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Insinuazione tardiva contestata dal curatore fallimentare

Fallimento - Insinuazione tardiva contestata dal curatore . Competenza del collegio. - Il decreto del giudice delegato che rigetta la domanda di ammissione tardiva di un credito al passivo fallimentare è atto radicalmente inesistente, in quanto emesso da

Fallimento - Insinuazione tardiva contestata dal curatore . Competenza del collegio. - Il decreto del giudice delegato che rigetta la domanda di ammissione tardiva di un credito al passivo fallimentare è atto radicalmente inesistente, in quanto emesso da un giudice privo di poteri decisori, e pertanto in suscettibile di produrre effetti giuridici.

Cassazione - sezioni unite civili - sentenza 16 maggio-4 luglio 2002, n. 9692 - Presidente Vessia - relatore Vitrone

Svolgimento del processo

Con ricorso del 14 novembre 1998 l'ufficio del registro di Messina chiedeva l'ammissione tardiva al passivo del Fallimento della srl Incisa Scavi dei crediti di lire 2.057.060 in via privilegiata e di lire 610.000 in via chirografaria per somme dovute a titolo di tasse automobilistiche, soprattasse e accessori relative ai veicoli targati Me 351546 e Me 351547.
Con decreto emesso all'udienza del 16 febbraio 1996 il giudice delegato, preso atto dell'opposizione del curatore comparso personalmente, rigettava l'istanza di ammissione al passivo.
Su impugnazione dell'amministrazione creditrice la Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza del 14 ottobre-16 novembre 1998, dichiarava inammissibile l'appello per tardività, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni dalla pronuncia in udienza del provvedimento impugnato, al quale attribuiva contenuto decisorio di sentenza avendo regolato un conflitto tra soggetti portatori di interessi contrapposti.
Contro la sentenza ricorre per cassazione l'Amministrazione delle finanze dello Stato con un unico motivo.
Non ha presentato difese il Fallimento Incisa Scavi srl.
Con ordinanza del 31 gennaio-6 giugno 2001 la corte, rilevata la presenza di un contrasto di giurisprudenza circa il mezzo di impugnazione proponibile contro i provvedimenti del giudice delegato definitori della controversia in ordine alla domanda di ammissione tardiva al passivo fallimentare, ha disposto la rimessione degli atti al primo presidente che ha assegnato il ricorso alle sezioni unite.

Motivi della decisione

L'Amministrazione delle finanze dello Stato denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli 101 legge fallimentare, 101, 176, e 178 Cpc, e 1 e 11 del regio decreto 1611/33, in relazione all'articolo 360, numeri 3 e 5, Cpc, e sostiene che erroneamente il giudice delegato avrebbe rigettato l'istanza di ammissione tardiva al passivo senza procedere all'apertura di una fase contenziosa preceduta dalla notificazione dell'atto di opposizione all'amministrazione creditrice la quale avrebbe dovuto essere posta in condizione di costituirsi in giudizio. Mancando la presenza in udienza della creditrice, il provvedimento del giudice delegato non poteva ritenersi conosciuto dalle parti e ciò non avrebbe consentito il decorso di alcun termine ai fini della proposizione dell'appello.
Premesso che l'articolo 176 Cpc secondo cui le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e dal quelle che dovevano comparirvi non opera nei confronti dei provvedimenti che, sebbene pronunciati in forma di ordinanza o di decreto, abbiano contenuto decisorio, poiché essi, in mancanza di notificazione, sono impugnabili - se suscettibili di impugnazione - nel termine di decadenza di un anno dalla loro pubblicazione, l'amministrazione ricorrente propone in via preliminare la questione della impugnabilità dei provvedimenti del giudice delegato al fallimento aventi natura decisoria e del mezzo di impugnazione sperimentabile nei loro confronti, con particolare riferimento all'ipotesi in cui questi abbia rigettato la domanda tardiva di ammissione al passivo senza provvedere all'istruzione della causa a norma dell'articolo 101 legge fallimentare.
In materia si rinvengono nella giurisprudenza di questa corte una molteplicità di pronunce che costituiscono espressione dei più diversi orientamenti interpretativi.
Un primo orientamento afferma che il provvedimento del giudice delegato il quale, esorbitando dai propri poteri, pronunci con decreto in luogo del collegio su un'opposizione allo stato passivo deve considerarsi un atto giuridicamente inesistente per carenza assoluta di potere ad emetterlo e, non essendo idoneo in quanto tale a produrre gli effetti del giudicato sostanziale, può essere rimosso solo con la proposizione di un'azione di nullità (querela nullitatis), e cioè con un'ordinanza azione di annullamento esercitatile senza limiti di tempo. Con puntuale riferimento ad una fattispecie in cui il giudice delegato, dato atto dell'opposizione del curatore a una domanda tardiva di ammissione al passivo di un credito in via privilegiata, aveva provveduto con decreto alla sua ammissione in via chirografaria, senza provvedere all'istruzione della causa e disponendo la cancellazione della causa del ruolo, il provvedimento è stato ritenuto abnorme e suscettibile di rimozione solo con la querela nullitatis proponibile dinanzi allo stesso giudice ovvero al giudice del reclamo (Cassazione 10153/96).
Altre pronunce hanno ritenuto proponibile il rimedio dell'opposizione allo stato passivo (Cassazione 2266/78) o il reclamo al tribunale fallimentare ex articolo 26 legge fallimentare (Cassazione 5000/79; 9633/93).
Tuttavia gli orientamenti largamente predominanti, che si contrappongono con maggiore frequenza nella giurisprudenza di questa corte, cono quello che ritiene impugnabile il provvedimento del giudice delegato con il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 Costituzione. In considerazione della sua natura di provvedimento decisorio potenzialmente definitivo su diritti soggettivi privo di uno specifico mezzo di impugnazione per il suo carattere abnorme (Cassazione 2536/90; 4868/97; 11497/97; 13008/97) e quello che attribuisce a tale provvedimento natura sostanziale di sentenza e lo ritiene perciò suscettibile di impugnazione con l'appello, e cioè con il rimedio normalmente esperibile contro la sentenza che definisce la controversia sulla domanda di ammissione tardiva del credito al passivo fallimentare (Cassazione 6937/95; 4866/97; 4980/97; 5459/97; 55/2000).
Le molteplici soluzioni prospettate dalla giurisprudenza sono, a ben vedere, riconducibili a due categorie fondamentali, e cioè quella che considera il provvedimento abnorme del giudice delegato come espressione di uno scorretto esercizio della giurisdizione e, in quanto tale, suscettibile di rimozione attraverso gli ordinari rimedi previsti dal codice di rito il cui mancato esercizio comporta la definitività della pronuncia negativa in ordine alla domanda tardiva di ammissione al passivo, e quella che lo ritiene atto non semplicemente viziato, ma del tutto inesistente per carenza assoluta di potere giurisdizionale del giudice delegato e, conseguentemente, improduttivo di effetti e rimovibile senza limiti di tempo con una mera azione di accertamento (in tema di giuridica inesistenza di atti diversi emessi in carenza assoluta del relativo potere in materia fallimentare, vedi: Cassazione 1984/85; 5476/86; 4214/92; 1402/93; 5557/97).
Orbene, se si esamina la disciplina dettata dalla legge fallimentare per le dichiarazioni tardive di credito va considerato che il giudice delegato non è investito di funzioni decisorie in quanto, se non ritiene di accogliere la domanda, deve provvedere d'ufficio all'istruzione della causa, attesa l'impossibilità per il creditore escluso in tutto o in parte di proporre opposizione contro uno stato passivo del quale è stata disposta la chiusura ai sensi dell'articolo 97 legge fallimentare. Né può ritenersi il provvedimento negativo del giudice delegato come sostitutivo della sentenza che avrebbe dovuto decidere sulla esclusione del credito tardivamente fatto valere nei confronti del fallimento nei casi in cui all'esclusione possa pervenirsi senza necessità di istruzione, poiché a ciò si oppone la espressa riserva di collegialità sancita dall'articolo 50bis, numero 2, Cpc per le cause conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti di cui al regio decreto 267/42, il quale ribadisce la netta distinzione di funzioni tra giudice istruttore e collegio.
Da ciò consegue che il decreto del giudice delegato che rigetta la domanda di ammissione tardiva di un credito al passivo fallimentare è atto radicalmente inesistente, in quanto emesso da un giudice privo di poteri decisori, e pertanto in suscettibile di produrre effetti giuridici.
Il giudice dinanzi al quale esso venga impugnato con uno dei mezzi previsti dal codice di rito non può perciò pronunciare nel merito o rimettere le parti dinanzi al primo giudice - come pure talora è stato ritenuto (Cassazione 1816/99) - non essendo mai stato instaurato un giudizio contenzioso suscettibile di prosecuzione, ma deve limitarsi a dichiarare l'inesistenza del provvedimento impugnato, restituendo le parti nella situazione in cui esse si trovavano prima della pronuncia del provvedimento dichiarato inesistente.
In conclusione la sentenza impugnata dev'essere quindi cassata senza rinvio.
I contrasti manifestati dalla giurisprudenza sulla questione in esame giustificano la compensazione delle spese dell'intero giudizio.

PQM

La corte, pronunciando sul ricorso a sezioni unite, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la compensazione totale delle spese dell'intero giudizio.

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