Azione possessoria – reintegrazione – corte di cassazione, sez. 6, ordinanza n. 2316 del 02 febbraio 2021 - commento
Canna fumaria – rimozione ad opera del proprietario del fondo servente - diritto di servitù – violazione – sussistenza - corte di cassazione, sez. 6, ordinanza n. 2316 del 02 febbraio 2021 a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento
FATTO - Usufruttuario e nude proprietarie di un immobile sito al piano terra di un edificio condominiale si rivolgevano al Tribunale chiedendo di essere reintegrate nel possesso di una canna fumaria a servizio del proprio appartamento, dal momento che la proprietaria dell’immobile sovrastante, in corso di lavori di ristrutturazione, aveva illecitamente chiuso il tratto di canna fumaria che attraversava la sua proprietà.
Il Tribunale adito ordinava la reintegrazione del possesso, mentre lo stesso Tribunale, in sede collegiale, revocava il provvedimento. La domanda veniva respinta in sede di merito in assenza di assolvimento dell’onere della prova da parte dei ricorrenti, il cui appello veniva ugualmente respinto.
Avverso tale decisione i soccombenti proponevano ricorso in Cassazione che veniva nuovamente rigettato.
DECISIONE. Ad avviso dei ricorrenti la decisione pronunziata dalla Corte di appello era viziata per violazione degli artt. 1102 e 1122 c.c., là dove si trovava affermato che il proprietario del fondo dominante avrebbe perduto il possesso del diritto di servitù per prolungato non esercizio dello stesso, senza considerare che la rimozione, da parte di un condomino, della canna fumaria posta a servizio di altra unità immobiliare costituisce un atto illecito, che travalica i limiti previsti per l'uso della cosa comune dall'art. 1102 c.c..
Osserva la Corte Suprema che il giudice del merito era incorso in diversi errori.
Trattandosi di un giudizio possessorio, infatti, sarebbe stato necessario, prima, verificare se l’azione di reintegrazione era stata promossa nel rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 1168, comma 1, c.c. (un anno dal sofferto spoglio) e, solo dopo, procedere all’esame della condotta delle parti, dalla quale sarebbe emerso se effettivamente il non uso di detta canna da parte dei ricorrenti potesse coincidere con una definitiva rinuncia alla sua utilitas.
Essendo, poi, pacifico che l’attore che agisce in sede di possessoria deve solo dimostrare la clandestinità dello spossessamento, il giudice del merito avrebbe dovuto considerare che lo spossessamento si era verificato in una porzione preclusa alla disponibilità dei possessori (all’interno della proprietà della convenuta per effetto delle opera murarie dalla stessa eseguite) e che, quindi, il termine di cui sopra avrebbe dovuto essere computato dal momento in cui questi, cessata la clandestinità, erano venuti a conoscenza dell’illecito.
Altro errore commesso dalla Corte di appello: non avere tenuto conto che quando – come nel caso di specie - la canna fumaria ha natura continua ed è posta nella muratura anche di altro immobile, il titolare del relativo possesso non deve tenere alcun comportamento attivo né per rivendicare il possesso del bene, né per confermarlo nella sua attualità. Infatti, in presenza di tali condizioni, la canna fumaria non può essere rimossa dal proprietario del fondo servente salve alcune eccezioni (certezza che l’utilitas per il fondo dominante sia venuta meno per fatto naturale, per estinzione del diritto di servitù, per rinuncia esplicita e nelle forme di legge).
Nel caso di specie la convenuta non aveva provato nulla in questo senso, con la conseguenza che non avrebbe potuto eliminare la canna fumaria oggetto di contesa.
In relazione a quanto evidenziato la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa ad altra sezione della Corte di appello.