Compenso arbitri - Art. 814 c.p.c. - Poteri del Presidente del Tribunale
Arbitrato - Compenso arbitri - Art. 814 c.p.c. - Poteri del Presidente del Tribunale - Determinazione compenso
Arbitrato - Compenso arbitri - Art. 814 c.p.c. - Poteri del Presidente del Tribunale - Determinazione compenso (Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 10141 del 26/05/2004)
La massima
Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 10141 del 26/05/2004
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In controversia insorta tra la Debonair Airwais Ltd e la Regione Calabria in ordine ad un rapporto regolato da convenzione inter partes 23.12.97 ed atto aggiuntivo 14.1.98, la prima, agendo ex art. 11 della convenzione stessa contenente clausola compromissoria per risarcimento di danni contrattuali ed extracontrattuali, adiva il collegio arbitrale che, in contraddittorio tra le parti, si pronunziava con lodo 11.9.00, cui faceva seguire separata ordinanza in pari data con la quale determinava il compenso dovuto agli arbitri nella misura di L. 1.300.000.000 ponendone la corresponsione a carico di ciascuna delle parti per il 50% con vincolo di solidarietà per l'intero.
Poiché nessuna delle parti provvedeva al pagamento, l'Avv. Massimo Confortini, quale componente del collegio, con ricorso depositato addì 8.6.01, adiva il presidente del tribunale di Catanzaro perché, ex art. 814 C.P.C., procedesse alla liquidazione del compenso che ritenesse spettantegli.
Analoga istanza proponeva allo stesso organo l'Avv. Santo Viotti, nella qualità di co-segretario del collegio arbitrale, con ricorso depositato anch'esso addì 8.6.01.
Nei giudizi, così instaurati e successivamente riuniti, intervenivano in sede di comparizione, con distinte memorie adesive alla domanda dell'Avv. Confortini, gli Avv.ti Nino Gimigliano e Giuseppe Iannello, nelle rispettive qualità di presidente e di componente del collegio arbitrale.
Le parti intimate, nonostante fossero stati loro ritualmente notificati i ricorsi ed i pedissequi decreti di convocazione, non svolgevano attività difensiva.
Decidendo, quindi, con ordinanza 31.12.01, l'adito presidente del tribunale di Catanzaro liquidava in complessive L. 711.425.000 il compenso complessivamente dovuto agli arbitri ed in L. 40.000.000 quello complessivamente dovuto ai segretaria oltre spese ed accessori di legge, sulla considerazione che il valore della controversia fosse da determinare nella misura di soli 91 miliardi di lire, dovendosi fare riferimento unicamente alla domanda risarcitoria per tale importo proposta dalla Debonair, in quanto la richiesta rivolta dalla Regione al collegio arbitrale di declaratoria d'invalidità della convenzione inter partes 23.12.97, del valore di 271 miliardi di lire, richiesta che i ricorrenti avevano indicata come domanda riconvenzionale, non poteva essere cumulata alla domanda della Debonair, non solo per essere prevista dall'art. 10 C.P.C. la possibilità di cumulo unicamente in ragione delle domande proposte nei confronti della medesima parte, ma anche per essere ravvisabile nella difesa de qua non una domanda riconvenzionale bensì un'eccezione riconvenzionale.
Avverso tale decisione il presidente del collegio arbitrale Avv. Nino Gimigliano proponeva ricorso per Cassazione ex art. Ili Cost. fondandolo su di un unico articolato motivo.
Altro ricorso per Cassazione avverso la medesima decisione proponevano il componente del collegio arbitrale Avv. Pino Iannello ed il co-segretario dello stesso collegio Avv. Santo Viotti, del pari con unico articolato motivo.
Resisteva la Regione Calabria con controricorso.
L'Avv. Gimigliano e la Regione Calabria precisavano, altresì le rispettive tesi mediante memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro connessi, vanno riuniti ex art. 335 C.P.C.. Del pari preliminarmente vanno esaminate le eccezioni in rito sollevate avverso i proposti ricorsi dalla controricorrente. La quale sostiene, anzi tutto, l'irricevibilità del ricorso e del controricorso incidentale per irritualità della notifica, in quanto effettuata presso la propria sede legale invece che presso la competente Avvocatura dello Stato, e la nullità del controricorso incidentale, in quanto privo dell'indicazione del domicilio d'essa destinataria.
Tesi che non possono trovare accoglimento: sia in ragione del principio, sancito in via generale dall'art. 156/3^ C.P.C., per il quale "la nullità non può essere mai pronunziata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato" e valido anche per le notificazioni ogniqualvolta l'atto, nonostante l'irritualità della notifica, sia venuto a conoscenza del destinatario, come dimostrato dal fatto ch'esso siasi costituito in giudizio sebbene eccependo in limine, od anche soltanto, tale vizio; sia in ragione dell'applicabilità del detto principio anche alle Amministrazioni Pubbliche, stante la parziale illegittimità dell'art. 11/3^ del R.D. 30.10.33 n. 1611 dichiarata dalla Corte Costituzionale con sentenza 8.7.67 n. 97, allorquando le Amministrazioni stesse provvedano, in luogo d'affidarsi alla rilevabilità d'ufficio del vizio, alla regolare costituzione in giudizio, mediante controricorso corredato di tutti gli atti e fascicoli delle fasi di merito, dando così la dimostrazione d'essere in grado, per fatto volontario, d'esercitare il diritto di difesa (e pluribus, Cass. 16.10.01 n. 12596, 21.7.01 n. 9969 S.U., 24.3.00 n. 3540, 3.3.99 n. 1774, 3.10.97 n. 9654 S.U.). Sostiene ancora la controricorrente il difetto di legittimazione dei ricorrenti all'impugnazione per la mancata compartecipazione al ricorso d'uno dei componenti del collegio.
Tesi che, come la precedente, non può trovare accoglimento, dacché, costituendosi il rapporto di prestazione d'opera professionale non tra le parti litiganti ed il collegio arbitrale nel suo complesso, inesistente come soggetto dotato di personalità giuridica, bensì tra le stesse ed i singoli componenti del collegio, ciascuno degli arbitri, in quanto titolare d'autonomo diritto di credito per aver adempiuto, con l'espletamento dell'incarico, all'assunta obbligazione di rendere la prestazione richiestagli, è legittimato a perseguire in via giudiziale ed in ogni fase e grado di essa la realizzazione del diritto stesso, indipendentemente dalla congiunta proposizione o meno da parte degli altri componenti del collegio d'analoghe domande e/o impugnazioni che, pur ove introdotte con un unico atto collettivo, rimangono non di meno espressione d'una pluralità d'azioni autonome e distinte promosse nei confronti degli stessi soggetti nel medesimo giudizio e, quindi, suscettibili d'essere separatamente coltivate.
Nulla osta, dunque, all'impugnazione del provvedimento di liquidazione da parte d'alcuni soltanto dei componenti del collegio arbitrale, mentre esula, evidentemente, dall'argomento della legittimazione degli stessi ad impugnare e dall'ambito del presente giudizio la diversa e successiva questione dell'estensibilità o meno degli effetti dell'eventuale annullamento del provvedimento gravato con il ricorso anche nei confronti del componente del collegio che non abbia proposto l'impugnazione. Sostiene, in fine, la controricorrente il difetto di legittimazione attiva del ricorrente Avv. Santo Viotti in quanto semplice ausiliario del collegio e, comunque, l'insindacabilità in sede di legittimità del compenso liquidatogli.
Tesi che sarebbe meritevole d'accoglimento in astratto, in quanto, a differenza dall'arbitrato necessario per determinati contratti della PA laddove la presenza del segretario è espressamente prevista e regolata (cfr. art. 45 DPR 16.7.62 n. 1063), nell'arbitrato convenzionale il segretario del collegio arbitrale è direttamente nominato dai componenti del collegio stesso, in ragione d'una loro soggettiva valutazione della necessità d'avvalersi d'un ausiliario per l'espletamento delle attività certificative, esecutive ed organizzative funzionalmente collegate con quelle del collegio, onde è con costoro che s'instaura il rapporto di prestazione d'opera intellettuale del segretario, rapporto del tutto estraneo a quello instaurato tra le parti litiganti ed i componenti del collegio, ed è in favore di questi ultimi, e non direttamente del segretario, che la relativa spesa, costituente un esborso affrontato per il funzionamento del collegio dai componenti dello stesso, può essere riconosciuta e sempre e nei limiti in cui, in sede di liquidazione giudiziale, tale spesa sia ritenuta necessaria, determinandosene, altresì, l'importo in misura proporzionale alla sua effettiva utilità ed al suo valore.
Tesi che non può, tuttavia, trovare accoglimento in concreto nel caso in esame, dacché, sia pur erroneamente, la legittimazione in capo ai segretari e, quindi, il diritto di costoro a proporre istanza ex art. 814 C.P.C., sono stati affermati nel provvedimento 31.12.01 del presidente del tribunale di Catanzaro, laddove la domanda dei segretari, con liquidazione in favore degli stessi del compenso ritenuto loro dovuto, è stata espressamente accolta in autonomo capo di pronunzia che, in quanto non impugnato dall'odierna controricorrente con specifico ricorso incidentale, è, quindi, passato in giudicato.
Si può, dunque, procedere all'esame delle censure, sostanzialmente analoghe e, quindi, suscettibili d'esame congiunto, mosse dal ricorrente principale e da quelli incidentali all'impugnato provvedimento con i rispettivi atti introduttivi e precisate, dal primo, anche con la memoria.
In relazione al quale provvedimento dall'uno e dagli altri si denunzia, ex art. 360 n. 3 C.P.C., la violazione dell'art. dell'art. 814 C.P.C., dell'art. 36 C.P.C. e dell'art. 5 n. 1 delle norme generali di cui alle tariffe relative agli onorari ed alle indennità in materia d'attività stragiudiziale degli avvocati per esservisi ritenuto il valore della controversia rimessa al giudizio del collegio arbitrale, cui rapportare il liquidando compenso, limitato alla sola domanda di risarcimento dei danni, per circa 91 miliardi di lire, proposta dalla Debonair Ltd. e non anche esteso alla domanda riconvenzionale d'invalidazione dell'intero rapporto controverso, implicante prestazioni per un importo d'oltre 271 miliardi di lire, proposta dalla Regione Calabria; ed, ancora, dai secondi, sempre ex art. 360 n. 3 C.P.C., la violazione dell'art. 324 C.P.C. in relazione agli artt. 814 ed 827 C.P.C., per violazione del giudicato formatosi sulla pronunzia arbitrale, e dell'art. 827 C.P.C. per errori di calcolo.
Le censure principali meritano accoglimento per quanto di ragione sotto vari profili mentre, all'evidenza, resta assorbita l'ultima. Anzi tutto, nella parte espositiva del lodo riferisce il collegio che la Regione Calabria, con la memoria costitutiva 22.3.99, aveva dedotto, tra l'altro, l'invalidità, sotto il profilo della nullità ovvero dell'inesistenza, della cosiddetta convenzione 23.12.97 e della clausola arbitrale chiedendo una pronunzia d'annullamento della stessa e, nelle conclusioni rassegnate con memoria 7.4.99, aveva chiesto, tra l'altro, volersi dichiarare, anche in via riconvenzionale, la nullità o l'inesistenza ovvero pronunziarsi l'annullamento della convenzione medesima o, comunque, della clausola arbitrale in essa contenuta; di seguito, nella parte motiva del lodo, il collegio, valutate, con ampia disamina del caso particolarmente in relazione alla disciplina comunitaria della materia, le ragioni esposte dalla Regione Calabria a sostegno delle menzionate deduzioni e richieste, perviene alla conclusione che la convenzione e l'atto aggiuntivo stipulati interpartes fossero nulli e quindi privi di ogni effetto giuridico "tamquam non fuissent" per incompetenza della Regione Calabria ed illegittimi per violazioni, da parte dei contraenti, delle norme inderogabili di diritto comunitario aventi validità di legge, consequenzialmente escludendo l'ipotizzabilità d'un danno da inadempimento contrattuale ex art. 1453 C.C., ed, ancora, ribadiva, trattando del danno extracontrattuale, d'essere stato chiamato a giudicare questioni sorgenti dall'applicazione del contratto e quindi aventi come causa petendi la validità, la interpretazione e l'esecuzione della convenzione e d'averne come sopra giudicato; in fine il collegio, nel dispositivo, espressamente dichiara, tra le altre statuizioni, la nullità della convenzione 23.12.97 e dell'atto integrativo 14.1.98.
Nell'esercizio, dunque, dei poteri loro conferiti con il mandato a decidere della controversia gli arbitri hanno proceduto alla qualificazione delle richieste delle parti ed in particolare, per quanto qui interessa, di quelle della Regione Calabria, in queste ravvisando una domanda riconvenzionale intesa alla declaratoria dell'invalidità delle convenzioni intervenute tra le parti, domanda sulla quale hanno espressamente deciso accogliendola. Ora, nel procedere all'interpretazione ed alla consequenziale qualificazione delle richieste delle parti, il giudice del merito, quindi anche l'arbitro cui le parti stesse hanno convenzionalmente conferito il mandato a dirimere la controversia, non è condizionato dalla formula adottata dalla parte ed ha il potere, ma anche il dovere, d'accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale risulta desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende hinc et inde dedotte e rappresentate con gli atti introduttivi e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché di tener conto del provvedimento richiesto in concreto, ciò con il solo limite derivante dalla necessità di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta.
Tale ampio potere, attribuito al giudice onde possa valutare la reale volontà delle parti quale egli ritenga doversi desumere dal complesso del comportamento processuale delle stesse, estrinsecandosi in valutazioni essenzialmente discrezionali sul merito della controversia, non è suscettibile di sindacato neppure in sede di legittimità - salvo ove il suo esercizio abbia dato luogo a violazione dei suddetti limiti, ovvero risulti insufficientemente od illogicamente motivato ed, in tal caso, l'assunta erronea qualificazione della domanda va dedotta sotto l'uno o l'altro, od entrambi, di tali profili d'illegittimità in sede d'impugnazione e quivi valutata - e tanto meno può, di conseguenza, formare oggetto di valu-tazione, e la relativa conclusione essere disattesa, da parte d'un diverso organo giudicante non adito con una specifica ed ammissibile impugnazione al riguardo proposta con i mezzi all'uopo predisposti dall'ordinamento.
Nella specie, dunque, la qualificazione data dal collegio arbitrale alle deduzioni ed alle consequenziali istanze formulate dalla Regione Calabria, anche indipendentemente dal regime di stabilità del lodo per sua mancata impugnazione, non poteva in alcun modo formare oggetto di diversa valutazione da parte del presidente del tribunale, adito per la determinazione del compenso spettante agli arbitri, cui ex art. 814/11 C.P.C. non è attribuito, neppure al fine di determinare il valore della controversia, potere alcuno di delibazione del merito della controversia stessa in senso difforme da quello risultante dal lodo con il quale è stata decisa.
Il procedimento a cognizione sommaria ed estremamente semplificato nelle forme rimesso alla competenza funzionale del presidente del tribunale, quale previsto dalla citata norma per la liquidazione di spese ed onorari degli arbitri quando la proposta dagli stessi sottoposta alle parti non sia stata da queste accettata, è, infatti, diretto a rendere liquido ed esigibile il diritto degli arbitri sul mero presupposto della pronuncia del lodo, onde il presidente del tribunale è tenuto a verificare la sola regolarità formale sul piano estrinseco del lodo stesso e deve procedere all'apprezzamento di spese e compenso in rapporto all'opera prestata quale risultante dal lodo medesimo, rimanendogli preclusa ogni valutazione della validità sostanziale della decisione in esso contenuta e delle argomentazioni svolte a suffragio della stessa, estranea alla limitata finalità del procedimento e riservata alla sede dell'impugnazione per nullità a norma degli artt. 828 ss. C.P.C., solo eventuale ed unicamente rimessa alla disponibilità delle parti (cfr. sul punto le ampie motivazioni di Cass. 29.11.96 n. 10660 e 4.4.90 n. 2800).
Nella specie, pertanto, in violazione dei limiti imposti dall'art. 814/2^ C.P.C. alla funzione demandatagli, il presidente del tribunale ha proceduto ad una qualificazione delle richieste della Regione Calabria difforme da quella risultante dal lodo, in esse ravvisando un'eccezione riconvenzionale piuttosto che una domanda riconvenzionale, quale espressamente ritenuta e come tale valutata dagli arbitri, ed, in conseguenza, escludendone il relativo valore nella determinazione di quello complessivo della controversia, questo limitando al solo valore della domanda formulata dalla Debonair Ltd. In secondo luogo, devesi rilevare che, quand'anche si fosse trattato non di domanda ma d'eccezione riconvenzionale, la trattazione, com'è agevole rilevare all'esame del lodo, ha avuto a principale oggetto non tanto la domanda della parte istante intesa al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale, rigettata per incompetenza del collegio arbitrale in quanto relativa a fatto non riconducibile alla previsione della clausola compromissoria, quanto l'ulteriore domanda di risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale, rigettata, in accoglimento appunto delle difese svolte al riguardo dalla controparte, sulla base della ritenuta invalidità del contratto a seguito di quell'ampia disamina della questione che ha costituito il principale oggetto dell'attività decisionale degli arbitri.
Ciò stante, non si può affermare che la prestazione degli arbitri sia da rapportare al solo valore della domanda e non debba, per contro, essere rapportata anche a quello dell'intero contratto sulla validità del quale, a seguito dell'eccezione riconvenzionale (ammesso e non concesso che fosse tale e non domanda riconvenzionale), han dovuto emettere una specifica ed esplicita pronunzia.
La determinazione del compenso spettante ai membri del collegio arbitrale composto da avvocati in applicazione del DM 5.10.94 n. 585 non va, infatti, effettuata ai sensi degli artt. 6 e 12 delle disposizioni generali della tariffa relativa alle prestazioni rese degli avvocati in materia giudiziale civile, ma ai sensi dell'art. 5/1^ della diversa tariffa relativa alle prestazioni rese dagli avvocati in materia stragiudiziale e del successivo punto 9 dell'allegata tabella, eppertanto, per rinvio recettizio operato dal citato art. 5/1^ alle pertinenti disposizioni del codice di procedura civile in materia di determinazione del valore della controversia e vertendosi in tema di rapporti obbligatori, ai sensi dell'art. 12/1^ C.P.C..
La qual norma, che prescrive doversi determinare il valore della causa, ove relativa all'esistenza, alla validità, alla risoluzione d'un rapporto giuridico obbligatorio in base alla parte in contestazione del rapporto dedotto, subisce, peraltro, una deroga nell'ipotesi in cui, per esplicita domanda d'una delle parti, formulata in via d'azione o d'eccezione, il giudice sia chiamato all'accertamento con efficacia di giudicato in ordine all'intero rapporto o ad una determinata parte di esso, sì che l'esame debba aver luogo in ordine all'uno od all'altra complessivamente considerati, il valore dei quali va, pertanto, interamente preso in considerazione ai fini della determinazione del valore della causa; e non sembra revocabile in dubbio che un'eccezione di nullità dell'intero rapporto dedotto in giudizio implichi, quale eccezione riconvenzionale, l'ampliamento dell'oggetto della controversia e quindi del thema decidendum imponendo al giudicante una specifica decisione su di essa suscettibile, in quanto avente ad oggetto l'accertamento della validità e dell'esistenza del rapporto, di conseguire efficacia di giudicato, con le conseguenze preclusive ad essa proprie, una volta divenuta definitiva per mancata impugnazione.
In fine, non può omettersi di considerare anche come, laddove trattisi di determinare il valore della causa ai fini della liquidazione d'un compenso per prestazione d'opera intellettuale, sia essa degli arbitri nella redazione del lodo o degli avvocati nella predisposizione e nello svolgimento delle difese in favore del proprio assistito e rappresentato, il richiamato ampliamento del thema decidendum determinato dalla proposizione dell'eccezione riconvenzionale necessariamente comporti, indipendentemente da ogni altra considerazione, una ben determinata e determinabile estensione dell'attività lavorativa - con riferimento a tutte le problematiche in tal guisa introdotte, nuove e diverse rispetto a quelle limitate all'oggetto dell'originaria materia del contendere quale rappresentata dalla domanda introduttiva del giudizio - della quale non può non tenersi conto, con puntuale riferimento all'oggetto dell'ulteriore trattazione introdotta nel giudizio, ai fini della determinazione del valore complessivo della vertenza e, quindi, del compenso dovuto al prestatore d'opera intellettuale.
Come già in precedenza rilevato, gli ulteriori argomenti di censura, relativi all'applicazione in concreto della tariffa ed ai calcoli consequenziali, restano assorbiti, dovendosi in sede di rinvio procedere ex novo alla liquidazione; non sembra, tuttavia, superfluo, attesa l'eccezione sollevata al riguardo dalla resistente, ribadire quanto in materia altre volte evidenziato da questa Corte, id est che a far data dal 1.4.95 in tema d'arbitrato l'onorario spettante agli arbitri, che siano anche avvocati, deve essere liquidato in base alla tariffa professionale, senza più la possibilità, in precedenza riconosciuta al presidente del tribunale che proceda alla sua liquidazione ai sensi dell'art. 814/2^ seconda ipotesi C.P.C., di fare ricorso a criteri equitativi, atteso che il D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 - con il quale è stata approvata la delibera del Consiglio Nazionale Forense 12.6.93, che stabilisce i criteri per la determinazione d'onorari, diritti ed indennità spettanti agli avvocati, a far data appunto dal 1.4.95, per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali - ora espressamente prevede, al punto "9" della tabella relativa all'attività stragiudiziale di cui all'art. 5/7^, gli onorari spettanti al collegio composto da avvocati indicandone il minimo ed il massimo secondo il valore della controversia (Cass. 2.3.01 n. 3035, 14.12.00 n. 15784, 19.5.00 n. 6513, 6.3.99 n. 1929).
Onde il ricorso a criteri equitativi di valutazione rapportati alle caratteristiche dell'opera prestata - entità qualitativa e quantitativa - può aver luogo solo nei limiti in cui tali criteri abbiano avuto ad oggetto non l'individuazione del parametro di riferimento, precostituito ex lege e dal quale il decidente non può discostarsi, ma la determinazione in concreto della misura del compenso tra il minimo ed il massimo desumibili dal parametro stesso giusta la previsione dell'art. 4/1^ della richiamata tariffa; entro ambito siffatto, in vero, può ancora legittimamente esprimersi il potere discrezionale di liquidazione attribuito al presidente del tribunale dall'art. 814 C.P.C. e tale espressione può aver luogo, appunto, secondo principi ormai pacifici in materia, con il prudente apprezzamento, adeguatamente motivato, di pertinenti elementi di giudizio quali l'oggetto ed il valore della controversia, la natura e l'importanza dei compiti d'accertamento in fatto e di valutazione in diritto, il tempo e l'impegno resi necessari dall'uno e dall'altra. Gli esaminati ricorsi vanno, in definitiva, accolti per quanto di ragione e l'impugnata ordinanza va, dunque, annullata; la controversia, di conseguenza, va rimessa per nuovo esame ad altro magistrato del medesimo Ufficio, funzionalmente competente, cui è anche demandato, ex art. 385 C.P.C., di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE
Riuniti i ricorsi, li accoglie per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Catanzaro.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 gennaio 2004.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2004
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