, contrariamente a quanto eccepito dai controricorrenti, soddisfa il requisito richiesto dall'art. 366 c.p.c., n. 6, indicando la sede processuale in cui reperire il documento di cui lamenta l'omesso esame (Delib. Giunta Comunale 10 gennaio 2005, n. 11); documento di cui viene altresì riportato sinteticamente il contenuto, per la parte che assume rilievo ai fini della decisione.
Tanto precisato, si rileva che il motivo in esame è fondato. La Corte di Appello, nel ritenere la legittimazione dell'architetto Tr..... ad agire per l'intero credito solidale, ha determinato il residuo importo ancora dovuto in relazione al disciplinare 2226/1995 sulla base della parcella dell'Ordine degli Architetti e degli Ingegneri, nella quale si era tenuto conto del compenso complessivamente spettante ai tre professionisti per l'opera prestata.
Così procedendo, peraltro, il giudice del gravame non ha tenuto conto della circostanza dedotta dal Comune appellato, secondo cui un terzo del compenso dovuto per il disciplinare in questione era stato già liquidato all'arch. Pe... (v. punto C delle conclusioni di appello riportate a pag. 6 della sentenza impugnata), e non ha esaminato la documentazione prodotta dallo stesso appellato (Delib. Giunta Comunale n. 11 del 2005), da cui si evinceva che, dopo la pronuncia di primo grado, il Pe... aveva provveduto a definire la sua posizione con l'Amministrazione Comunale, rinunciando ad ogni ulteriore pretesa nei confronti del Comune di Pordenone anche in relazione al disciplinare 2226/1995.
L'esame di tale documentazione si rendeva indispensabile, in quanto, ove effettivamente avesse ritenuto la sussistenza di una valida rinuncia dell'architetto Pe... alla quota parte di sua spettanza dei crediti azionati con riferimento al disciplinare 2226/1995, la Corte di Appello, ai sensi dell'art. 1301 c.c., comma 2, avrebbe dovuto ritenere il Comune liberato verso gli altri creditori limitatamente alla parte spettante al predetto professionista. Con la conseguenza che, dovendosi presumere, a norma dell'art. 1298 c.c., l'uguaglianza delle quote, in mancanza di prova certa sui rapporti interni nella ripartizione dei compensi tra i tre professionisti, di cui si da atto a pag. 29 della sentenza impugnata, il giudice del gravame, nel liquidare il residuo dovuto dal Comune, avrebbe dovuto decurtare il quantum di 1/3, pari alla quota di spettanza del Pe....
10) La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata anche in relazione ai suindicati motivi di ricorso principale, affinché vengano colmate le evidenziate lacune motivazionali. 10) Il secondo motivo di ricorso incidentale è infondato. La Corte di Appello ha dato adeguato conto delle ragioni per le quali ha disatteso la richiesta degli appellanti di risarcimento del danno conseguente alla lesione del prestigio professionale, asseritamene pregiudicato dalla pretestuosità delle ragioni poste dall'Amministrazione Comunale a base della revoca degli incarichi ai professionisti. Essa ha dato atto, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, della mancanza di prova sulla reale sussistenza di un danno ulteriore rispetto alla perdita di una parte del compenso pattuito; ed ha evidenziato, in particolare, con argomentazioni congruenti, che l'articolo del giornale prodotto in appello, per contenuto e per toni, non prova affatto che la vicenda abbia provocato la lesione dell'immagine professionale degli appellanti, non esprimendo giudizi negativi sulla esperienza o capacità dei medesimi, ma limitandosi a riferire della revoca e a valorizzare la possibilità per i professionisti di richiedere eventuale risarcimento.
Ciò posto, si osserva che le censure mosse dai ricorrenti con il motivo in esame, attraverso la formale denuncia di violazioni di legge e di vizi di motivazione, si risolvono sostanzialmente nella richiesta di una diversa e più favorevole valutazione delle risultanze processuali rispetto a quella compiuta dal giudice territoriale, che, in quanto immune da vizi logici e giuridici, si sottrae al sindacato di questa Corte.
10) In definitiva, devono essere accolti il primo motivo di ricorso incidentale e il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso principale. Il primo e il secondo motivo di ricorso principale restano assorbiti, mentre il secondo motivo di ricorso incidentale va rigettato. In relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, la quale provvederà anche sulle spese del presente grado di giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 2-4-1999 gli architetti Pe... Ugo, Tr..... Umberto e Tr...... Rosario convenivano in giudizio il Comune di Pordenone, per sentirlo condannare al pagamento delle competenze ad essi ancora dovute per l'attività professionale prestata in esecuzione degli incarichi di cui ai disciplinari n. 1713/91, 1714/91, 1925/92 e 2226/1995, relativi a lavori di ristrutturazione e ampliamento del Teatro Verdi di Pordenone, revocati dal committente, nonché al risarcimento dei danni arrecati al loro prestigio professionale.
Con sentenza del 19-2-2004 il Tribunale di Pordenone accoglieva l'eccezione del convenuto di inammissibilità della domanda relativa ai disciplinari d'incarico n. 1713/91, 1714/91 e 1925/92, per essere stata la questione devoluta agli arbitri in forza di clausola compromissoria; accoglieva la domanda relativa al disciplinare d'incarico n. 2226/1995; determinava il compenso professionale dovuto per tale disciplinare in Euro 168.372,10, detratta la riduzione prevista dalla L. n. 109 del 1994, art. 14, oltre agli oneri accessori e compresa la maggiorazione del 25% prevista dalla L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 10; rigettava la domanda di risarcimento danni, in quanto sguarnita di prova; compensava tra le parti le spese di lite.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale Tr...... Enzo, Tr...... Paolo e Decima Nadia, quali eredi di Tr...... Rosario, e appello incidentale il Comune di Pordenone. A seguito di ordinanza della Corte di Appello con la quale veniva disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Pe... Ugo e Tr..... Umberto, quest'ultimo si costituiva proponendo a sua volta appello incidentale.
Con sentenza depositata l'11-8-2009 la Corte di Appello di Trieste accoglieva parzialmente le impugnazioni proposte dagli eredi Tr...... e dal Tr....., nella parte relativa al disciplinare n. 2226/95 e, per l'effetto, condannava il Comune di Pordenone al pagamento del residuo credito solidale ai suddetti professionisti, nella misura di Euro 298.312,53, oltre agli oneri accessori e agli interessi dalla domanda al saldo; rigettava nel resto l'appello principale e gli appelli incidentali; compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Comune di Pordenone, sulla base di cinque motivi.
Hanno resistito con separati controricorsi il Tr..... e gli eredi Tr....... Questi ultimi hanno altresì proposto ricorso incidentale tardivo, affidato a due motivi.
Il Pe... (già contumace in appello) non ha svolto attività difensive.
Le parti costituite hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.. All'esito dell'udienza di discussione la difesa del ricorrente principale ha depositato brevi osservazioni scritte per replicare alle conclusioni del Pubblico Ministero.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
1) Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo. Deduce che la Corte di Appello è incorsa nella violazione del principio della domanda, in quanto ha riconosciuto in favore dei professionisti, per prestazioni rese in esecuzione del disciplinare n. 2226/995, un credito (Euro 298.312,53) più che doppio rispetto a quello (Euro 129.417,31) indicato nell'unica domanda accolta, cioè la terza proposta dall'architetto Tr...... Sostiene, inoltre, che il dispositivo della sentenza, nella parte in cui enuncia l'accoglimento parziale degli appelli proposti dagli eredi Tr...... e dal Tr....., contraddice la parte della motivazione con cui la Corte territoriale ha mostrato di dare accoglimento alla sola domanda proposta dal Tr....., radicando la sua pronuncia sulla solidarietà dell'incarico professionale.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione. Sostiene che la Corte di Appello, dopo aver rigettato in rito le domande riguardanti i compensi per le prestazioni previste dai disciplinari n. 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992, in modo contraddittorio ha determinato il compenso residuo dovuto ai professionisti sulla base della parcella liquidata dal Consiglio dell'Ordine, che non riguardava solo le competenze relative all'incarico conferito con disciplinare n. 2226M995, ma anche (per L. 204.821.773) l'onorario inerente all'incarico conferito con disciplinare 1925/1992.
Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1322 e 1372 c.c. e art. 6 del disciplinare n. 2226/1995, nonché dell'omessa e insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo. Deduce che nella parcella vistata dall'Ordine, alla quale il giudice ha fatto riferimento ai fini della determinazione del compenso professionale, era compresa la somma di L. 140.744.436 (voce 10), quale onere per richieste di soluzioni distinte e diverse, riferita alle modifiche richieste dall'Amministrazione per adeguare l'intervento alle indicazioni del piano particolareggiato. Sostiene che per tali prestazioni il primo periodo dell'art. 6 del disciplinare n. 2226/1995 escludeva la debenza di qualsiasi compenso aggiuntivo, trattandosi di modifiche progettuali che i professionisti, nell'esercizio dell'autonomia negoziale riconosciuta dall'art. 1322 c.c., avevano accettato di eseguire senza pretendere alcun compenso. Deduce che la Corte di Appello ha omesso di motivare sull'eccezione sollevata in corso di causa dal Comune di Pordenone (p. 28 della comparsa di risposta e appello incidentale) riguardo alla non spettanza di tale voce. Con il quarto motivo il Comune di Pordenone lamenta la violazione degli artt. 1322 e 1327 c.c., artt. 7 e 8 del disciplinare n. 2226/1995, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene che la Corte di Appello non poteva riconoscere in favore dei professionisti i compensi sub lett. E e F (relativi ai calcoli statici preliminari e ai calcoli per il contenimento dei consumi energetici ai sensi della L. n. 10 del 1991), essendo ciò escluso dagli artt. 9 e 10 del disciplinare. Deduce che la Corte di Appello ha disatteso l'eccezione sollevata al riguardo dal Comune di Pordenone con una motivazione illogica, in quanto il fatto che le predette prestazioni fossero necessarie ex lege non incide sulla rinuncia a pretendere il relativo compenso, formulata convenzionalmente dai professionisti nell'esercizio dell'autonomia negoziale riconosciuta dall'art. 1322 c.c..
Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione dell'art. 1301 c.c., comma 2, nonché dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene che la Corte di Appello, nel ritenere la legittimazione dell'architetto Tr..... ad agire per l'intero credito solidale, non ha tenuto conto del fatto che, come era stato dedotto in sede di appello incidentale (punto C delle conclusioni) e come risulta dalla Delib. Giunta Comunale 10 gennaio, n. 11 (documento 2 del fascicolo di appello), di accettazione della proposta irrevocabile del 20-12-2004 dell'arch. Pe..., quest'ultimo aveva rinunciato completamente alla quota parte di sua spettanza dei crediti azionati anche in relazione al disciplinare n. 2226/1995. Deduce, pertanto, che, ai sensi dell'art. 1301 c.c., il giudice del gravame, nel liquidare il debito residuo del Comune nei confronti dei professionisti non remittenti, avrebbe dovuto ridurre il quantum di 1/3, corrispondente alla quota parte spettante al Pe..., da presumersi uguale a quella degli altri creditori in solido, ex art. 1298 c.c..
2) Con il primo motivo di ricorso incidentale tardivo gli eredi Tr...... denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1363, 1366, 1367, 1418, 1419, 1421 e 2965 c.c., artt. 99, 112, 342 e 346 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostengono che la Corte di Appello, nel confermare il capo della sentenza di primo grado con cui era stata dichiarata l'improponibilità delle domande relative ai crediti professionali di cui ai disciplinari n. 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992 per mancata attivazione della procedura arbitrale nel termine di trenta giorni previsto nelle clausole compromissorie, di identico tenore, negli stessi inserite, ha applicato un principio valevole per l'arbitrato di natura "irrituale". Deducono che, al contrario, nella specie le clausole compromissorie previste nei tre disciplinari contemplano un'ipotesi di arbitrato "rituale", per il quale l'inutile decorso del termine per l'instaurazione del giudizio arbitrale fa risorgere la competenza del giudice ordinario. Rilevano che il giudice di appello, violando l'art. 112 c.p.c., ha omesso di pronunciare sulla natura rituale o irrituale dell'arbitrato previsto dalle parti, come, invece, era tenuto a fare in virtù dello specifico motivo di appello dedotto. Fanno presente che, nel caso in cui si volesse ritenere che la Corte territoriale abbia implicitamente optato per l'irritualità delle clausole compromissorie in questione, la stessa sarebbe incorsa nella violazione delle regole ermeneutiche di cui all'art. 1362 c.c. e segg., atteso che gli elementi testuali rinvenibili nelle predette clausole (quali "tutte le controversie", "giudizio" arbitrale) sono sintomi della natura rituale dell'arbitrato. Aggiungono che la motivazione è insufficiente anche nella parte in cui ha disatteso l'eccezione di nullità delle clausole compromissorie in esame per la notevole brevità del termine previsto per la instaurazione della procedura arbitrale.
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza di danni all'immagine e alla reputazione professionale derivati agli appellanti dalla revoca dell'incarico professionale. Sostengono che il danno subito dai professionisti doveva considerarsi in re ipsa, e che la Corte di Appello avrebbe dovuto procedere alla relativa liquidazione in via equitativa.
3) In primo luogo si osserva che non ha pregio l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata dal controricorrente Tr....., sul rilievo che la procura apposta a margine di tale atto sarebbe priva del carattere di specialità, non contenendo alcun riferimento ne' alla sentenza oggetto di impugnazione, ne' alla proposizione del ricorso per cassazione ne' alle parti.
Si richiama, al riguardo, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, qualora la procura per il giudizio di cassazione sia rilasciata in calce o a margine del ricorso, essa, costituendo corpo unico con l'atto cui inerisce, esprime necessariamente il suo riferimento a questo e garantisce il requisito della specialità, restando irrilevante sia la mancanza di uno specifico riferimento al giudizio di legittimità, sia il fatto che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al giudizio di merito (tra le tante v. Cass. 17-12-2009 n. 26504; Cass. Sez. Un. 24/11/2004 n. 22119; Cass. 5-12-2003 n. 18648; Cass. 29-4-1999 n. 4299).
4) Priva di fondamento si rivela altresì l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata dal Pubblico Ministero in ragione dell'asserita mancanza della delibera di Giunta di autorizzazione del Sindaco a stare in giudizio, richiesta dallo Statuto del Comune di Pordenone.
Come è stato rimarcato dalla difesa nelle brevi osservazioni scritte di replica depositate in udienza, infatti, il ricorrente principale ha depositato in atti, unitamente al ricorso, copia della Delib. Giunta Comunale 4 agosto 2010, n. 298, di autorizzazione alla lite. 5) Nel procedere all'esame dei due ricorsi, per ragioni di ordine logico-giuridico occorre trattare in via prioritaria il primo motivo di ricorso incidentale tardivo.
Tale motivo è fondato.
Con l'atto di appello (il cui contenuto, per la parte che qui viene in rilievo, è stato integralmente trascritto nel ricorso) gli eredi Tr...... avevano dedotto che le clausole compromissorie contenute nei disciplinari n. 1713/91, 1714/91 e 1925/92, di identico tenore ("Clausola arbitrale - Tutte le controversie che potrebbero sorgere relativamente alla interpretazione ed esecuzione della presente convenzione, ed in particolare alla liquidazione dei compensi e, in genere, quelle non definite in via amministrativa, saranno, nel termine di 30 giorni da quello in cui viene notificato il provvedimento amministrativo, deferito al giudizio di tre arbitri, due dei quali designati dalle parti ed un terzo scelto di comune accordo tra gli arbitri; in caso di mancato accordo il terzo arbitro sarà designato dal Presidente del Tribunale di Pordenone. In pendenza del giudizio arbitrale le parti non saranno esonerate da nessuno degli obblighi previsti nella presente convenzione"), prevedevano un arbitrato rituale. Essi avevano indicato gli elementi che, a loro avviso, deponevano per tale qualificazione (in particolare, i riferimenti testuali a "tutte le controversie" e a "un giudizio arbitrale", nonché il richiamo, per tutto quanto non previsto in ciascun disciplinare, alle norme del codice civile e alla T.P. architetti ed ingegneri, e quindi ad una regolamentazione dei rapporti "secondo diritto", ritenuto incompatibile con il ed. arbitrato irrituale). Ciò posto, gli appellanti avevano sostenuto che, essendosi in presenza di arbitrato di natura rituale, l'inutile decorso del termine per la instaurazione del giudizio arbitrale aveva fatto risorgere il potere del giudice ordinario di conoscere delle controversie relative ai predetti disciplinari, che invece erroneamente il Tribunale aveva negato.
La Corte di Appello, confermando la decisione di primo grado, ha escluso che l'inutile decorso del termine di trenta giorni stabilito per il ricorso agli arbitri potesse far risorgere la competenza del giudice ordinario; ma, nel pervenire a tali conclusioni, ha omesso di esaminare la specifica questione ad essa posta circa la natura, rituale o irrituale, dell'arbitrato previsto dalle parti, in tal modo incorrendo nella violazione dell'art. 112 c.p.c. o, quanto meno, nel vizio di omessa o insufficiente motivazione.
È opportuno sottolineare che le clausole compromissorie in esame sono contenute in contratti conclusi prima della novella introdotta, in tema di arbitrato, dalla L. n. 25 del 1994; e che, pertanto, ai fini della soluzione delle questioni prospettate nel presente giudizio, pur potendosi tener conto anche della normativa sopravvenuta, ove dalla stessa possano desumersi principi già insiti nel sistema, occorre far riferimento alla normativa vigente a quel tempo.
Va altresì evidenziato che la qualificazione dell'arbitrato come rituale o irrituale comporta un'indagine di fatto, al fine di ricostruire, mediante il ricorso alle ordinarie norme di ermeneutica contrattuale (art. 1362 c.c. e segg.), la volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria. La relativa indagine, pertanto, rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in Cassazione, se motivato congruamente e immune da errori di diritto (tra le più recenti v.. Cass. 12-10-2009 n. 21285; Cass. 22-6-2005 n. 13436). Nella specie, di conseguenza, il giudice di appello non poteva esimersi dall'operazione interpretativa richiestale dagli appellanti;
nè al silenzio da esso mantenuto sulla relativa questione può sostituirsi questa Corte, priva dei necessari poteri di accertamento della volontà negoziale delle parti.
Deve osservarsi, peraltro, che, qualora avesse optato per la natura irrituale dell'arbitrato previsto dalle parti, il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare la nullità delle relative clausole e ritenere l'ammissibilità della domanda proposta dagli attori in relazione ai tre preliminari in esame.
Secondo un principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, alla Pubblica Amministrazione deve ritenersi consentita solo la stipulazione di clausole compromissorie per arbitrato rituale, essendo per contro ad essa preclusa la possibilità di avvalersi, nella risoluzione delle controversie derivanti da contratti conclusi con privati, dello strumento del c.d. arbitrato irrituale o libero (Cass. S.U. 16-4-2009 n. 8987). Nella menzionata decisione è stato evidenziato, in particolare, che, benché la P.A., nel suo operare negoziale, si trovi su un piano paritetico a quello dei privati, ciò non significa che vi sia una piena ed assoluta equiparazione della sua posizione a quella del privato, in quanto l'Amministrazione è comunque portatrice di un interesse pubblico cui il suo agire deve in ogni caso ispirarsi, e che, anche se incanalato nell'alveo di strumenti di tipo privatistico, è destinato a conformare il comportamento del contraente pubblico secondo regole e principi - particolarmente in tema di pubblicità e di trasparenza - che per il privato non hanno invece ragion d'essere. Orbene, nel caso in cui alla P.A. fosse consentito il ricorso all'arbitrato irrituale, il componimento della vertenza verrebbe ad essere affidato a soggetti (gli arbitri irrituali) individuati, nell'ambito di una pur legittima logica negoziale, in difetto di qualsiasi procedimento legalmente determinato e, perciò, senza adeguate garanzie di trasparenza e pubblicità della scelta.
Come è stato esattamente rilevato dagli eredi Tr...... nella memoria ex art. 378 c.p.c., pertanto, l'eventuale qualificazione, da parte del giudice di merito, delle clausole compromissorie in questione in termini di arbitrato irrituale, avrebbe comportato inesorabilmente la nullità delle stesse, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento; dal che sarebbe conseguita la piena ammissibilità delle pretese azionate dagli attori dinanzi al Tribunale in relazione ai menzionati disciplinari n. 1713/91, 1714/91 e 1925/92.
Ma, a ben vedere, la Corte territoriale non avrebbe potuto negare l'ammissibilità della domanda nemmeno nel caso in cui avesse optato per la natura rituale delle clausole in oggetto.
Secondo un principio più volte affermato dalla giurisprudenza, infatti, in caso di clausola compromissoria per arbitrato rituale, la scadenza del termine eventualmente fissato dalle parti per adire gli arbitri integra un vizio di incompetenza degli arbitri, implicando il venir meno del loro potere decisionale ed il risorgere della competenza del giudice ordinario (v. Cass. 11-10-1999 n. 11383; Cass. 3-9-1998 n. 8739; Cass. 15-11-1984 n. 5771; Cass. 29-10-1979 n. 5662).
Nella specie, di conseguenza, essendo stata la domanda attrice pacificamente proposta dopo la scadenza del termine di trenta giorni previsto nelle clausole compromissorie inserite nei tre disciplinari, quando era ormai venuto meno per le parti il vincolo ad adire il giudice arbitrale, vi era stata la reviviscenza dei pieni ed esclusivi poteri di cognizione del giudice ordinario in ordine alle pretese azionate dagli attori.
Non appare conferente il diverso precedente citato dal Comune di Pordenone e richiamato nella sentenza impugnata (Cass. 22-1-2001 n. 890), il quale si riferisce ad un caso in cui, azionata la procedura arbitrale, era decorso il termine prefissato per il deposito del lodo a causa della totale inerzia delle parti. La Corte Suprema, nell'occasione, ha ritenuto che la competenza a conoscere della relativa controversia non poteva ritenersi attribuita, in via successiva ed automatica, al giudice ordinario, poiché, diversamente opinando, alla parte intenzionata a sottrarsi all'operatività della clausola compromissoria sarebbe sufficiente promuovere il giudizio arbitrale per rimanere, poi, del tutto inerte in ordine alla determinazione della domanda ed alla formulazione delle prove (onde precludere al collegio arbitrale la possibilità di decidere), realizzando, così, il proprio intento di devolvere la controversia al giudice ordinario. Di qui la conclusione secondo cui l'esaurimento del potere decisorio del collegio arbitrale in ordine alla definizione della lite deve, in tal caso, ritenersi preclusivo di ogni possibilità di trasferire la controversia dinanzi al giudice ordinario, essendosi il procedimento arbitrale svolto (e concluso) con un provvedimento esaustivo della funzione decisoria degli arbitri.
Ben diversa è la vicenda dedotta nel presente giudizio, in cui non si è in presenza di un procedimento arbitrale tempestivamente attivato dalle parti ma non sfociato in un atto decisorio, bensì di un caso di mancata instaurazione della procedura arbitrale entro il termine stabilito nella clausola compromissoria. Orbene, è evidente che nella fattispecie, data la diversità dei presupposti, non viene in rilievo l'esigenza di evitare possibili condotte di "aggiramento" della convenzione arbitrale, bensì quella di assicurare il rispetto della volontà, manifestata dalle parti attraverso la fissazione di un termine, di circoscrivere l'esercizio della facoltà di sollecitare l'intervento degli arbitri entro un ben preciso limite temporale, senza rinunciare, in caso di inutile decorso del termine stabilito, alla ordinaria tutela giudiziaria.
Per le ragioni esposte, s'impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, la quale, alla luce dei principi innanzi enunciati, dovrà procedere all'esame del merito della domanda proposta dagli appellanti in relazione ai disciplinari 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992.
6) L'accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale, implicando la necessità di rideterminare il credito dei professionisti nei confronti del Comune anche in relazione ai menzionati disciplinari 1713/1991, 1714/1991 e 1925/1992, comporta l'assorbimento dei primi due motivi di ricorso principale, che investono questioni attinenti al quantum non circoscritte al disciplinare 2226/1995, al quale il giudice del gravame ha limitato il suo esame di merito. 7) Il terzo motivo di ricorso principale è fondato.
Deve premettersi che la formulazione del motivo in esame contiene una sintetica ed esauriente esposizione del contenuto della pattuizione contrattuale che si assume violata e delle parti degli altri atti e documenti rilevanti ai fini della decisione, accompagnata da una puntuale indicazione della sede processuale in cui reperire gli atti richiamati. Non ha pregio, pertanto, l'eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, sollevata dai controricorrenti eredi Tr.......
Ciò posto, si osserva che effettivamente la Corte di Appello non ha esaminato la questione, prospettata dal Comune di Pordenone a pag. 28 della comparsa di costituzione di appello, inerente alla non debenza, ai sensi dell'art. 6 del disciplinare 2226/95, della somma di Euro 140.744.436 prevista nel punto 10 della parcella quale onere per richieste di soluzioni distinte e diverse.
Il giudice del gravame ha del tutto ignorato le censure mosse al riguardo dall'appellante avverso la sentenza di primo grado, incorrendo quindi in un palese vizio di motivazione. 8) Anche il quarto motivo di ricorso principale resiste all'eccezione di inammissibilità sollevata dai contoricorrenti, contenendo una sufficiente esposizione del contenuto delle clausole 7, 9 e 10 del disciplinare, sulle quali si fondano le censure mosse. Tanto premesso, si osserva che il motivo in esame appare meritevole di accoglimento.
Nella comparsa di costituzione di appello il Comune di Pordenone aveva dedotto la non spettanza degli onorari E) e F) indicati nella parcella dell'Ordine Professionale, in quanto relativi a prestazioni non comprese nell'elenco di cui agli artt. 9 e 7 del disciplinare. A conforto della sua tesi, esso aveva invocato, in particolare, l'art. 10 del disciplinare, il quale stabilisce espressamente che "null'altro è dovuto ai professionisti oltre al rimborso delle spese di cui al precedente articolo e alla corresponsione dell'onorario come sopra stabilito".
La Corte di Appello ha disatteso l'eccezione, sul rilievo che gli onorari sub E) e F) si riferivano a prestazioni (relative ai calcoli statici preliminari e ai calcoli per il contenimento dei consumi energetici ai sensi della L. n. 10 del 1991) che, come chiarito dal C.T.U., non potevano considerarsi compensabili nella generale tariffazione relativa al progetto, ma dovevano essere compensate a parte, in quanto necessarie ai sensi della legge sui Lavori Pubblici. Tale motivazione non appare soddisfacente e logica, in quanto il fatto che si trattasse di prestazioni necessarie per legge non comportava affatto che le stesse dovessero essere remunerate a parte, avendo i professionisti espressamente rinunciato, ai sensi dell'art. 10 del disciplinare, a pretendere, "a qualsiasi titolo", onorari ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti nel contratto. L'obbligatorietà delle prestazioni in questione, pertanto, non poteva di per sè implicare il diritto al relativo compenso, a fronte dell'espressa rinuncia formulata dai professionisti nell'esercizio della loro autonomia privata.
9) Il quinto motivo di ricorso principale, contrariamente a quanto eccepito dai controricorrenti, soddisfa il requisito richiesto dall'art. 366 c.p.c., n. 6, indicando la sede processuale in cui reperire il documento di cui lamenta l'omesso esame (Delib. Giunta Comunale 10 gennaio 2005, n. 11); documento di cui viene altresì riportato sinteticamente il contenuto, per la parte che assume rilievo ai fini della decisione.
Tanto precisato, si rileva che il motivo in esame è fondato. La Corte di Appello, nel ritenere la legittimazione dell'architetto Tr..... ad agire per l'intero credito solidale, ha determinato il residuo importo ancora dovuto in relazione al disciplinare 2226/1995 sulla base della parcella dell'Ordine degli Architetti e degli Ingegneri, nella quale si era tenuto conto del compenso complessivamente spettante ai tre professionisti per l'opera prestata.
Così procedendo, peraltro, il giudice del gravame non ha tenuto conto della circostanza dedotta dal Comune appellato, secondo cui un terzo del compenso dovuto per il disciplinare in questione era stato già liquidato all'arch. Pe... (v. punto C delle conclusioni di appello riportate a pag. 6 della sentenza impugnata), e non ha esaminato la documentazione prodotta dallo stesso appellato (Delib. Giunta Comunale n. 11 del 2005), da cui si evinceva che, dopo la pronuncia di primo grado, il Pe... aveva provveduto a definire la sua posizione con l'Amministrazione Comunale, rinunciando ad ogni ulteriore pretesa nei confronti del Comune di Pordenone anche in relazione al disciplinare 2226/1995.
L'esame di tale documentazione si rendeva indispensabile, in quanto, ove effettivamente avesse ritenuto la sussistenza di una valida rinuncia dell'architetto Pe... alla quota parte di sua spettanza dei crediti azionati con riferimento al disciplinare 2226/1995, la Corte di Appello, ai sensi dell'art. 1301 c.c., comma 2, avrebbe dovuto ritenere il Comune liberato verso gli altri creditori limitatamente alla parte spettante al predetto professionista. Con la conseguenza che, dovendosi presumere, a norma dell'art. 1298 c.c., l'uguaglianza delle quote, in mancanza di prova certa sui rapporti interni nella ripartizione dei compensi tra i tre professionisti, di cui si da atto a pag. 29 della sentenza impugnata, il giudice del gravame, nel liquidare il residuo dovuto dal Comune, avrebbe dovuto decurtare il quantum di 1/3, pari alla quota di spettanza del Pe....
10) La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata anche in relazione ai suindicati motivi di ricorso principale, affinché vengano colmate le evidenziate lacune motivazionali. 10) Il secondo motivo di ricorso incidentale è infondato. La Corte di Appello ha dato adeguato conto delle ragioni per le quali ha disatteso la richiesta degli appellanti di risarcimento del danno conseguente alla lesione del prestigio professionale, asseritamene pregiudicato dalla pretestuosità delle ragioni poste dall'Amministrazione Comunale a base della revoca degli incarichi ai professionisti. Essa ha dato atto, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, della mancanza di prova sulla reale sussistenza di un danno ulteriore rispetto alla perdita di una parte del compenso pattuito; ed ha evidenziato, in particolare, con argomentazioni congruenti, che l'articolo del giornale prodotto in appello, per contenuto e per toni, non prova affatto che la vicenda abbia provocato la lesione dell'immagine professionale degli appellanti, non esprimendo giudizi negativi sulla esperienza o capacità dei medesimi, ma limitandosi a riferire della revoca e a valorizzare la possibilità per i professionisti di richiedere eventuale risarcimento.
Ciò posto, si osserva che le censure mosse dai ricorrenti con il motivo in esame, attraverso la formale denuncia di violazioni di legge e di vizi di motivazione, si risolvono sostanzialmente nella richiesta di una diversa e più favorevole valutazione delle risultanze processuali rispetto a quella compiuta dal giudice territoriale, che, in quanto immune da vizi logici e giuridici, si sottrae al sindacato di questa Corte.
10) In definitiva, devono essere accolti il primo motivo di ricorso incidentale e il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso principale. Il primo e il secondo motivo di ricorso principale restano assorbiti, mentre il secondo motivo di ricorso incidentale va rigettato. In relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, la quale provvederà anche sulle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, assorbiti i primi due motivi di ricorso principale, accoglie gli altri motivi di ricorso principale, rigetta il secondo motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del presente grado di giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2013. Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2013
riferimenti normativi|blue
Cod_Proc_Civ_art_817
Cod_Proc_Civ_art_820