Fallimento - Accertamento passivo - Giudizio di opposizione
Giudizio di opposizione allo stato passivo - Dopo le riforme del 2006 e 2007 - Natura - Impugnatoria - Conseguenze - Domande nuove - Ammissibilità - Esclusione - Ricorso per cassazione su questioni non prospettate in opposizione - Inammissibilità. L'art. 99 legge fall., nel testo novellato dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso impugnatorio, esclude l'ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente, e di nuovi accertamenti di fatto, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione che solleciti l'esame di questioni, di fatto o di diritto, non prospettate, ritualmente e tempestivamente, nel giudizio di opposizione. Corte di Cassazione Sez. L, Sentenza n. 9341 del 08/06/2012
Corte di Cassazione Sez. L, Sentenza n. 9341 del 08/06/2012
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di censura, articolato in due punti, la ricorrente denunzia la contraddittorietà della motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.
Sotto un primo aspetto la ricorrente lamenta l'erroneità della decisione nella parte in cui non si è ritenuta raggiunta la prova sul fatto che l'attività lavorativa da lei svolta nel periodo 17/7/06 - 31/3/07 alle dipendenze dell'agenzia di viaggi denominata "Turni Viaggi", ubicata in via Conca d'Oro n. 269 in Roma, gestita dalla società Due B s.a.s. di Sorgentone Giuseppe successivamente fallita, fosse stata resa in favore di quest'ultima, essendosi dato rilievo alla circostanza dell'avvenuta cessione, in data 21/9/06, della stessa attività alla Guru Viaggi e Turismo s.r.l. Tale erronea decisione avrebbe inciso, secondo la ricorrente, anche sul convincimento del giudicante di ritenere applicabile la disposizione di cui all'art. 2112 c.c. in materia di trasferimento d'azienda che, nella fattispecie, non comprendeva, tuttavia, la ditta Turni Viaggi e, in ogni caso, non esonerava la cedente dall'obbligo di versamento del TFR maturato per il periodo antecedente la cessione. In effetti, prosegue la ricorrente, il giudicante non aveva escluso la fondatezza dell'eccezione sollevata in ordine alla falsità della dichiarazione, contenuta nell'atto di cessione, dell'inesistenza di dipendenti addetti al ramo d'azienda ceduto, ma contraddittoriamente non aveva tenuto conto della deposizione della teste Lucia Va.., la quale aveva dichiarato che l'attività dell'Agenzia di via Conca d'Oro n. 269 era continuata sotto la gestione della società fallita fino a tutto il mese di marzo del 2007.
Sotto un secondo aspetto si contesta la decisione nella parte in cui, contrariamente alle risultanze documentali rappresentate dalle specifiche previsioni dell'atto di cessione e dalle intestazioni dei bonifici bancari, si era ritenuto di non poter ricondurre all'agenzia gestita dalla società fallita i pagamenti delle retribuzioni successive alla cessione del ramo d'azienda. Osserva la Corte che il motivo è inammissibile per le seguenti ragioni: anzitutto, occorre partire dalla constatazione che prima della riforma della legge fallimentare, avvenuta, inizialmente, col D.Lgs. n. 5 del 2006 e, successivamente, col D.Lgs. n. 169 del 2007, il procedimento in questione, pur essendo regolato come procedimento giurisdizionale, si svolgeva senza contraddittorio, essendo questo posticipato alla fase successiva ed eventuale dell'opposizione. Sulla domanda di ammissione al passivo, pertanto, il giudice si pronunciava direttamente, ancorché con l'assistenza del curatore, ammettendo in tutto o in parte i crediti, con l'eventuale relativo grado di prelazione, e indicando quelli in tutto o in parte non ammessi, con l'esposizione sommaria delle ragioni dell'esclusione totale o parziale di essi o delle relative garanzie. La posizione delle parti, nel successivo giudizio di opposizione, era pertanto genericamente paragonabile a quello che esse assumono nell'opposizione ad un provvedimento assunto inaudita altera parte, in cui deve assicurarsi - per la prima volta - la pienezza del contraddittorio e del diritto di difesa. Ne conseguiva che attraverso l'opposizione si introduceva un giudizio a tutti gli effetti di primo grado ed i rimedi impugnatori previsti contro il provvedimento conclusivo del giudizio di opposizione erano quelli tipici della sentenza di primo grado, comprendendo in particolare l'appello, ed escludendosi, quindi, di regola il ricorso diretto per Cassazione. Il quadro appena descritto è stato, però, radicalmente modificato con la novella n. 5 del 2006. In essa, l'opposizione del creditore o del titolare di beni mobili o immobili per le domande respinte, strutturata come le altre impugnazioni dello stesso decreto - quella del curatore, del creditore concorrente e del titolare di diritti su beni mobili o immobili per domande accolte, e quella di revocazione del provvedimento determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o mancata conoscenza di documenti non prodotti per causa non imputabile - è regolata in modo dettagliato con una disciplina autonoma, e non potrebbe essere assimilata ad altri giudizi di opposizione che si propongono davanti allo stesso giudice (significativo, in questo senso, è l'espresso divieto di partecipazione al collegio da parte del giudice delegato al fallimento).
La configurazione di tali giudizi in senso inequivocabilmente impugnatorio è stata già colta con la decisione n. 6900 del 22 marzo 2010 della 1A sezione di questa Corte, atteso che in tale sentenza si è chiarito che "la L. Fall., art. 99, nel testo novellato dapprima dal D.Lgs. n. 5 del 2006, e successivamente dal D.Lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso inequivocabilmente impugnatorio, esclude l'ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente, quali le domande riconvenzionali, non essendo tali domande previste dal comma 5 di tale disposizione, il quale contiene la precisa indicazione del contenuto della memoria difensiva del curatore fallimentare e specificamente delle difese che in quella sede devono essere svolte a pena di decadenza, comprensiva delle eccezioni e delle prove, mentre non fa menzione di eventuali domande riconvenzionali".
Per quel che qui interessa è da porre in rilievo il contenuto che le impugnazioni di cui all'art. 98 devono possedere ai sensi del successivo L. Fall., art. 99 novellata, vale a dire, tra l'altro, l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione e le relative conclusioni (L. Fall., art. 99, n. 3), nonché l'indicazione specifica, a pena di decadenza, dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti (n. 4 della stessa norma).
Tanto premesso, non può sfuggire che nella fattispecie la ricorrente omette di precisare in qual modo, in quale atto ed in quali termini furono prospettate le questioni odierne nel giudizio di opposizione fallimentare, non consentendo, in tal modo, di verificare se in relazione a quello che fu il concreto svolgimento delle vicende processuali di quel giudizio ebbero a concretizzarsi realmente i lamentati vizi motivazionali della relativa decisione conclusiva. Un ulteriore profilo di inammissibilità discende anche dalla prospettazione della questione di diritto dell'applicabilità o meno della norma di cui all'art. 2112 c.c. sotto la forma errata del denunziato vizio della motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5. Invero, l'inammissibilità del motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione deriva dal fatto che in tal modo si finisce per affidare alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione, non essendo consentito confondere i profili del vizio logico della motivazione e dell'errore di diritto. Si è, infatti, già avuto modo di statuire (Cass. Sez. Lav. n. 7394 del 26/3/2010) che "in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. (Principio enunciato dalla S.C. in tema di impugnazione del licenziamento, in riferimento alla denuncia dell'erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa). In definitiva la L. Fall., art. 99, nel testo novellato, dapprima, dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e, successivamente, dal D.Lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso inequivocabilmente impugnatorio, esclude l'ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente e di nuovi accertamenti di fatto, non essendo tali domande previste dal comma 5 di tale disposizione, il quale contiene la precisa indicazione del contenuto della memoria difensiva del curatore fallimentare e specificamente delle difese che in quella sede devono essere svolte a pena di decadenza, comprensiva delle eccezioni e delle prove. Ne consegue, pertanto, l'inammissibilità del ricorso per cassazione se con esso si chiede un riesame su questioni di fatto e di diritto nuove o non prospettate ritualmente e tempestivamente nel precedente giudizio di opposizione.
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione va adottata in ordine alle spese, posto che le controparti sono rimaste solo intimate.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012
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