Condominio - Impugnativa autonoma di delibera assembleare da parte del coniuge comproprietario del bene comune.
Legittimazione attiva in capo, separatamente, a ciascun condomino comproprietario Cass. 2 ottobre 2023 n. 27772 – Commento a cura di Riccardo Redivo, già Presidente di sezione della Corte d’appello di Roma
“In tema di condominio, nell’ipotesi di unità immobiliare in comproprietà tra i due coniugi, la legittimazione ad impugnare le delibere assembleari spetta a ciascun coniuge autonomamente e separatamente. Ciò in applicazione del disposto di cui all’art. 180, I comma c.c. (in virtù del quale la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all’amministrazione dei beni della comunione spetta ad entrambi); pertanto, in caso di partecipazione all’assemblea di uno solo dei coniugi, ove vengano deliberati argomenti non inseriti all’o.d.g., il coniuge non presente può impugnare la delibera ai sensi dell’art. 1137, II comma c.c., essendo irrilevante, ai fini dell’ammissibilità e della fondatezza dell’impugnazione proposta da un coniuge la presenza all’assemblea dell’altro coniuge comproprietario”(Conf. Cass. sez. II, 8 luglio 2021, n. 19435).
Il principio qui enunciato ha posto in rilievo che le norme da prendere in considerazione sono gli artt. 66, co.4 e 67, co.1, disp. att. c.c.
Con il primo, è prevista la validità formale dell’assemblea quando tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati, ovvero quando la convocazione sia avvenuta nei termini di legge e sia completa nella formulazione dell’ordine del giorno in tutti i punti che saranno messi in discussione e votazione.
La seconda disposizione concerne la presenza delegata in assemblea, che si verifica quando il condomino sia rappresentato da altro soggetto (interno od esterno al condominio e sempre nel rispetto di quanto riportato nel regolamento) tramite delega scritta.
Una delle questioni che ha creato maggiori problematiche è quello concernente la necessità di inviare l’avviso di convocazione ad entrambi i coniugi, comproprietari e conviventi.
Fino agli anni 2000, in forza del riconoscimento della presunzione di conoscenza dello svolgimento dell’assemblea, da parte dei condomini proprietari pro-indiviso una volta che uno dei due fosse stato regolarmente convocato, era stato ritenuto che fosse sufficiente provare che ciò fosse avvenuto per far presupporre che il soggetto avesse reso edotto l’altro/i comproprietari della convocazione. Un accertamento riservato alla valutazione del giudice del merito (Cass. sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830).
Ora, la teoria della presunzione di conoscibilità è stata definitivamente abbandonata, per cui, in via generale ed in particolare nel caso di specie, sarà annullabile la delibera assembleare se tutti e due i coniugi, in quanto comproprietari, non abbiano ricevuto l’avviso di convocazione.
La mancata comunicazione ad uno dei due coniugi (come ad uno dei comproprietari pro indiviso) resta possibile solo nel caso in cui tutti gli aventi diritto abbiano formalmente comunicato all’amministratore la richiesta di inviare l’avviso ad uno solo di essi. E, d’altro canto, se l’amministratore vuole essere ritenuto indenne da qualsivoglia responsabilità in questo senso deve dimostrare di avere ricevuto tale comunicazione.
Da ultimo va osservato che la Suprema Corte (Cass. sez. II, 27 febbraio 2009, n. 4856) ha affermato che per le unità immobiliari, in regime di comunione legale tra coniugi, la legittimazione ad impugnare le delibere assembleari spetta a ciascun coniuge separatamente, in virtù dell’applicazione dell’art. 180, co. 1, c.c. (secondo il quale “l’amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi”). Il tutto chiarendo, altresì, che rientrano nella citata norma non solo le azioni a carattere reale o con effetti reali, dirette alla tutela delle proprietà o del godimento dell’immobile, ma anche le impugnazioni delle delibere assembleari che si affermano pregiudizievoli alla sicurezza e del fabbricato o al decoro o all’uso delle parti comuni (ivi Cass. n.19435/2021).