Condominio – appalto – Corte di Cassazione, Sez. 2, Ordinanza n. 23667 del 31 agosto 2021 - commento
Eliminazione di vizi e difformità – azione nei confronti della società costruttrice – cessazione ed estinzione – appello formulato dal solo socio accomandatario - violazione del contraddittorio – a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento
FATTO. Un condominio e taluni condomini avviavano un’azione dinanzi al Tribunale territorialmente competente chiedendo che la società costruttrice (in accomandita semplice) fosse condannata, ai sensi degli artt. 1669 e/o 1667 e 1490 c.c., alla eliminazione dei vizi e delle difformità (insonorizzazione acustica, isolamento termico e costruzione) concernenti le parti comuni e le porzioni di proprietà esclusiva, ovvero al rimborso dei costi necessari ai fini della loro eliminazione.
La società convenuta negava ogni addebito e chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa, a titolo di manleva in caso di eventuale condanna, i progettisti ed i direttori dei lavori tanto degli impianti termici quanto dei lavori i quali, a loro volta, opponendosi alle avverse domande, chiedevano di poter chiamare in causa la propria società assicuratrice.
Condannata la convenuta, l’appello avverso la sentenza veniva proposto, anche in proprio, da un socio accomandatario della stessa società che, nelle more, era stata cancellata ed estinta. La Corte di appello respingeva il gravame ed il soccombente proponeva, sempre nella stessa duplice veste, ricorso per Cassazione, la quale cassava la sentenza impugnata rinviando alla Corte di appello in diversa composizione per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del socio accomandante, non parte del giudizio.
DECISIONE. La questione che i giudici di legittimità si sono trovati ad affrontare ha riguardato la posizione processuale della società cancellata ed estinta in pendenza di un giudizio e, conseguentemente, l’individuazione del soggetto legittimato alla prosecuzione o riassunzione dello stesso da individuarsi nei successori della società medesima.
Secondo quanto affermato dalla Corte (Cass. S.U. n. 6070/2013) la cancellazione dal registro delle imprese estingue anche le società di persone, malgrado i rapporti giuridici facenti capo ad essa non siano stati definiti. L’evento della cancellazione, infatti, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata priva la stessa della capacità di stare in giudizio. Qualora l’evento si sia verificato nel corso di un giudizio di cui è parte la società il procedimento si interrompe ai sensi dell’art. 299 e ss. c.p.c. e può proseguire o essere riassunto da parte o nei confronti dei soci, successori della medesima, così come previsto dall’art. 110 c.p.c. Il mancato rispetto di tali regole determina che l’impugnazione della sentenza emessa nei confronti della società deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti di tutti i soci.
In applicazione di tale principio la Corte Suprema ha affermato che in grado di appello sarebbe stato necessario, d’ufficio, in considerazione del fatto che il gravame era stato introdotto solo dal socio accomandatario che agiva anche in proprio, accertare se vi fossero altri soci che diventavano parti necessarie del giudizio. In sostanza il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione del socio accomandante. La Corte di Cassazione, quindi, a conclusione ha richiamato quanto già affermato sul punto da precedente decisione: “ nel caso di litisconsorzio cosiddetto "processuale", la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell'intero procedimento di secondo grado, rilevabile (anche d'ufficio) in sede di legittimità, con la conseguenza che la Corte di cassazione è tenuta a rimettere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 331 e 383 cod. proc. civ., le parti dinanzi al giudice d'appello per un nuovo esame della controversia, previa integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa” (Cass. n. 21070/2015).